I 6 motivi per cui il Siren Festival 2015 ha stravinto tutto

A cura di Eugenio Maddalena Riccardo Riccardi
(con un guest di Paolo Berisio su Sun Kil Moon)

Dal 23 al 26 si è svolto il Siren Festival 2015 a Vasto, una bellissima cittadina praticamente al confine tra Abruzzo e Molise, incastonata in un trittico di Appennini, campagne sconfinate e un mare che non ha nulla da invidiare a luoghi turisticamente più gettonati. Soltanto questo basterebbe a promuovere gli organizzatori che sono riusciti a mettere insieme un cartellone vario, di qualità e per nulla banale. Ma andiamo con ordine.


1. I palchi

Sembrerà strano, ma molto di questo festival l’hanno fatto i palchi su cui si sono esibiti gli artisti: il main stage (se così è lecito definirlo) di Piazza del Popolo permetteva al pubblico di godere degli artisti sullo sfondo del mare e, credeteci, un live di James Blake con alle spalle una luna che illumina l’Adriatico assume un gusto particolare rispetto ad un concerto in un auditorium qualunque; pochi passi e ci si spostava all’interno del Cortile del Palazzo d’Avalos, un edificio le cui origini risalgono al Medioevo, ma che presenta ornamenti gotici e modifiche successive, che lo rendono unico e suggestivo (il live di Colapesce in quel contesto è stato davvero coinvolgente); i giardini del Palazzo, invece, offrivano un tappeto verde e rilassante in cui uno Scott Matthew particolarmente ispirato ha dato davvero il meglio di sé. Insomma, in cinque minuti a piedi era possibile raggiungere posti che offrivano suggestioni molto diverse tra loro, attraversando i vicoli di un centro storico ricco di scorci affascinanti.  

2. L’Adriatico e l’hinterland

Un ruolo importante lo ha avuto il mare: le mattine e i primi pomeriggi buona parte del pubblico festivaliero passava le ore al lido Siren, il lido del Festival, tra sole e bagni con sottofondo musicale o piacevoli incontri / chiacchierate / confronti con una birra in mano; qui si è tornati anche la notte, finiti i live su in paese, a godere dei dj-set fino all’alba, in riva al mare. Cosa c’è di meglio per un festival estivo? Accanto a questo il paesaggio che ha fatto da contorno al Siren Festival è qualcosa di unico. Difatti, non ci siamo fermati solo a Vasto ma abbiamo girovagato l’hinterland durante la mattina, osservando campagne, mangiando mozzarelle molisane e tastando il terreno della “frana più grande d’Europa”, situata a Petacciato e che sovrasta buona parte dell’Abruzzo, Vasto e Adriatico inclusi; mentre eravamo al ristorante a mangiare le mozzarelline fritte più buone della nostra vita, un ragazzo del luogo ci spiega che ci vogliono più soldi a puntellare la frana che a evacuare il paese e che quindi l’Unione Europea ha deciso di non finanziarne la riqualificazione. Un’area unica, fresca e gradevole dove la mattina potevi scegliere di tuffarti nell’acqua o affacciarti da panorami irripetibili quanto pericolanti. Non so voi, ma siamo stati a festival in cui dalla mattina fino all’inizio dei concerti, la noia regnava incontrastata: qui no.

3. Le persone

Che vi piaccia o meno, buona parte di un festival la fa il suo pubblico e le persone con cui abbiamo avuto il piacere di interagire e con cui abbiamo ascoltato la musica fianco a fianco erano tutte abbastanza gradevoli e, soprattutto, non avevano l’aria di chi si trovasse lì per casualità. Un luogo di mare popolato da persone che amano e conoscono la musica che stanno ascoltando a fine luglio. Non sappiamo bene quali altri contesti (Ypsigrock a parte) offra il nostro paese in questo modo, ma crediamo che si possano contare sulle dita di una sola mano. Nessuna rissa, nessuna bottigliata impropria, un pubblico molto attivo e con la voglia di interagire davvero con gli artisti e con gli altri in modo sensato. 

Happy fans make a great festival! Thank you all! #sirenfestival2015 #summer #festival #instagood #instadaily ph: @razza_g A photo posted by Official Page (@siren_festival) on

4. Il dibattito sull’auto-produzione

Al Siren Festival non sono mancati momenti di confronto interessanti con giornalisti e “influencer” del mondo della musica elettronica e indipendente (su tutti Colasanti, Damir Ivic e Carlo Bordone); purtroppo però per varie ragioni non abbiamo assistito a questi ma ci siamo concentrati piuttosto sul dibattito intorno al tema dell’auto-produzione con Ratigher, artista che si occupa di graphic novel che ha sperimentato il modello “Prima o Mai”, un modo per spingere gli appassionati a finanziare un prodotto culturale attraverso il crowdfunding: in sostanza o si “compra” l’opera prima della sua effettiva messa in produzione o non potrà mai essere acquistata. Ottima idea che a detta di Ratigher ha funzionato. Secondo noi, però, si tratta di un tentativo “one shot”, che non può funzionare sempre anche se ci auguriamo di sbagliare. In questo modo Ratigher ha guadagnato come un operaio specializzato e si tratta effettivamente di un buon risultato che, speriamo, possa bissare e superare. Perché questo dibattito in questo elenco? È importantissimo se non vitale che un festival organizzi confronti e dibattiti sullo stato del mercato dell’entertainment, data la drammatica situazione attuale. Un plauso al Siren che ci ha provato e ce l’ha fatta.

5. La musica

Ovviamente la musica ha ricoperto un ruolo di primo piano, ma non semplicemente per la sua qualità o la sua fruibilità nelle diverse location: piuttosto per un cartellone vario e ricercato, che non puntava a mettere d’accordo tutti ma ad offrire una visione ben definita e chiara di cosa gli organizzatori intendono per qualità (a parte forse un irresponsabile scivolone sugli improponibili Is Tropical). Ecco di seguito le cose che ci hanno impressionato di più:

5.1 Sun Kill Moon

Sun Kil Moon era uno dei nomi più attesi del Siren. Mark Kozelek sale sul palco incastrato tra le mura di palazzo D’Avalos. Una cornice malinconicamente perfetta per lo stage che tira su lo scontrosissimo cantante. Mark armonizza la sua voce e i suoi urli con un costante lento movimento del braccio che usa alternativamente come metronomo e rozza clava ancestrale. Prima zittisce il pubblico. Poi lo fomenta senza alcuno sforzo con la sua raucedine. Affronta i pezzi a occhi chiusi. Poi arriva a Caroline e sembra perdersi da solo nel suo ricordo trascinando inevitabilmente tutta la piazza con sé. Conclude lo show imprecando contro l’organizzazione e il “fucking dj” che piace a noi giovani, ma ormai non fa più male perché ci è piaciuto tanto.

5.2 Verdena

Come al solito lo spettacolo dei Verdena, in giro nel loro tour infinito di Endekadenz Vol. 1 – di cui si attende il seguito – ha trascinato il pubblico nel vortice delle loro amate quanto (ahinoi) odiate liriche, attraverso pezzi già memorabili del nuovo disco come Nevischio o Puzzle, senza disdegnare però anche canzoni più vecchie della loro carrieraL’unico vero problema, forse, è che si è trattato dei “soliti” Verdena, che dai tempi di In Requiem sono in grado di regalare live molto intensi, ma non troppo diversi gli uni dagli altri (intendiamoci, comunque meravigliosi).

#Flickrapp #verdena #sirenfestival2015

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5.3 Jon Hopkins

Torna in Italia a distanza di un anno (per l’unica data italiana del 2015) dopo il tour di Immunity che ha consacrato l’inglese come uno dei nomi più forti nel panorama elettronico degli ultimi anni. Il set che porta a Vasto è molto simile a quello di cui abbiamo goduto nel 2014 allo Spring Attitude di Roma, tanto Immunity questa volta con qualche piacevole accenno al suo più recente Asleep Version. Jon inizia più tardi del previsto per un ritardo con l’aereo da Londra, quando lo fa è notte fonda e la piazza è piena, illuminata solo dalla luna e da qualche lampione. Tira fuori un live intensissimo, cerebrale, incalzante,con i suoi bassi travolgenti che ti entrano sottopelle e a cui è impossibile resistere, ormai un marchio di fabbrica. Talentuoso.

5.4 Clark

Sicuramente tra i migliori dell’intero festival. Live anche questo molto molto intenso, deliziato da visual pazzeschi che perfettamente si inseriscono tra le quattro mura del Cortile D’Avalos, che si rivela location perfetta per un live quanto meno inebriante. Set ottimamente curato come sempre, difficile rimanere inerti alla potenza techno-dance-psichedelica che l’inglese riesce a sprigionare, le pareti del Palazzo d’Avalos reggono a malapena.

5.5 Colapesce

Vedere Lorenzo dal vivo è sempre un piacere. Il live che sta portando in giro dopo lo splendido secondo album “Egomostro” è una dimostrazione di talento e caratura artistica non indifferente. Colapesce è sicuramente il più interessante tra i cantautori italiani dell’ultima generazione. La sua musica, la sua poetica e in generale il suo approccio artistico manifestano una fresca ventata di internazionalità che si miscela perfettamente con una cantautorialità più classica, che riesce però ad essere figlia del nostro tempo. Il suo live nel Cortile D’Avalos, con le ultime luci del giorno che si insinuano dall’alto, è caldo e avvolgente e dimostra ancora una volta quanto la sua anima più rock sia parte integrante della sua musica, passando con naturalezza e maturità dagli ormai classici pezzi più intimi del suo repertorio a schitarrate severe col distorsore a mille.


5.6 La Batteria

Tra le migliori performance che si sono viste sul palco di Porta San Pietro, inserito quest’anno. Palco semplice ma suggestivo con un panorama sconfinato sul litorale, sul quale si sono alternati soprattutto i nomi indie più forti della scena italiana degli ultimi tempi, da Iosonouncane a Indian Wells, passando per i Mamavegas e per l’appunto La Batteria. Un gruppo davvero notevole sotto il profilo tecnico, suonano da paura, riprendendo il filone delle colonne sonore dei film polizieschi italiani anni 60’-70’ rivisitandole in chiave moderna con una notevolissima dose di funk di alta qualità. Se su disco questo tipo di sound risulta obiettivamente un po’ pesante da fruire, dal vivo è difficile resistergli e andare via prima che i quattro abbiano posato chitarra basso e batteria.

… No, non stiamo snobbando James Blake: per lui capitolo a parte.

6. James Blake

Parliamone. Anzi no, non c’è molto da dire: James Blake ha vinto su tutti e su tutto e poteva tranquillamente farlo con un decimo di quanto ci ha regalato dal palco di Piazza del Popolo. Il buon Blake aveva il totale controllo del suo pubblico: riusciva a farci ballare per tre minuti per poi gettarci in nenie ipnotiche e suggestive, emozionanti e laceranti, per poi di nuovo lanciarci in ondate di groove e di bassi violentissimi alternati da una voce dolce quanto impagabile. Dalla commovente Lindisfarne all’immensa Limit to Your Love, da Overgrown a 200 Press, non una sola nota fuori posto, non un solo vocalizzo fuori luogo, non un secondo che non valga la pena di ricordare in un live che definire “memorabile” è riduttivo e sostanzialmente ingiusto.

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