I Want To Hold Your Band // Jest

Di solito le band emergenti, di questo periodo, si buttano subito nella registrazione di un Ep in studio prima di provare il grande salto del confronto con il pubblico. C’è chi, invece, fa il percorso inverso, misurandosi più volte nei concerti per raggiungere solo in un secondo momento i canali tradizionali. Che sia una questione di umilità, di mezzi o di tempo, è un segnale che deve far riflettere i molti che provano la strada della musica, quando il sano “farsi le ossa” conta di più di una bella copertina. Di questo si vuole occupare I Want To Hold Your Band, di scovare i pezzi pregiati nascosti nelle province, che non ti vengono a chiedere la recensione ma che ti costringono a farla per come suonano.

Arrivano dal centro dell’Emilia paranoica, questi Jest, che si richiamano al successo letterario di Foster Wallace senza essere, per questo, degli hipster. Non hanno pubblicato una demo ma è uscito da poco un video e tre canzoni in streaming. Quello di cui ci vogliamo occupare è delle loro performance live, ancora intrappolate nella città di appartenenza, Reggio Emilia. È dalla provincia che tutto nasce, i suoi componenti come la loro musica. Un pregio che gli permette di restare con i piedi per terra, cercando di suonare il più possibile, ma che è anche limite, se impedisce di provare qualcosa di più e di restare rinchiusi nel grande marasma dei gruppi giovanili.

La musica dei Jest è una commistione di generi e di diverse esperienze maturate dai differenti componenti della band. Ci sono i Rage Against the Machine e odore di punk in The Swede, ultimo pezzo da loro scritto e presentato pochi giorni fa, ma ci sono anche le influenze più disparate. Dalla musica synth di Orchids al rock più melodico di Disclosure, c’è un rock più duro e aggressivo in Rise’n’Rule. Un genere che non si inquadra e non si compone di una sola corrente, per conciliare al massimo le diverse capacità dei componenti.Capacità che hanno imparato a mescolarsi fra di loro, supportati da una gran batteria e da dei riff sottili e ricercati. L’inserimento elettronico del piano, poi, chiude il connubio tra passato e presente. La componente personale è predominante, la difficoltà di inquadrare il genere cammina a pari passo con l’originalità nel far convergere più stili all’interno di un singolo pezzo.

I live sono, di certo, la parte più importante di questa formazione e il loro grande pregio. Ogni concerto si distingue per forza e sudore, per fatica e riconoscimenti. Li abbiamo sentiti solo qualche giorno fa. Quello che ti capita subito all’occhio è il contatto che instaurano col pubblico. Non c’è il distacco di chi si sente importante, non c’è la complicità delle feste di paese. C’è un vortice, di parole e di movenze, supportato dalla buona capacità scenica del cantante, che fissa una linea di demarcazione tra il semplice concerto “casereccio” e l’assistere ad uno show vero e proprio. Questi sono i Jest, parole rapide che colpiscono per il forte carattere interiore e personale (che solo un ritorno introspettivo alla provincia ti permette di raggiungere): «This melody which my abyss conceal / I take shape of my dreams and I face all my fears» ci dicono in Disclosure, tra le migliori che, finora, hanno prodotto. La carica che portano al loro interno è forse di quella che va sfruttata di più e portata un po’ in giro. L’unico impedimento che gli si pone davanti, per non lasciare il Jest solo come un sogno, sarà dettato dalla loro voglia di essere affamati e continuare a macinare chilometri e sudore su quei palchi che li stanno consumando. E, forse, ne risentiremo parlare.

Qui la Band Page in cui ascoltare i tre pezzi finora registrati

https://www.facebook.com/JESTtheBAND/app_178091127385

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