Iggy Pop – Free

Negli ultimi dieci anni sono usciti quattro album di Iggy Pop, di ognuno si è detto che sarebbe stato l’ultimo, il canto del cigno del leggendario Iguana. La settimana scorsa è stato pubblicato Free, il lavoro più recente di questa icona della musica.

Jim Osterberg, nei panni di Iggy Pop ne ha combinate diverse, nel bene e nel male, esplorando la vita fino ai limiti più estremi. Il successo, la depressione, gli amici, le droghe e il fortissimo attaccamento alla vita. Ha inventato il punk suonando un’aspirapolvere nel ’67, si è conteso le attenzioni di Nico con Lou Reed, l’amicizia con Bowie che lo ha salvato e le continue bravate e trovate geniali per stupire e indignare. Un’esistenza intensa, piena di momenti bui, sfogati attraverso il personaggio bestiale di Iggy Pop. La maschera che, a tratti, prende il sopravvento sull’uomo che la indossa. Momenti di delirio alternati a momenti di lucidità e introspezione, che hanno reso il suo percorso tortuoso e pieno di dislivelli.

Oggi Jim ha 72 anni e, dopo il tour di Post Pop Depression (in collaborazione con Josh Homme) che l’ha sfiancato, ha raggiunto piena coscienza di sé. Lo dimostra pubblicando quello che ancora una volta sembra essere il suo ultimo disco e più degli altri suona come tale. Un album in cui ha ammesso con falsa modestia, di aver solo “prestato la voce” e che si tratta dell’espressione di altri artisti. Ovvero di una collaborazione con il trombettista Leron Thomas e Noveller aka Sarah Lipstate, una chitarrista specializzata in “guitarscapes”: sonorità ambient e oniriche interamente suonate da una chitarra distorta.

Somiglia, per i suoni e l’ispirazione ad Après e a Préliminaires, rispettivamente del 2012 e 2009 in cui uno spirito jazz si impossessò della rockstar, che fini per interpretare buona parte delle sue canzoni in francese con leggera ironia; nel 2019 tutto è più convincente. Questo disco è chitarra e tromba, è jazz e ambient, ma è soprattutto la voce stanca di un uomo che vuole liberarsi.

Si apre con Free, una breve intro strumentale in cui viene manifestato un forte desiderio di staccarsi da tutto e tutti. Continua con Loves Missing, un brano molto intenso, che denuncia la necessità di essere amati che tutti ogni giorno urliamo contro il prossimo e a volte non si riesce a sentire. C’è James Bond, con il suo ripetitivo riff di basso e la tromba di Thomas che spicca, e c’è Dirty Sanchez, un brano che denuncia il consumo quotidiano della sessualità online, attraverso il porno. Pare che sia stato Thomas a convincere l’autore di Cock in My Pocket e I Wanna Be Your Dog a cimentarsi nell’interpretazione di questo pezzo che parla della confusione che si crea, venendo a contatto con la miriade di perversioni che possiamo trovare online. Comico quanto necessario alla redenzione e liberazione di una componente della vita di Iggy.

Ogni brano sembra un tassello, uno snodo della sua vita, di cui vuole parlare perché lo ha assimilato e superato.

Il finale, interamente recitato è il punto forte di questo lavoro. Possiamo identificarlo nella triade We Are The People- Don’t Go Gentle in That Good Night- The Dawn. Il primo è una poesia inedita di Lou Reed, in cui la voce cruda è enfatizzata dal suono della tromba. Un ricongiungimento con ciò che secondo la sua esperienza è l’essenza della vita umana: il fatto di vivere costantemente in un limbo. Seguono lo scritto di Dylan Thomas, recitato perfettamente e The Dawn, la conclusione di questa notte passata in riva al mare in attesa della redenzione. Quando finalmente torna la luce ci si accorge di non aver mai avuto bisogno dell’oscurità.

Free non è la vecchia rockstar che prova a suonare giovane e attuale, è un disco frutto di un bisogno reale di esprimersi. Un messaggio ai suoi fan e a chi gli vuole bene in cui vuole dimostrare di essersi finalmente liberato, di tutto ciò che lo ha tormentato. Non so se questo lavoro sarà l’ultimo, ma, ripeto, suona come tale. Il dualismo tra maschera e vita si è risolto per Jim Osterberg, che si è liberato da tutto ciò che essere Iggy Pop ha implicato.

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