Il racconto della sera | Adelphoi

Torniamo a sussurrarvi storie per la sera – ma non abbiamo niente in contrario se le leggete al mattino. Oggi Paolo Bergamaschi ci racconta Adelphoi, storia di due fratelli. Buona lettura. Per inviare una proposta di racconto puoi scriverci a lindieracconti@gmail.com

Erano già scoccate le sette quando Giacomo inserì le chiavi nella toppa e, dopo due mandate, entrò in casa. Fuori la strada era già avvolta nell’oscuro abbraccio della nebbia e dei lampioni, segno che l’estate ormai era finita. Non appena lo zaino di Giacomo fu posato al suo posto, di fianco alla porta della camera del proprietario, dalla penombra del salotto una domanda, o meglio una constatazione stupita arrivò alle orecchie di Giacomo: “Sei tornato tardi oggi? Come mai?”

Erano parole di Giovanni, fratello maggiore di Giacomo. Ogni pomeriggio, quando Giacomo tornava, sempre puntuale, o quasi sempre, dall’università, o dalla biblioteca, lo trovava ad accoglierlo in casa come se durante il giorno l’occupazione del fratello non fosse altro che quella di aspettarlo. Docile e fedele, come un cane.

“Sì, Gio, hai ragione. Oggi ho finito prima la lezione, e mi sono messo a studiare con Angela. Te la ricordi? La figlia dei Fanceschi, gli amici di papà e mamma. Massì, erano i nostri vicini di ombrellone ogni anno. Non la vedevo da anni: mi ha riconosciuto lei: si è da poco trasferita in città e ha iniziato i miei stessi studi.”

Giovanni, come ogni giorno, stava ad ascoltare il fratello con molta attenzione e non mancava di fargli domande. Normalmente si trattava di Giacomo che gli spiegava l’argomento dell’ultima lezione e rispondeva alle sue curiosità: infatti nonostante Giovanni non studiasse era sempre molto aggiornato. Da bambini i due fratelli erano stati, sì, uniti come molti fratelli maschi, ma, forse data la differenza di età, non avevano mai condiviso realmente qualche interesse, come molti fratelli maschi. Se non quello ereditato dal padre, la fede calcistica. Ora, invece, che Giacomo aveva raggiunto Giovanni, passavano ore, nei finesettimana addirittura giorni, a parlare. L’affiatamento era al massimo, i pensieri dell’uno non erano mai in contrasto con quelli dell’altro, anzi tendevano a completarsi. Come se di due corpi la mente fosse una unica.

Così quella sera Giovanni stette ad ascoltare il resoconto di Giacomo sulla sua giornata con Angela. Poi mangiarono e dopo un paio di sigarette sul divano si coricarono. Il maggiore dei due sembrava proprio contento, il minore gli leggeva in faccia e negli occhi tutti i segni riconducibili all’orgoglio. Ma forse li stava confondendo con quelli del sollievo e della speranza. Infatti, il legame tra i due fratelli che negli ultimi tempi si era venuto ad instaurare aveva un costo. Tutto il tempo che Giacomo passava chiuso in casa a fumare e a stare col fratello era tempo che non avrebbe speso con altre persone: amici coetanei ragazze. Giovanni di questo non aveva mai fatto parola a Giacomo, ma quest’ultimo in cuor suo sospettava che Giovanni lo pensasse e che per questo si preoccupasse per lui. Una cosa naturale, pensava Giacomo, io per lui sono ancora il fratellino.

L’indomani Giacomo tornò a casa ben oltre le nove e trovò Giovanni che lo aspettava in cucina. “Ma come, Gio, non hai ancora mangiato? Scusami: non ti ho avvertito, non c’era bisogno che mi aspettassi”.

“Non ti preoccupare, sai che non ho molta fame, aspettare te non mi pesa. E poi non saprei proprio dove mettere mano per prepararmi anche solo un panino. Ma tu piuttosto, che cos’è questo sorriso? Raccontami, a cosa è dovuto questo ritardo?” E completò il significato della domanda con un sorriso ammiccante che non lasciava scampo al fratello. Da parte sua, Giacomo non aspettava altro che qualcuno gli facesse quella domanda. Come è tipico delle persone timide quando tornano dai propri cari a raccontare, tutti emozionati e trepidanti, cogli occhi illuminati di quella luce, del primo incontro con qualcuno di cui sono già persi.

“E’ un’amica di Angela: si chiama Sofia. È bionda, con gli occhi azzurri: l’ho conosciuta oggi, fa psicologia. È molto dolce: parlare con lei è stato bello, non mi sono sentito in imbarazzo come al solito. È per come mi guardava, sai, sembrava che già sapesse tutto, come se mi conoscesse da sempre…no, non l’ho ancora invitata fuori, sei pazzo? E come farei? Mi conosci non sono come te!”

La conoscenza che aveva fatto di Sofia lo elettrizzava, ne parlò per tutta la sera col fratello. E anche le sere successive: Giovanni gli dava consigli e lui ascoltava, anzi sembrava bersi ogni parola pronunciata dal fratello, come fosse un elisir di lungavita. Stavano studiando una strategia, così, a quanto pare, si diceva in gergo. Quale fosse il momento propizio per invitarla e il luogo migliore in cui portarla, cosa dirle e quali argomenti evitare, se fosse meglio chiedere un parere ad Angela o meno: scelsero di non coinvolgerla, almeno fino a quando Giacomo e Sofia non sarebbero, finalmente, usciti insieme.

Questo avvenne il primo sabato successivo. Era tornata l’alta pressione, e l’autunno regalava ai due giovani studenti forse l’ultimo pomeriggio soleggiato, con conseguente tramonto romantico, che i due videro, o meglio non videro, stretti, ad occhi chiusi, nell’abbraccio delle loro labbra, seduti su di una panchina davanti agli stagni.

Avevano preso un caffè in un locale all’angolo della via che precede l’entrata del parco, e poi un gelato dal baracchino davanti agli stagni, e poi… Giacomo non vedeva l’ora di arrivare a casa e di raccontare tutto al fratello. Se già la settimana prima era rimasto così contento delle sue recenti imprese, chissà come sarebbe stato felice oggi a sentire questa storia! Sì, Giacomo, che, dopo aver calorosamente salutato Sofia, stava rientrando verso casa, stava quasi correndo per le strade, aveva proprio stampato sul volto un sorriso ebete.

Ma quando fu rientrato a casa, questa volta, dopo chi sa quanto tempo, Giacomo non trovò Giovanni. Giacomo non trovò nessuno a casa: non c’erano segni di scassino, né tantomeno mancava qualcosa. Tutto era al proprio posto, solo Giovanni era assente. Nella sua stanza, Giacomo vide che era tutto come sempre: la scrivania sgombra, il letto rifatto alla perfezione senza alcuna piega, e i vestiti chiusi in ordine nell’armadio.

All’inizio il fratellino si inquietò parecchio di questa sorprendente sparizione, se ne preoccupò. Pensò di chiamarlo al telefono, ma subito si ricordò che da anni Giovanni aveva smesso di rispondere. Pensò di chiamare la polizia, ma per cosa? Sequestro? Scomparsa? No, d’altronde Giovanni era lui quello grande, sapeva benissimo badare a se stesso. Forse era uscito a trovare qualche vecchio amico, o forse qualche altra sua conoscenza era venuta in città e così erano andati a bere qualcosa. Man mano che rifletteva, Giacomo si tranquillizzava, e si tranquillizzò definitivamente, nel senso che non pensò più al fratello che non c’era, quando il suo telefono vibrò in tasca. Era un messaggio di Sofia: in poche parole diceva che era stata davvero bene quel pomeriggio.

La seconda volta che si videro a un appuntamento, lei lo aveva invitato a cena a casa. A quanto diceva, Sofia in cucina era una spada: era stata cresciuta in un ambiente di fuochi e cuochi: i suoi avevano un ristorante, così se non l’attività, almeno aveva ereditato la passione. E per la gola di Giacomo anche la destrezza. La cena andò benissimo, il vino che aveva portato Giacomo sposava a meraviglia con i manicaretti di Sofia, e la luce delle candele infiammava i volti dei due ragazzi e la stanza al punto che spostarsi sul divano e poi passare la notte avvinghiati l’uno all’altra fu lo sbocco naturale della serata.

Per la prima volta dopo molto tempo Giacomo si svegliò in un letto che non era il suo, in una casa che non era la sua, e fece colazione con qualcuno che non era suo fratello. Aveva passato la notte fuori ma sembrava che per il ragazzo questa fosse una cosa normale. Come se lo avesse sempre fatto, e quindi non c’era da sorprendersene. Al fatto che non avesse avvisato Giovanni, che poteva essere veramente in ansia in questo momento, che potesse aver chiamato la polizia e che lo stessero già cercando, Giacomo nemmeno pensò. In realtà era da qualche giorno, dalla sera in cui aveva per la prima volta baciato Sofia, che Giacomo non pensava a Giovanni. Né in modo cosciente, né secondo quei giri oscuri che a volte le nostre teste fanno, in modo incosciente. Semplicemente l’idea, in qualche modo, del fratello non lo aveva sfiorato negli ultimi giorni. D’altra parte, Giovanni non si era ancora fatto vedere dopo quella volta.

Passarono settimane, poi mesi. Giacomo e Sofia continuavano a frequentarsi: a volte andavano al cinema, altre volte a bere un cocktail, molto spesso stavano in casa, chiusi in camera sotto al piumone, sul divano nudi a cenare, oppure studiavano. Anche quando non erano insieme erano sempre presenti l’uno all’altra nei rispettivi pensieri. Fu un inverno bellissimo per Giacomo, dopo molti anni, era tornato ad essere felice quando nevicava. Con Sofia al proprio fianco della neve vedeva soltanto la leggerezza con cui i fiocchi cadono in volteggi e circonvoluzioni; quel senso di oppressione e di costante spaesamento che danno i paesaggi innevati, che per molto tempo non era stata che la sola faccia per lui dell’inverno, non trovava posto nei suoi occhi.

Fu per questo che ciò che successe con la primavera trovò Giacomo indifeso. La piacevolezza con cui quell’inverno era scorso via, e con lui anche le feste, che si sanno essere un periodo difficile per molti, aveva persuaso Giacomo, che intanto si stava preparando per la sessione d’esami, a credere che le cose stessero andando bene. Si accomodò, dunque. E questo fece male alla loro relazione.

Lei gli rimproverò di averla trascurata, lui si scusò dicendo che era molto impegnato con lo studio. Lei gli disse che non era più come all’inizio e che le mancavano quei momenti, lui rispose che le cose crescono nel tempo e le promise che si sarebbe impegnato. Alla fine, litigarono.

Mentre tornava verso casa, Giacomo aveva gli occhi lucidi per il freddo, e sotto la giacca aveva caldo per la rabbia. Dentro di sé sapeva che era finita, ne aveva una paura enorme. Sapeva che era finita perché se fosse stato per lui non l’avrebbe fatta finire. Quando entrò in casa era disperato, Giovanni lo notò subito, e anche se il fratello non aveva ancora aperto bocca, ne indovinò il motivo.

L’aiuto del fratello maggiore fu indispensabile per Giacomo nei giorni successivi. Oltre a tirargli su il morale, gli diede il suo punto di vista sui loro problemi e questo lo aiutò a comprenderli meglio. In un certo senso anche a superare la cosa, a fargli capire che avrebbe dovuto superare la cosa assieme a Sofia.

Così dopo quel furibondo litigio Sofia e Giacomo tornarono insieme. Ma come spesso succede in queste situazioni, fu solo momentaneo. Una mattina, a casa di Giacomo le cose precipitarono nuovamente, ma per altri motivi. Il giorno prima Giacomo l’aveva invitata a cena a casa sua perché voleva presentarle suo fratello Giovanni, più grande di lui. Erano a passeggio per la città e quando entrarono a casa di Giacomo il fratello non c’era. Doveva essere uscito, in fondo non era stato avvisato di quella visita. Sarebbe stato per un’altra volta, se solo l’indomani Giacomo e Sofia non si fossero lasciati, per sempre.

La rottura con Sofia fu una mazzata per Giacomo, passò l’estate in casa a combattere contro le zanzare e il caldo con Giovanni e a recuperare gli esami rimasti indietro. Ma poi col tempo la ferità si rimarginò, e poco alla volta Giacomo iniziò a non pensare più a Sofia: prima tornava a lei alternativamente andando in collera e con trasporto di nostalgia, poi diventò un pensiero di sfondo su cui non si soffermava se non per poco, e infine uscì dall’orizzonte.

Con l’inizio del nuovo anno universitario, Giacomo riprese i corsi e gli studi. In breve tempo si fece assorbire dalla propria routine, così come aveva sempre fatto fino a prima della conoscenza di Sofia. Passava le sue giornate al ritmo, per lui confortevole, di lezioni, biblioteca e serate col fratello. Che dal canto suo, Giacomo ogni mattina, tranne nei finesettimana, lasciava a casa quando usciva e, puntuale, a casa lo ritrovava quando tornava.

Un pomeriggio dello stesso autunno seguente, Angela e Sofia, che non si vedevano da parecchio tempo a causa dello scambio all’estero della prima, presero un caffè nello stesso bar all’angolo coi giardini. Come è facile da immaginare, le due amiche avevano moltissime storie da raccontarsi e su cui confrontarsi per ben più tempo di quanto ne richieda la bevuta di una tazzina di caffè. Ovviamente l’argomento scottante e attorno cui ruotavano i pensieri e le proposizioni delle ragazze fu lo sviluppo e, inesorabile, la fine del rapporto con Giacomo. Dopo che ebbe finito la sua minuziosa e pretenziosamente oggettiva ricostruzione dei fatti, non senza risparmiarsi commenti e giudizi, Sofia quasi per scherzo, per sdrammatizzare aggiunse che in fondo le sarebbe piaciuto conoscere questo fantomatico Giovanni. A questa boutade Angela non rispose ridendo ma ponendo una domanda stupita, fin quasi allo sconcerto: “Giovanni, hai detto? Il fratello di Giacomo? È impossibile, Sofia: è morto annegato tre anni fa. Da quell’estate la mia famiglia e quella di Giacomo non si sono più viste”.

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