I sonnambuli

Forse ricorderete I sonnambuli di Broch agitarsi come una memoria sullo sfondo della Notte di Michelangelo Antonioni, Monica Vitti seduta a terra a leggere un libro. Forse no, che importanza ha. Da qualche mese è uscito in nuova edizione per Adelphi il primo libro della trilogia di Hermann Broch che indaga l’impero tedesco in tre momenti della sua storia, I sonnambuli. Pasenow o il romanticismo è il primo capitolo del tentativo dello scrittore austriaco di esplorare la crisi dei valori nell’impero germanico in età guglielmina, dal suo massimo splendore fino al crollo alla fine della Prima Guerra Mondiale. Al tempo della sua pubblicazione Robert Musil accusò Broch di avergli sottratto l’impianto teorico dell’Uomo senza qualità – anche se Joachim von Pasenow non vive nella Vienna di Broch e Musil, si muove nel secondo Reich, e così pure gli eroi dei capitoli successivi: Esch, o L’anarchia e Huguenau, o Il realismo.

Davvero la storia è infestata di sonnambuli che vanno a frotte qua e là mossi da sentimenti tramandati, e nell’illusione di una libertà di scelta, oppure è possibile salvarsi dal suo corso, spezzare la catena di eventi con eccezionale forza attraverso l’azione al singolare? A voler dare ascolto a Musil l’oggetto di indagine di Broch non è poi così originale, qualcuno aveva già provato a rispondere, come Tolstoj in Guerra e Pace. Nei capitoli conclusivi che indagano la figura di Napoleone lo scrittore russo parlava di una forza misteriosa e sotterranea che guida la storia, lasciandoci il dubbio che così come la fisica e le scienze hanno le loro leggi, anche la storia può averne di sue proprie. Tolstoj sembra arrivare a vedere nel passaggio distruttivo di Napoleone sulla terra e sull’Europa, l’azione di forze più oscure: Guerra e Pace in un certo senso sembra sussurrarci che anche se Napoleone non fosse esistito, la storia sarebbe andata più o meno verso una certa direzione. Nella sua prefazione ai Sonnambuli, Milan Kundera evoca una stessa forza che pare orientare pure la trilogia di Broch.

« Ciò che lo affascina è la forza sotterranea, invisibile, che plasma le persone e i loro pensieri. Ecco il senso del titolo, I sonnambuli: tutti i personaggi di Broch sono ipnotizzati da forze sotterranee e agiscono (come sonnambuli) senza poter spiegare razionalmente perché fanno ciò che fanno, perché dicono ciò che dicono. »

L’uomo che ci racconta Hermann Broch è in qualche modo prigioniero delle convenzioni che si porta dietro, e si muove come sonnambulo nella storia. Ritroviamo questa idea in un dialogo acceso tra Joaquim e l’amico Bertrand. « Ci portiamo dietro un indistruttibile fondo di conservatorismo. E a costituirlo sono i sentimenti, o meglio le convenzioni del sentimento », dice Bertrand a un perplesso Joaquim, ricordando che persino spiriti innovatori come Voltaire avessero accettato le convenzioni della propria epoca, come le condanne al supplizio della ruota. Allo stesso modo anche il duello – il fratello di Joaquim perde la vita in un duello – viene tramandato nell’impero come residuo di un sentimento, la difesa dell’onore. Così tra le pagine si agita una domanda e pure un sospetto: non è forse tutto un tramandarsi di tradizioni tra sonnambuli? Quanto accettiamo della nostra epoca come convenzione solo perché rapiti dal sentimento del tempo? È questa la trappola del corso della storia su cui si interroga Broch – la stessa che forse ha avvilito pure Antonioni – e su cui a dire il vero fa sempre bene interrogarsi in ogni epoca, per fare i conti con gli errori o gli orrori della propria. Tuttavia affondando tra le pagine del romanzo è facile pensare che il tentativo Broch sia quello scagionare i suoi personaggi, come vittime sacrificali del momento storico in cui vivono. Joachim von Pasenow ama la sua uniforme, vi risconosce la traccia della convenzione del proprio tempo, ci si sente a suo agio a indossarla; d’altro canto Bertrand rifiuta e ripudia la divisa, preferisce abiti borghesi per garantirsi una libertà. Entrambi sembrano parzialmente inconsapevoli, sonnambuli della propria epoca.

Nel libro di Broch anche l’amore somiglia a una condanna. Joachim è attratto da Elizabeth, la sposa promessa, ma non riesce a soffermarsi sul perché: la forza misteriosa agisce sopra i suoi impulsi, e lui ci si tuffa dentro come condannato dall’attrazione. Persino nel rapimento appassionato che Joaquim prova per Ruzena, l’altro polo dell’attrazione, l’aspirante attrice boema con cui ha una relazione, sembra consegnarsi a lei in un atto di sonnambulismo (« ed eccoli, due sonnambuli, che quasi in sogno già salivano la scala buia »). È come se esistesse una forza che si esercita sopra di lui, una trappola sopraffina. Non si avvertono le passioni improvvise che pure animano i personaggi di Tolstoj, momenti come quelli tra Anna Karenina e Vronskij che restano folgorati al primo incontro: travolti dalla passione rompono ogni convenzione del proprio tempo, e si trascinano fino alla rovina come due esseri liberi di scegliere la propria distruzione. E allora no, non siamo sonnambuli, non viviamo dentro una trappola – qualunque sia la forza d’attrazione a guidarci esiste una libera passione a animarci; non siamo condannati dalla storia, non dobbiamo accettarla, possiamo sottrarci ai suoi movimenti, alle sue direzioni, possiamo disertare l’esercito di Napoleone, le convenzioni del sentimento e le grandi narrazioni della nostra epoca.

La trilogia di Hermann Broch fa anche da premessa all’avvento del nazismo: dopo essere emigrato negli Stati Uniti per sottrarsi all’antisemitismo, Broch scrive Gli incolpevoli, romanzo in nove racconti che contemporaneamente scagionano e accusano. Gli uomini sono innocenti e colpevoli assieme, e le tracce di quello che sarebbe successo di lì a poco erano già presenti nella Germania pre-nazista. Così, quando il professore Zaccaria degli Incolpevoli dice che “l’antisemitismo è un modo di pensare”, e non un sentimento, Broch pare suggerire che in un modo e nell’altro il nazismo sarebbe comunque emerso dall’anima tedesca. Era presente nello spirito sotterraneo, nel volk che plasmava gli esseri umani, nella borghesia – la figura di Hitler come quella di un sonnambulo d’azione accecato dalle convenzioni del tempo, un carisma inferocito da retoriche ammalate. Anche qui sembra che Broch risolva tutto con una cupa rassegnazione al destino.

Eppure nonostante l’atmosfera di sonnambulismo che invade il cuore romantico di Pasenow, Hermann Broch pare offrire spazi di salvezza e resistenza per sottrarsi alla condanna, come sembra suggerire l’incontro con qualche frase nel testo: « Ci sono serate primaverili nelle quali il crepuscolo dura molto più a lungo di quanto prescritto dall’astronomia ». Non bisogna arrendersi a essere sonnambuli in balia della storia, siamo preda di passioni e sensazioni e percezioni, abbiamo tutto lo spazio per contraddire l’epoca che viviamo, sottrarci alle sue convenzioni. C’è un invito alla speranza nei Sonnambuli, e uno alla riflessione: guardati intorno uomo allo sbando, sei davvero tu quello che sei? Togliti l’uniforme, osserva quanta parte di quello che fai è solamante un tramandarsi – abbiamo il diritto di resistere al nostro tempo, metterci dentro l’istinto, dissentire ai padri e alla loro barba lunga, alle madri o al professor Zaccaria, resistere alla notte più barbara, al corso della storia, restare puri a guardarsi negli occhi. Forse Hermann Broch non voleva condannarci al sonnambulismo, desiderava salvarci, tirarsi fuori dal baratro.

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