Haim – Days Are Gone

Tra i dischi più attesi dell’anno, Days Are Gone, prodotto da nientemeno che Ariel Rechtshaid e James Ford, è l’esordio delle Haim, la band tutta al femminile proveniente da Los Angeles che ad una settimana dall’uscita del loro primo album ha sbaragliato molti dei concorrenti maschietti sul podio delle charts mondiali e superando decisamente ogni aspettativa. Le tre sorelline, già vincitrici del BBC Sound of Music 2013 e con un padrino d’eccellenza come Julian Casablancas, hanno fatto parlare di sé tra il 2012 e quest’anno che le ha portate non solo ad aprire i concerti di Edward Sharpe and the Magnetic Zeros, Mumford & Sons e Florence and The Machine e a duettare con i Primal Scream sul palco di Glastonbury, ma anche a diventare vere e proprie icone di stile.

Hanno riempito le copertine di tabloid e riviste musicali ondeggiando le loro chiome lunghe e fluenti avvolte in giubbotti di pelle nera e prendendosi meno sul serio di tante altre starlette dello spettacolo. Ma non è di certo la bellezza il loro punto forte, quanto la capacità di creare un suono deciso e convincente attingendo dai diversi e svariati ascolti che hanno condizionato un post-adolescenza autonomo dalle mode del momento.

Dopo aver sfornato una serie di singoli che hanno invaso le radio di mezzo globo e con l’impennata di visualizzazioni su youtube le Haim sono diventate un caso mediatico non tanto per la rarità del fenomeno, ma per una bravura singolare, premiata all’unanimità da una larga schiera di ascoltatori di ogni genere. La loro grande dote risiede proprio nel non focalizzarsi su un unico aspetto sonoro, saltano dal rock al funk e dall’elettronica all’r’n’b con agilità, creando un fantastico miscuglio pop. Non la musica “spazzatura” che ormai associamo automaticamente al termine “pop”.

Se con Forever Danielle ci ha immediatamente colpito per il suo timbro di voce un po’ sporco, ma non ruvido, profondo e cristallino, con tracce come Don’t Save Me, ravvivato da gorgheggi che vanno ben oltre le capacità di una ventiquattrenne dal viso pulito, e il tono serio e a tratti teatrale di Running If You Call My Name e di Edge, in cui il paragone facile ci viene con artiste del calibro di Mariah Carey o di Alicia Keys, abbiamo la conferma definitiva che il suo sia un talento fuori dal comune. Ma Danielle non è l’unica virtuosa della formazione, lo sono anche Este che con la sua irruenza rock al basso si trasforma in una bestia da palcoscenico, così come la “babyhaim”, Alana, che sa il fatto suo passando dalle tastiere alle percussioni alla chitarra senza tentennamenti.

Tra tutti i brani che vi lasceranno senza parole e incollati alle vostre cuffie, svettano My Song 5 che rallenterà i vostri movimenti, ma non i pensieri e Go Slow, una ballata romantica, ma senza lo zucchero a velo sopra la torta di compleanno. Colpiscono a segno anche con l’ultimo singolo The Wire, disincantato e ritmato, un motivetto facile da canticchiare per strada, e imperniato su assoli che rievocano la dimensione rock a cui fondamentalmente appartengano tutte e tre.

Days Are Gone è uno di quei dischi che se comincerete ad ascoltare sarà difficile rimuovere dalla playlist “Aggiunti di Recente”, attuale, ma allo stesso tempo in grado di portarvi nel passato, riscoprendo gusti musicali che credevate non avere più. Facile innamorarsene.

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