L’idiota di Elif Batuman e quell’omaggio a Dostoevskij

“Più tardi si vedono le cose in modo più pratico, pienamente conforme a quello del resto della società, ma l’adolescenza è il solo tempo in cui si sia imparato qualcosa.”
M.Proust

L’Idiota è l’esordio letterario di Elif Batuman, americana profondamente ancorata alle sue radici turche. Un romanzo a metà tra la formazione e l’autobiografia, che si pone in diretta continuità rispetto alla precedente raccolta di saggi I Posseduti. Due titoli che rimandano all’amore per la letteratura russa, nella fattispecie a Dostoevskij, anche se la parabola della giovane Selin ne L’Idiota trova più spesso riscontro – in maniera sicuramente meno tragica- nella figura di Anna Karenina di Tolstoj.

Il romanzo è ambientato negli anni ’90 e ammantato da una patina di nostalgico ottimismo: su tutta la narrazione incombe la radiosa prospettiva dell’avvento di internet, la magia della posta elettronica e delle nuove forme di comunicazione. La protagonista è l’alter-ego dell’autrice: Selin, figlia di turchi trapiantata in America, è una matricola curiosa e impulsiva, con una tenace predisposizione all’indagine letteraria. Questa tendenza si manifesta seguendo due traiettorie diverse. Da una parte, Selin ripone fiducia nello studio della linguistica come scienza applicata, possibile chiave di comprensione dei meccanismi del linguaggio. In seconda istanza, la studentessa è fatalmente attratta dalla letteratura russa, densa di domande senza risposta e di questioni morali elettrizzanti quanto disturbanti.


Batuman conduce il racconto di formazione sottolineando proprio tale necessità: Selin esige soluzioni concrete dai romanzi, vuole trovare una corrispondenza esatta nelle forme della letteratura. La protagonista concepisce le grandi storie come esperienze a sé: è inorridita dagli accademici che ne praticano la dissezione individuando le matrici storico-politiche, aspira a rilevare il mistero che esiste nel rapporto tra linguaggio e mondo. Questa visione fatalista e naif della ragazza si incrina grazie all’incontro-scontro col mondo reale e ingarbugliato delle relazioni umane. I due personaggi principali che Batuman fa incontrare alla sua “eroina” sono complementari e opposti. Svetlana è l’amica onnipresente, che colma Selin della sua vitalità e dinamicità; Ivan rappresenta invece l’assenza, l’alimentazione delle speranze e delle illusioni. Entrambi sono funzionali al racconto di formazione e partecipano all’esperienza delle idiozie, necessarie per l’arduo praticantato dei sentimenti di Selin.

La patina vintage che pervade il romanzo crea un’atmosfera ovattata: lo scambio via mail di Ivan e Selin è lento, procede a singhiozzi e tra molte crisi di nervi. In questo senso, Batuman è brava a collegare il suo personaggio a tutta quelle categorie di donne della letteratura, russa e non, sedotte e perdutamente innamorate. La scrittrice tratteggia un amore fisiologico, che scava nelle viscere e provoca dolori reali. Un’immagine tragica, rapportata ironicamente a quella di una teenager che sperimenta una semplice infatuazione fatta di errori, esitazioni, vibrazioni di desiderio. Tra una lezione di fonetica russa e la lettura di un romanzo, si intreccia un rapporto che è sia concreto che letterario, esaltante e terrificante.

Proprio su questa duplicità Batuman tesse il percorso di Selin, che mette in discussione ciò ha appreso dalla letteratura sulla vita. È un apprendistato continuo e a volte fallace, in cui la giovane rivede la propria autostima, la percezione di sé come possibile oggetto di desiderio, il senso della bellezza. La seconda parte del romanzo ha un respiro più ampio: la protagonista esce dalle aule universitarie per un’esperienza di volontariato estiva nelle campagne ungheresi, a contatto con le diversissime comunità locali. Il gioco dell’amore si riduce allora a una partita a scacchi in cui Ivan e Selin cercano la mossa migliore, in bilico tra la finzione letteraria e l’incapacità di comunicare i sentimenti.

Batuman solleva una serie di interrogativi che ogni giovane appassionato di letteratura si è posta. Lo fa con umorismo, seguendo le gaffes dell’ingenua matricola con la tenerezza e l’indulgenza dello sguardo adulto. Selin e Svetlana che provano a guardare La Corazzata Potemkin, lo sforzo inutile nel conformarsi al consumo di alcool, gli interrogativi linguistici, il seminario di “Mondi Costruiti” in cui ciascuno può mettere in scena ciò che vuole: la galassia di Star Wars o un albergo tutto rosa. La narrazione è accompagnata da uno stile fluido, elegante, venato da ironia e goffaggine.

L’Idiota non è un romanzo nuovo, o quantomeno non è il primo romanzo di educazione letteraria e sentimentale che ci capiterà di leggere. Tuttavia, ha l’innegabile pregio di essere un romanzo vero, nella misura in cui è vera e in carne ed ossa una matricola a Harvard nel 1995, col suo bagaglio di pulsioni adolescenziali. Quello che ci regala è forse uno sguardo nuovo sul passato, o meglio, sulla nostra maniera di rielaborare gli errori commessi, di conferire loro una sorta di letterarietà. Forse proprio in questa nostra esigenza di costruire costantemente una narrazione di vita si annida il senso ultimo della letteratura, nonché il suo inesauribile mistero.

a cura di Beatrice Carvisiglia

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