IL GRANDE GATSBY – Non è tutto oro quello che luccica

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Complice la Festa del Cinema e le precipitazioni ininterrotte degli ultimi giorni che hanno colpito il Nord Italia, sono stati in molti ad assistere alla prima de Il Grande Gatsby, soprattutto giovani tra i 18 e i 25 anni, una fascia d’età che da un po’ mancava nelle sale, preferendo lo streaming e la comodità di un home teather, ma visti i costi ridotti sembrava impossibile lasciarsi sfuggire quest’occasione. La pellicola uscita in anteprima mondiale – ieri, 16 maggio – ha aperto il 66esimo Festival di Cannes nella più classica delle situazioni: un tripudio di celebrità ha sfilato sul red carpet nonostante la pioggia, da Leonardo di Caprio, Tobey Maguire e Carey Mulligan, protagonisti del film di Baz Luhrmann, fino a Florence Welch e Lana Del Rey che hanno partecipato alla realizzazione della colonna sonora.

Le aspettative, come per ogni film ad alto budget che ricostruisca un grande classico della letteratura, erano molto elevate, soprattutto perché si parla della quarta trasposizione cinematografica de Il Grandy Gatsby, che non era stato più messo in scena dal 1974, anno in cui la squadra  formata da Jack Clayton e Francis Ford Coppola (rispettivamente regia e sceneggiatura) si era portata a casa due Premi Oscar e un Golden Globe. Se la versione di Clayton-Coppola, con protagonisti Robert Redford e Mia Farrow, era stata considerata “didascalica”, molto vicina al tessuto narrativo e concettuale dell’opera di Fitzgerald, lo stesso non si può dire di quella di Luhrmann.

Ciò che il regista di Moulin Rouge! non è stato in grado di tratteggiare sono i temi fondamentali, i veri e propri pilastri del romanzo americano, ma semplicemente accennati attraverso una recitazione non sempre eccezionale. Luhrmann ci ha da sempre abituato alla spettacolarizzazione degli eventi, ci ha stupito, attratto e divertito, ma tali parametri non possono essere applicati universalmente. Questo sarebbe stato il caso di non cimentarsi in un’operazione simile. La musica incessante, i costumi sfarzosi e i colori sgargianti e vivissimi sono al centro di una scena che per due ore e mezza rimane accesa senza mai attenuarsi, a tal punto da risultare esasperante, fin troppo brillante. Questa scelta stilistica impedisce allo spettatore di affezionarsi ai personaggi e di entrare nel vivo della vicenda, così avvinto dai suoni e delle immagini piuttosto che dalla trama.

Fin dalle primissime scene le grandi feste organizzate nel palazzo di Gatsby vengono accompagnate da una colonna sonora che per i puristi del capolavoro letterario potrebbe apparire come un vero e proprio sacrilegio; Jay-Z, Beyoncè, will.i.am sono solo alcuni degli artefici degli scatenati party hard degli anni ’20, in cui a riportarci a quel passato mitico e ruggente rimangono solo più degli indemoniati trombettisti afroamericani. La decisione è ancora una volta discutibile, e forse qui possiamo dare una stellina di merito a Luhrmann che ha il pregio di dividere il pubblico: ci sono quelli come me che hanno pensato di trovarsi in un video di Lady Gaga o Snoop Dogg per buona parte del film, ma sono sicura che in molti hanno apprezzato gli eccessi da musical, un genere che personalmente non apprezzo, ma di cui riconosco la bellezza.

Di Caprio-Gatsby conferma però la sua bravura, e come ha riconosciuto la stampa del Festival di Cannes è forse l’unico degli attori che ha saputo riportare in vita il personaggio cartaceo, probabilmente un po’ troppo dandy, ma certamente meno macchietta degli altri interpreti. In lui risiede la paralisi di un mondo che corre troppo veloce, incapace di riemergere da un abisso di solitudine dal quale non potrà evadere nè in vita nè nell’aldilà. Un uomo solo che muore solo, è questo il messaggio di Fitzgerald, che Luhrmann mette in scena abbastanza fedelmente per il funerale di Gatsby-Di Caprio. Rimangono solo le lacrime di un unico amico, Nick Carraway-Tobey Maguire a salvare l’immortalità del ricco uomo d’affari.
Ciò che manca a Il Grande Gatsby targato Luhrmann sono le emozioni, anche quelle derivanti dal vuoto e dalla perdita dei valori. Non è tutto oro quello che luccica: in questo film l’esasperazione dell’effimero lo ha reso a sua volta sbiadito.

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