Ep. 7. Stefania e il miraggio di fare architettura

Stefania ormai ripete sempre più spesso che il suo peccato originale è stato proprio scegliere di studiare architettura. Certo, quando si diplomò, e prese questa decisione, non c’era stata ancora la grande crisi economica del 2008 che tuttora incide pesantemente sulle vite di moltissimi lavoratori. E tuttavia, oggi, l’idea di fare architettura — e di farlo, pagando le tasse e mantenendo una propria indipendenza economica — le appare davvero come una sorta di miraggio.

Gli anni dell’università, a un centinaio di chilometri dal paesello natio, filarono lisci e senza intoppi: quasi tutti 30, con tutti gli esami superati per tempo. Un percorso brillante che però si avvia a conclusione proprio quando la crisi è arrivata anche in Italia e non può più essere nascosta.

Ciò nonostante il docente universitario che le fa da relatore per la tesi le propone di iniziare subito a collaborare con lui, in uno studio associato che annovera tra i soci anche un architetto di chiara fama.

«Naturlamente, io lì sono solo una laureanda alle prime armi e dovrò fare molta esperienza, mi dice il prof. Quindi, almeno per i primi tempi, non avrò né retribuzione, né rimborso spese. Comincio alle 9 e stacco alle 18. Dal lunedì al venerdì. Lui sostiene anche che sia una grossa opportunità, di questi tempi. Decido di credergli».

E la prima paga, infine, arrivò. Dopo quattro mesi di lavoro non retribuito con orario di dieci/undici ore full time (nella realtà si finiva sempre una o due ore dopo le 18, insomma), ma arrivò. Solo che era una paga molto bassa: 300 euro al mese. Perché comunque Stefania, nel frattempo, non si era ancora laureata. E quindi via alle nottate sui libri, nel dopo lavoro e nei fine settimana, per superare anche l’esame di laurea, col massimo dei voti e una meritata lode.

La laurea le permise di ottenere un altro miglioramento retributivo: 500 euro al mese. E con un anno di lavoro a queste cifre, però, sorge l’esigenza fiscale di aprirsi la partita Iva. Luci e ombre.

«Cosa cambia nel rapporto con lo studio associato ora che sono una libera professionista ma non ancora un architetto a tutti gli effetti? Beh, non ho un orario di lavoro definito, né cartellini da timbrare. Non ho ferie pagate, né tredicesima, né malattia, né permessi, né nulla. Ad Agosto lo studio resta chiuso perché il capo va in vacanza, quindi non lavoro. E, ovviamente, non vengo pagata. Idem Natale, idem Pasqua. Però se c’è da finire un lavoro faccio le nottate, i weekend in studio, orari improponibili e pause pranzo che saltano sempre più di frequente».

In positivo c’è che lo studio per tutto questo, ora, garantisce a Stefania un compenso di 850 euro lordi al mese: un terzo, però, se ne vanno subito in tasse e contributi; e, così, una volta pagato l’affitto e le bollette, non restano nemmeno soldi a sufficienza per sfamarsi. Per quanto fisicamente lontana da casa, insomma, continua a esserle indispensabile il sostegno economico familiare. Ragione per la quale, dopo tre anni a “fare esperienza” nel grande studio associato, decide di chiudere questa collaborazione e tornare a vivere in famiglia, almeno, per il tempo necessario a preparare l’esame di Stato, che rischiava di non riuscire mai a superare, studiando solo nei ritagli di (poco) tempo libero dal lavoro.

In pochi mesi Stefania riesce a passare sia lo scritto che l’orale e a ottenere l’abilitazione. Potrebbe dirsi finalmente un architetto, ora. Potrebbe, perché le manca ancora l’iscrizione all’albo. Iscrizione alla quale decide di rinunciare perché i costi della connessa cassa pensionistica di categoria le sembravano del tutto insostenibili.

Nondimeno, decide di cambiare di nuovo città e di andare ancora più a Nord, stavolta. E di provare la carta dell’invio selvaggio di curricoli. Uno di questi arriva in Regione e viene selezionato per un corso di formazione gratuito per tecnici dediti alla ricostruzione post sisma. Anche questa esperienza può fare curriculum. in attesa di occasioni di lavoro adeguatamente retribuite.

Nel frattempo qualche azienda di arredamento la convoca per i primi colloqui. Ne fa tre: due direttamente con una nota ditta e uno con un’agenzia interinale.

«Sulla carta l’azienda ha bisogno di un architetto da inserire nel reparto decorazione/illuminazione per sviluppare progetti di interior design. Mi parlano di un part-time a tempo determinato di 30 ore. Sono solo sei mesi, ma è già qualcosa. Il giorno in cui dovrei firmare il contratto, però, mi richiamano: no, scusa, la tua è una figura nuova che vogliamo testare, facciamo un full time, va bene? Ok! Mi richiamano ancora: ah, ma non ti abbiamo detto! Facciamo prima un contratto di somministrazione di un mese e mezzo tramite agenzia interinale e poi il semestrale direttamente con l’azienda: ci stai? Per forza, direi. E incredibilmente mi ritrovo a vendere tende, tessuti al metro e lampadine. Per un mese e mezzo. Poi, una volta scaduto il contratto con l’agenzia, mi dicono che probabilmente non sono adatta a fare quel lavoro (no, probabilmente non sono adatta a fare la commessa ma sai, magari mi aspettavo di fare altro, tipo il lavoro per cui ho sostenuto il colloquio e per cui ho studiato) e il nostro rapporto di lavoro termina lì. In realtà si era già capito tutto prima del colloquio di congedo, visto che non c’era più il mio nome nei turni del negozio, ma tant’è».

Stefania decide quindi di portare a termine il corso di formazione regionale e, così, anche la qualifica di tecnico per la ricostruzione post terremoto può essere inserita nella nuova ondata curricolare da inviare ovunque.

Arrivano altre occasioni di lavoro: la prima come venditrice di cucine e divani. Le riesce bene, ma non è il suo lavoro e si svolge troppo lontano da casa (posto, tra l’altro, raggiungibile solo in auto in determinati periodi dell’anno).

Riprova allora con l’interior design: non solo il lavoro è quello per cui è qualificata, ma lo studio è anche molto più vicino a casa e agevole da raggiungere. Peccato solo che i compensi arrivino sempre in ritardo. E a volte non arrivino affatto (al momento è ancora in attesa delle ultime due mensilità).

La cosa più snervante restano i colloqui che oscillano tra «è un periodo morto, ma mettiamo il suo CV in banca dati e le faremo sapere appena riprenderemo ad assumere» e «sì, l’annuncio era un po’ fuorviante perché non ci servono architetti ma agenti di commercio, ma si tratta di una grande opportunità se sei brava a procurare nuovi consulenti».

Oggi Stefania ha una collaborazione con uno studio che la paga pochissimo ma regolarmente. Lavora su un progetto specifico: la realizzazione di un hotel di lusso da costruire in Medio Oriente. Il progetto è quasi giunto al termine e con esso l’esperienza con questo studio.

La tentazione di accettare un qualunque altro lavoro, purché un po’ più stabile e meglio retribuito, diventa ogni giorno sempre più forte.

Stefania sta cominciando a considerare l’architettura solo come un hobby, insomma: se lo ha fatto Brad Pitt, posso farlo anch’io. Se lo ripete, sarcasticamente, quasi ogni giorno, ormai.

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