Ep. 6. I mille lavoretti in nero di Viviana

Viviana è una di quelle tante persone che a trent’anni si è resa improvvisamente conto che, nonostante una laurea in architettura e diverse esperienze lavorative svolte durante il percorso di studi e successivamente, non ha un centesimo di versamenti contributivi disponibili per la sua pensione di vecchiaia. Se mai ci riuscirà ad andare in pensione, insomma, in un sistema basato esclusivamente sui contributi versati negli anni in cui si era nel pieno delle proprie forze, per Viviana — e per quelli come lei — si prospetta una vecchiaia con un assegno pensionistico da fame. Questo perché nei diversi settori in cui ha lavorato, nel corso di oltre un decennio, non è mai riuscita a ottenere un regolare contratto. In definitiva, l’unica esperienza di lavoro che Viviana è riuscita a svolgere fin qui è quella del “lavoretto” in nero.

La prima grande disillusione la ebbe mentre era ancora all’università. Esattamente quando, dopo aver lavorato per qualche tempo in alcuni locali come cameriera (sempre rigorosamente con paga a giornata e in nero), decise di provare a valorizzare la sua passione per il teatro.

La compagnia, in effetti, sembrava molto seria in sede di presentazione:

essendo una piccola realtà artigianale, purtroppo, noi non possiamo assumere nessuno a contratto, ma calcoleremo tutte le ore di lavoro e ti pagheremo con i voucher per le prestazioni occasionali, in modo da farti avere comunque sia quello che ti spetta che i versamenti contributivi. Più di così non possiamo fare, spero capirai.

Alle belle parole però poi non seguirono anche i fatti. Nella realtà operativa, Viviana si ritrovò a guadagnare niente di più di 30 euro a spettacolo, pagati in nero e con riferimento alla singola giornata lavorativa. Quindi sempre e solo 30 euro, anche quando c’erano più repliche nello stesso giorno, come accadeva tutte le volte in cui la rappresentazione andava in scena per le scolaresche.

Non un centesimo per le ore passate a fare le prove. Niente per le trasferte. Sempre e solo quei 30 euro in nero, pagati nel giorno in cui si andava in scena. E in più la beffa di una sostituzione immediata, comunicata solo a fatto compiuto, alla prima richiesta di una giornata di riposo:

va benissimo, non preoccuparti. Non c’è bisogno che domani ti faccia anche questa trasferta se non stai molto bene. Poi, la coincidenza ha voluto che l’impegno previsto quasi sicuramente salterà per indisponibilità dei locali in cui saremmo dovuti andare in scena. Riposati e poi ti ricontattiamo noi per la prossima.

Ovviamente non fu più richiamata e quando cercò di capire cosa era successo le venne detto che lo spettacolo di quel giorno, poi, non era stato annullato e che la persona che l’aveva sostituita era andata bene e dava maggiori garanzie in termini di disponibilità.

Viviana pensò che se era questo il modo abituale di gestire le cose nell’ambiente del lavoro teatrale, forse, era meglio rinunciare alle aspirazioni artistiche e pensare a qualcosa di più serio e concreto.

Ben presto, però, si rese conto che non era solo in teatro che ci si trovava a dover fare i conti con questo tipo di realtà.

Sempre prima di finire gli studi, ma ormai prossima alla laurea, Viviana provò allora a sfruttare le sue competenze (e in particolare la conoscenza fluente di altre due lingue) per fare la guida turistica.

Anche questo era un settore nel quale riteneva di essere in grado di lavorare bene e con soddisfazione. Anche stavolta però le condizioni di lavoro erano particolarmente svantaggiose. E, in questo frangente, le cose furono chiare fin dall’inizio:

spiace molto dover essere così brutali, ma qui il budget e limitatissimo e quindi la paga è di 4 euro l’ora per tutti. Niente contratti, niente garanzie, niente di niente. Generalmente si lavora mezza giornata. Se ti va bene puoi riuscire a fare 5/6 ore nelle giornate migliori. Una giornata intera di lavoro è un’occasione che capiterà una volta l’anno. Quando e se ti riuscirà di lavorare otto ore dovrai considerarti molto fortunata, insomma.

Andò avanti per alcuni mesi con la nuova attività, ma alla fine, per quanto le potesse piacere lavorare su siti archeologici e museali, le risultava economicamente insostenibile: con 20 euro al giorno di entrata media, i soli costi di spostamento tra casa e luoghi di lavoro finivano per ridurre di molto una paga già di per sé scarsa. E non rimaneva assolutamente tempo utile per una seconda e diversa attività. Anche al netto della necessità di andare a completare il percorso di studi.

Decise quindi di concentrarsi sulla laurea, convinta che il conseguimento del titolo di studio potesse permetterle di accedere a condizioni di lavoro finalmente più accettabili.

Ma le esperienze di lavoro post laurea si rivelarono egualmente sconfortanti.

L’occasione migliore arrivò grazie all’intervento di un’amica: c’era un grossista di oggettistica che stava rinnovando il catalogo fotografico dei suoi prodotti e ricercava una persona che fosse in grado di rielaborare in post-produzione tutte le foto che lui stesso aveva già scattato. Quando l’amica fece il nome di Viviana, l’opportunità le sembrò decisamente vantaggiosa:

nel catalogo ci sono migliaia di foto. Per un lavoro di queste dimensioni, se si fosse rivolto a un professionista già affermato, il boss avrebbe speso una cifra che non ha alcuna intenzione di spendere. Lui è uno di quelli che si sono arricchiti, partendo quasi da zero. Ha modi rudi e sbrigativi e punta sempre al ribasso, ma se ti giochi bene le tue carte, nel periodo di prova, puoi spuntargli un prezzo che è vantaggioso per te, oltre che per lui.

Anche stavolta le aspettative vennero rapidamente frustrate e deluse. Non solo le foto erano di qualità mediamente assai bassa — il che comportava tempi di elaborazione piuttosto lunghi, dovendo riprocessare quasi sempre luci, ombre, contorni e quant’altro — ma il boss pretendeva la presenza in azienda, un orario continuato di nove ore al giorno (senza un’ora fissa di intervallo per la pausa pranzo), un controllo continuo sul processo di elaborazione e una velocità di esecuzione che era incompatibile con un buon risultato, stante la qualità scadente del materiale su cui il lavoro andava fatto.

Viviana dopo due giorni di lavoro a quei ritmi, chiese quantomeno di avere la libertà di gestirsi la mole di lavoro secondo i suoi tempi e senza la presenza fissa in azienda. D’altra parte non era stata assunta come dipendente, non aveva un regolare contratto e una retribuzione a ore, perché dunque doveva lavorare con orario d’ufficio quando il suo compito era portare a termine, nei tempi di consegna pattuiti, l’elaborazione grafica di quelle foto e solo per l’esecuzione di quello specifico lavoro sarebbe stata pagata?

Il grossista le rispose che non c’erano problemi e la salutò con una certa freddezza. La sera stessa Viviana ricevette una telefonata dall’amica che, con tono sommesso, le raccontò di una sfuriata che il boss aveva avuto nei suoi confronti:

ma chi mi hai mandato, fammi capire? Questa ragazza è lentissima e poi subito ad avanzare pretese: il primo giorno mi chiede di fare pausa pranzo come tutti gli altri dipendenti; il giorno dopo finisce di lavorare e pretende di sottrarsi al mio controllo e gestirsi in assoluta indipendenza. Le foto che ha trattato sono buone, sì, ma mi crea troppi problemi. Qui ci sono 50 euro per il lavoro che ha fatto in questi due giorni. Dille che ho risolto diversamente.

Oggi Viviana lavora saltuariamente e sempre, inevitabilmente, in nero. È tornata a fare la cameriera nei bar dove aveva lavorato dieci anni prima e, per svolgere le solite mansioni elementari e ripetitive, si ritrova a ricevere la stessa identica cifra, come se non fossero passati tanti anni e non esistesse l’aumento costante dei prezzi. Anche adesso la pagano 30 euro a serata: una cifra costante e ricorrente, come si è visto.

Le prospettive più remunerative e soddisfacenti, paradossalmente, le sta rinvenendo invece proprio in campo ‘artistico’: come cantante ai matrimoni, una giornata di lavoro e quindici pezzi da eseguire, le permettono di guadagnare 150 euro e un pranzo gratuito.

Spesso Viviana si trova a pensare che, potendoselo permettere, sarebbe molto meglio non lavorare affatto che accettare condizioni di lavoro così degradanti.

Nel frattempo continua a sperare di riuscire a realizzarsi un giorno, magari, esercitando la libera professione, visto il modo in cui è trattato attualmente il lavoro subordinato.

Una speranza che, man mano che il tempo va avanti e il mercato si struttura secondo gli schemi di una competizione sempre più selvaggia, rischia purtroppo di tradursi in una pia illusione.

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