Letture boreali: Il grande Nord di Malachy Tallack

Malachy Tallack è stato tra i protagonisti dell’ultima edizione de I Boreali, il festival italiano dedicato alla cultura nordeuropea che ogni anno mette voglia di dirottarci in letture boreali. Sul palco del Teatro Franco Parenti, lo scrittore e cantautore folk britannico ha presentato Il grande Nord, pubblicato da Iperborea nella traduzione di Stefania De Franco.

Il libro è un irrequieto racconto di viaggio lungo la linea immaginaria del sessantesimo parallelo, dalle isole Shetland all’Alaska, dalla Siberia alla Scandinavia. Tallack scrive e annota nel tentativo di cercare la rotta di casa, laddove casa è territorio aperto e mai confinato a un punto soltanto.

A differenza della geografia politica o culturale, il sessantesimo parallelo è certo e definitivo: non risente dei capricci della storia”.

Paralleli e meridiani non sono esposti agli umori e alle contese dell’umanità: se ne stanno fissi in attesa di passanti e visitatori. L’esperienza di viaggio lungo il sessantesimo è per Tallack un richiamo a cui è difficile resistere. Si può partire per partire, come suggeriva Baudelaire, oppure per scrivere e tenere traccia: Tallack è preda di entrambe le urgenze.

Mosso da una pulsione di inquietudine che lo spinge a desiderare ciò che è altrove e non qui, lo scrittore attraversa il Nord estremo, si fa narratore di visioni e incontri, storie e leggende lungo una rotta di terre aspre e selvagge. Non è facile trascinare un lettore assente, renderlo complice e compagno di avventure, ma la scrittura di Tallack è coinvolgente, le tappe della traversata hanno mistica e fascino, l’irrequietezza spinge al miraggio della terra ignota, tra ghiacciai, bianchi fiordi, burrasche e camminate.

Isole Shetland. Credit: hamish duncan, unsplash

Sulle isole Shetland, terra nativa di Tallack, estremità nord della Gran Bretagna, punto di partenza del viaggio, un vento desolato soffia e ci scombina i capelli. Possiamo vedere le rocce, i folletti incantati e la torba, “diario biologico della storia delle isole”.

Nel suo saggio La Palude, la scrittrice americana Annie Proulx ha descritto l’importanza delle vecchie torbiere nel paesaggio britannico: in Tallack le ritroviamo intatte e pure. C’è in effetti una sorta di sregolata incontaminatezza nel cammino lungo il sessantesimo parallelo, dove la natura ha ancora una forza di resistenza, e il mondo rimane misterioso.

In Groenlandia non ci sono strade tra i centri abitati, ci si muove in elicottero o a bordo di un traghetto, la natura “fa parte della comunità”, e gli inuit combattono una quotidiana battaglia per preservare il suolo dagli interessi delle nazioni predatorie. A dire il vero gli inuit cercano di preservare non solo la terra ma anche sé stessi, se pensiamo ai contraccettivi impiantati senza consenso dal governo danese negli organi riproduttivi delle donne inuit. Una storia di violenza che sta emergendo solo negli ultimi anni.

Tallack ci porta a contatto con una popolazione che si è adattata alla terra e al gelo, che ha provato a resistere alla volontà annientatrice dell’altro e alle sfide del luogo che abita. Il nord estremo è un luogo magico e sovversivo.

“Il viaggio verso nord è un allontanamento dal cuore della civiltà e della cultura per affrontare l’ignoto e l’altro.”

Canada, Alaska, Siberia, Scandinavia. Se il parallelo è un tratto immaginario di matita, c’è qualcosa di più essenziale a legare l’esperienza di uomini e donne del sessantesimo. I suoi abitanti sono abituati a mettere alla prova una capacità di resistenza alla natura, ad accettare la lotta con la terra, a restare all’erta di fronte a possibili irruzioni straniere o incontri con animali selvatici.

Nel profondo nord del Canada, i nativi sono stati “sfruttati, discriminati e maltrattati”, cristianizzati dai missionari d’Occidente, in buona parte scacciati dal continente americano. In Alaska ci si può imbattere nell’incontro con un orso mentre si va a pesca e si fischietta una canzone di Bob Dylan; succede a Tallack in un momento di ritrovata comunione con le ballate folk. Ricorda dove ti trovi, sembra sussurrare l’orso.

Stolman, Norvegia. Credit: felix rottmann, unsplash

Là nelle terre selvatiche, dove si rischia di smarrire la lingua e le coordinate che guidano uomini e donne, Malachy Tallack arriva a provare sentimenti di repulsione e spavento: a contatto con l’ignoto e il selvaggio vive momenti in cui perde il senso di sé stesso, eppure avanza. C’è una giovane incosciente avventatezza in quest’uomo delle Shetland che si è messo in testa di vagare per un intero parallelo alla ricerca di un’illuminazione, o solamente per seguire un’ossessione.

Oltre l’Alaska c’è la Siberia, terra d’esilio, che costringe al nomadismo perenne. Nel “luogo ideale in cui scaricare gli indesiderati” si trova la colonia penale dove nei giorni scorsi è morto Aleksej Navalny. Tallack evoca Memorie dalla casa dei morti, e i racconti della Kolyma di Varlam Šalamov, lo scrittore sopravvissuto ai gulag siberiani, luogo dove “tutti i sentimenti umani abbandonano il corpo”. Nell’immensa e gelida regione la memoria comune incontra i suoi prigionieri, i mandati all’esilio, i messi a tacere.

Le storie del sessantesimo parallelo sono infinite, una volta aperto il vaso di pandora straripano sulla faccia del lettore, e Tallack continua il cammino per cercare storie. Fa tappa nella popolosa San Pietroburgo, nella cittadina di Repino, va in Finlandia, nella tranquilla Ekenäs e sulle isole Åland. Il grande Nord potrebbe essere un’esperienza di estensione di corpo e spirito. Mentre le linee contemporanee del viaggio tendono a restringersi, il libro resta perfettamente aderente al tempo contemporaneo. Nelle terre scandinave Tallack annota sui taccuini la crescita del nazionalismo e dell’estremismo di destra.

Se qualche anno fa Knausgaard raccontava come gli estremisti di destra non abbiano elmetti, stivali, uniformi, ma siano sempre di più, oggi ci giriamo intorno da un parallelo all’altro, e assistiamo al moltiplicarsi del fanatismo nazionalista. Toccando Svezia e Norvegia Tallack non poteva fare a meno di annotare il fenomeno. Del resto, il suo racconto di viaggio non è un diario di azioni e fantasie di passaggio. Nel Grande Nord si intrecciano geografia, storia, attualità, leggende, futuri, appunti sul clima e mutamenti della terra; un libro da poggiare nello scaffale della letteratura di viaggio in mezzo alla moltitudine di esperienze di cammino. Da tirare fuori all’occorrenza.

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