Hot Chip – Why Make Sense?

Gli Hot Chip sono uno di quei gruppi che, bene o male, non deludono mai. Se si guarda a ritroso nella loro discografia è molto difficile trovare un disco di cui lamentarsi. S’intende, anche loro hanno avuto i loro alti e i loro bassi, ma il livello qualitativo di base si è sempre mantenuto costante ed equilibrato. Il problema è che da un po’ di tempo a questa parte la band londinese non è più in grado di stupire, di superarsi, di reinventarsi. Sono diventati un gruppo di abili artigiani che raccoglie approvazione ad ogni nuovo disco senza però suscitare nulla di più.
Alcuni potrebbero dire che in fondo va bene così, che non è necessario produrre capolavori ma che anche solo mantenere nel tempo un alto standard qualitativo è un traguardo più che encomiabile. La verità è che purtroppo Why Make Sense?, il loro sesto disco piace, raccoglie approvazione ma non esalta; e senza esaltazione un’opera è destinata a non restare nella memoria dell’ascoltatore.
Ma andiamo con ordine. L’album inizia con Huarache Lights, un pezzo dalle tinte psych pop che richiama altre opere dello stesso filone, come ad esempio l’ultimo disco di Panda Bear. Sono le tonalità basse e vibranti dei synth le vere protagoniste di questa partenza dai toni trascinanti. In Love is the Future la psichedelia viene lasciata da parte in favore di sonorità più sintetiche che sforano nell’hip hop. Cry for You chiama in causa la disco music, ma lo fa con una delicatezza ed un’eleganza lodevoli. Seguono una daftpunkiana Started Right e White Wine and Fried Chicken, un brano dall’incedere cadenzato che ricorda nella melodia alcuni pezzi dei Beatles più psichedelici e nel ritmo l’intramontabile David Bowie. Il ritornello ripetitivo di Dark Night risulta poco convincente relegandola al rango di mero riempitivo, mentre Easy to Get si differenzia dagli altri brani per dei costrutti melodici più azzardati e dal gusto funk. Need You Now è trascinante e provocante, e non a caso è stata uno dei singoli che hanno presentato l’avvento del disco nei mesi precedenti. Chiudono il tutto la ballata a tinte esotiche stile Flaming Lips So Much Further to Go ed una title-track maestosa che si spegne in un climax di suoni onirici.

Come Caribou e Panda Bear nei rispettivi ultimi lavori, anche gli Hot Chip si ritrovano a dover fare i conti con il fatto di non esser più dei ragazzini; consapevolezza che viene a galla nel testo di Burning Up, traccia fuori disco che recita “My age says I’m an adult but some days my heart will not be told”. Il quintetto decide dunque di affrontare la maturità continuando a comporre secondo il suo stile di sempre, o comunque con innovazione non significative. E se questo da una parte è un bene – non ci si può certo lamentare del loro sound – dall’altra segna l’assenza di una ventata d’originalità che avrebbe fatto bene a questi ragazzi britannici e che avrebbe, forse, potuto impedire un disco piacevole ma irrimediabilmente destinato all’oblio.

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