Il nuovo film di Wes Anderson è una lettera d’amore al cinema giapponese

Scelto come film d’apertura per l’ultima edizione del Festival di Berlino e premiato con l’Orso d’argento per la Miglior regia, L’isola dei cani – Isle of Dogs di Wes Anderson è tra le grandi novità in sala da martedì Primo Maggio.

Dimenticate pure prospettive impeccabili e delicate palette dai colori pastello: per il suo nono lungometraggio l’autore di Gran Budapest Hotel, I Tenenbaum e Monnrise Kingdom ha scelto di tornare a una tra le più antiche e complesse tecniche di animazione cinematografica (già sperimentata nel 2010 con Fantastic Mr. Fox): il risultato è il più lungo e complesso film in Stop Motion mai realizzato.

L’Isola dei cani è anche la lettera d’amore di Wes Anderson al cinema giapponese (in particolare Akira Kurosawa) e l’immaginario nipponico in genere: dalle maschere del teatro Kabuki agli scenari naturali, ritratti con delicate sfumature ad acquerello.
Dalle miniature in plastilina animate fotogramma per fotogramma in Stop Motion (anche detta tecnica del “passo uno”) alle migliaia di fondali dipinti a mano, Wes Anderson realizza un film fuori del tempo, senza alcun ausilio di CGI e computer grafica, quasi straniante per eterogeneità e ricchezza dell’amalgama audiovisiva.

2037. In un immaginario Giappone del futuro, il potere assoluto appartiene al sindaco della città di Megasaki. In seguito ad una (vera o presunta) epidemia d’influenza canina, il dittatore ha deciso di esiliare tutti i cani del paese sulla Trash Island: letteralmente un’isola d’immondizia. Sarà proprio il nipotino del sindaco, intrepido dodicenne di nome Atari Kobayashi, a dirottare un piccolo aeroplano e atterrare sull’Isola dei cani: scopo della sua missione ritrovare il fedele cane Spots. Ad accompagnarlo nella missione (apparentemente impossibile) un branco di meticci con qualche macchia ma senza paura: Rex, Chief, Duke, Boss e King. Gli improbabili cagnacci si riveleranno compagni coraggiosi e leali, proteggendo Atari dall’esercito e dai molti pericoli di una missione che, in fondo, mira alla libertà e il riscatto di tutti, umani e quadrupedi.

Scritto con i collaboratori di sempre, Roman Coppola e Jason Schwartzman, e l’aiuto dell’attore Kunichi Nomura (uno degli interpreti di Grand Budapest Hotel), L’Isola dei Cani riunisce anche tutti i grandi protagonisti del cinema di Wes Anderson: un coacervo di voci d’eccellenza, tra cui Bill Murray, Edward Norton, Tilda Swinton, Jeff Goldblum, Greta Gerwig, Scarlett Johansson, Harvey Keitel, Frances McDormand e perfino Yoko Ono (nella parte di se stessa).

Voci familiari a parte, Isle of Dogs è un’opera di rottura, che non somiglia a nessun film d’animazione che abbiate già visto. E se la poetica di Wes Anderson resta la celebrazione di weirdo e drop-out, strambi, diversi e chiunque viva relegato ai margini della società, questa nuova variazione sul tema rappresenta una scelta di sperimentazione radicale, lontana dai tratti distintivi che hanno fatto la fortuna del suo cinema.

Per questo, L’isola dei cani è un film destinato a spiazzare sia i fan che i detrattori del regista texano, conquistando perfino i più intolleranti alle vecchie cartoline dai colori confetto (o come cantavano I Cani “inquadrature simmetriche e poi partono i Kinks”)… Lasciatevi stupire: in un mare di immagini omologate, il nuovo film di Wes Anderson è un autentico atto d’amore per l’arte cinematografica.

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