Il fallimento dell’Italia nelle sue pallottole

In quelle pallottole c’è il fallimento dell’Italia, il Belpaese che fatica a prendersi cura dei suoi cittadini. A stringere quella pistola non c’era soltanto un uomo senza lavoro e senza casa ma la disperazione di tutti quelli che, come lui, non riescono più a vedere la fine di un tunnel e addebitano alla politica la responsabilità di un’esistenza rovinata. Come dargli torto del resto. Gesti del genere sono da condannare, non solo perché di mezzo ci sono finiti tre innocenti, due poliziotti che facevano il loro dovere e una donna che passava lì per caso, ma perché non portano a nulla, se ci fossimo dimenticati gli anni di piombo. Gli albori di una guerra tra poveri, mentre là, nel palazzo, il governo Letta giurava, arroccato nelle sue stanze, lontano dalle pallottole ma, soprattutto, dalla gente.

 Condannare è un passo necessario, ma non definitivo. I giornali già indagano sul passato di quest’uomo, cercando una scusa per poi lasciar cadere nel dimenticatoio dell’opinione pubblica questa terribile conseguenza. Ciò che emerge è il ritratto di una persona qualunque, col viso di tanti altri ed è questo che deve realmente preoccupare. Non sono parole scritte per giustificare un gesto di questo tipo, non siamo nel clima da far west americano ma bisogna pensare a quanta strada bisogna percorrere prima di arrivare ad una azione del genere. Si spara sempre di più e non serve, necessariamente, una pistola. Sparano i politici quando tradiscono le speranze dei loro elettori. Sparano i cittadini additando le proprie responsabilità soltanto agli altri. Sparo anche io, quando parlo di come vorrei abbandonare questo paese. La verità è che abbiamo creato un giubbotto antiproiettile attorno alle nostre coscienze e voler considerare squilibrata una persona è la dimostrazione di quanta paura ci sia nell’affrontare l’evidenza.

 Siamo lontani dagli anni di piombo perché non ci sono rivendicazioni ideologiche. Se questo gesto non venisse affrontato come dovrebbe ci ritroveremo in mezzo ad una guerra, in cui non ci sono bandiere ma soltanto disperazione e rabbia che, come la storia ci dimostra, non finiscono mai bene. Allora smettiamola di pensare a quell’uomo soltanto come ad uno squilibrato ma ad una persona che non riusciva più ad andare avanti, come tanti altri. Non c’è, purtroppo, una linea di separazione netta fra quello che è avvenuto e il numero di suicidi, entrambi portano lo stesso macabro messaggio. La crisi economica e politica sono soltanto alcuni dei motivi come la mancanza di speranze e di risposte. Il clima di tensione che si sta formando in Italia è una risposta al vuoto che ci sta intrappolando in una rete di paura e fragilità. Può essere anche un gesto di un pazzo e rimanere isolato, ma quei proiettili sono partiti e sono figli, anche, di una retorica che inveisce contro le istituzioni e contribuisce alla formazione di una rabbia muta e senza direzione.

 Un governo non è mai nato sotto una luce peggiore. Questi spari sono l’evidenza che, se non se ne fossero ancora accorti, la situazione è sempre più critica e, a loro, è affidato il compito affinché le pistole, i cappi, i biglietti di sola andata smettano di urlare.

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