Il pubblico è la mia necessità | Intervista a Cimini

Cimini

Telefonare a Cimini per un’intervista programmata, dopo l’ultimo singolo A14 uscito a inizio giugno, e sorprenderlo in Autogrill che pranza è un po’ come intervistare Cremonini che fa un giretto in Vespa canticchiando o cogliere i Blink 182 impazienti al bancomat prima del video di The Rock Show. Difficile si senta più a casa di così. «E ho davvero rubato la coca cola», confessa subito. È la conferma: hai beccato il momento giusto. Ma non così raro, visto che quest’estate il cantautore 30enne di Cosenza, radicato a Bologna, sta rimbalzando da una punta all’altra dello Stivale. «Spero che Autostrade per l’Italia mi regali, che so, un pupazzo. O una Rustichella, un Camogli, un Apollo». Sì, forse Cimini ha davvero bisogno di una pausa, soprattutto dal menù dell’Autogrill ora che quella dai plachi è dietro l’angolo. Precisamente il 9 settembre, allo scoccare dell’ultima nota del concerto a Reggio Emilia in occasione dell’Eleva festival, che si terrà all’Arena Ente Fiere dove dividerà il palco, tra gli altri nella line up della due giorni 8 e 9 settembre, con Nu Guinea, Capofortuna, M¥SS KETA, The Andrè, Bruno Bellissimo e tanti altri. «Siamo tristissimi, le date stanno per finire e poi non sapremo cosa ci aspetta».

Partiamo proprio da questo, dopo la pubblicazione di Ancora Meglio e di un periodo – di studio e palco – matto e disperatissimo, cosa farà Cimini quando si sveglierà la mattina del 10 settembre?

Ci sono un sacco di cose che mi terranno impegnato. Al momento non ho timori, sento la necessità di riposarmi. Non sono state solo 42 date, ma 65: il tour è iniziato con l’uscita del disco il 9 marzo. E quando non ci sono stati concerti, ci siamo chiusi in studio. Diciamo che a breve termine non ci aspetta un periodo di pausa. Pure perché c’è quella voglia di fare e continuare, con i miei amici che quotidianamente mi accompagnano, siamo presi bene. Poi se non avrò nulla da fare, scriverò una canzone o piangerò (dice mentre ride, nda). Ma di certo non ho voglia di fermarmi.

E il paradosso è che questo periodo intenso arriva dopo due anni di pausa dalla musica. Lo immaginavi?

È la chiusura di cicli di vita, soprattutto ora che l’aspettativa di vita è lunga è impensabile sperare che si prosegua a senso unico. Avevo iniziato a scrivere canzoni, le ho pubblicate ma ho interrotto perché avevo smesso di credere nella musica intesa in un certo modo. Ed eccomi di nuovo qui.

Perché avevi smesso di crederci?

Non mi hanno fatto sperare. Mi sono trovato in un mondo in cui la musica era sfruttata per fare pochi soldi e guerre tra poveri, con chi non mi ha fatto capire che invece è emozione. Non mi sentivo rappresentato, così ho deciso di chiudere. Ovviamente come reazione all’abbandono della musica, ho comprato un pianoforte elettrico. L’ho messo in camera e ho iniziato di nuovo a scrivere canzoni. Non me ne fregava nulla di farle ascoltare, poi è nata la necessità di farle uscire così ho scelto qualche amico, successivamente Garrincha Dischi e si è aperto un nuovo ciclo. È stato un po’ come quando ti lasci con qualcuno. La storia d’amore finisce, ti prendi del tempo per metabolizzare e poi incontri la persona dei tuoi sogni. Temi che finirà ma te la vivi lo stesso. Ecco, io ora sono innamorato.

Che sia un amore contraccambiato lo dicono i numeri e l’entusiasmo che si percepisce nei concerti. Stai girando davvero ogni angolo e palco. Come è l’Italia oggi?

La musica è l’unica speranza di questo paese, diventa seria anche come distrazione. Scrivo canzoni sperando di creare empatia e noto che in effetti c’è. Anche nel disagio. Parlo di fatti miei e poi mi accorgo che quel disagio è condiviso. Non so se sia generazionale o meno. Come quando una ragazza è venuta a ringraziarmi e mi ha detto: «La legge di Murphy è la mia vita». No! È la mia di vita, quando c’è stato da pagare soldi, da subire cose concrete, l’ho vissuto sulla mia pelle. Ma la cosa più bella, che mi è successa diverse volte, è sentirsi dire «Tu sei uno di noi». Ecco io lì mi commuovo e penso davvero che ci siamo capiti».

La sensazione è che oggi questa vicinanza tra pubblico e artista non sia rara: l’artista arriva prima, si ferma per after show, pubblica singoli per non restare in silenzio e poi si racconta sui social. È un modo per ovviare al disinteresse verso i dischi?

Che si vendano pochi dischi è un fatto ma non significa che non c’è necessità della musica. È nata con l’uomo, forse grazie a qualche primitivo che si è messo a urlare nella caverna ed è diventata linguaggio. E tuttora c’è la necessità fisica e artistica di creare linguaggi, di sviluppare un dialogo continuo. Anche la musica è in continua evoluzione e risponde a questi bisogni. Poi c’è internet, Spotify e vari. E ogni artista ha suo canale, un suo modo di usarli. A me piace essere una persona che sta molto a contatto con il pubblico, se ho scritto alcune canzoni era perché avevo bisogno di affetto. Non è il pubblico che si vuole godere Cimini ma Cimini che si vuole godere il pubblico, è la mia necessità.

E dal lato economico?

A livello strategico per arrivare a più persone, serve farsi conoscere. Ma non è un facile obiettivo. Sarebbe più utile fare mille concerti per i biglietti ma per noi c’è un lato tecnico che è molto curato e non può essere tralasciato tanto che buona parte del guadagno se ne va in spese tecniche. Cerchiamo di basarci sulla qualità, abbiamo dei tecnici assurdi che ci accompagnano oltre che musicisti bravissimi. Non è per guadagnarci, poi certo si cerca di crescere e magari una volta che potremmo approfittare del lato economico lo faremo. Diciamo che attualmente non è nei nostri pensieri.

Non è difficile crederci sentendo la tua voce, a tratti ingenua, da bravo ragazzo.

«Ma perché è così. E comunque è vero, fino a qualche anno fa ho peccato di ingenuità ma me ne sono reso conto dopo. Io parto timido ma poi le cose le capisco (sorride, nda). Il bello è anche viversi qualche errore. So che a livello artistico appaio come una persona molto normale, non mi piace tenere muri tra artisti e pubblico, ma a volte ho paura che questo aspetto penalizzi l’artista, faccia venire un po’ meno quel velo di magia e di mistero. Ma, diciamocela tutta, non me ne frega. Io scrivo canzoni, sono buono, normale, sono me stesso in ogni cosa. E a volte, come tanti, rischio di prenderla in posti sbagliati

“Chi si incula Cimini”, appunto, come in La legge di Murphy. Si rischia anche tra artisti?

Non manca la competizione. Poi con qualcuno nella vita quotidiana si riesce a essere amici, c’è un giusto confronto. Con Lodo di Lo Stato Sociale e Calcutta che mi ha aiutato soprattutto a livello morale con il disco, c’è un’amicizia sincera, una conoscenza che non si basa sulla musica ma sul fatto che siamo dei gran cazzoni. Con Edo (Calcutta, nda) in particolare ci sentiamo sempre nella vita privata. Siamo due artisti in un mare di artisti e in questo mare la competizione c’è, non la giustifico ma non posso farci nulla. Ed è assurdo perché l’unione farebbe la forza, specie nella scena indipendente italiana.

In questo mare, nell’autunno 2015, eri considerato tra le dieci novità emergenti dalla rivista musicale Rockit. Oggi chi è Cimini artista?

Lo dissero quando ancora facevo altro e a loro modo ci hanno preso. Con Garrincha, soprattutto con La legge di Murphy, abbiamo deciso di evitare di buttarci nel campionato ma di volare basso. Di sudarci un po’ di cose, in controtendenza al fatto che oggi si tende a ottenere tutto e subito. Volevamo essere alternativi anche in questo. A fine tour posso dire che in qualche modo ci siamo riusciti, ci siamo tenuti fuori dalle logiche che non ci appartenevano. Ma nonostante questo non so chi sono.

A Cosenza lo sanno?

La Calabria mi fa stare con i piedi per terra. Mi ricorda che il mondo della scena musicale indipendente è altro, non è la vita reale. Ci sono persone fuori target che nella mia terra mi dicono, «quando diventerai famoso». E misuro anche la forma della superficialità: quando sono tornato a casa mia dopo il primo maggio, c’è stato chi mi ha visto in tv e ha cambiato atteggiamento. Non so, come se mi guardassero con occhi diversi.

E a te manca essere Federico e non Cimini?

Nella vita di tutti i giorni lo sono, con le lavatrici, la spesa e altri momenti privati in casa. Poi quando lavoro è un’altra cosa. Ma essere sempre se stessi è importante, sarà per questo che non mi manco.

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