Ritrovarsi in un concerto degli Interpol alle OGR

Fotografie di Alessia Naccarato

L’estate è appena iniziata e le giornate sembrano non avere una fine. Sono da poco passate le 20, la luce avvolge i profili dei palazzi e in tutta la città non tira un filo d’aria. Nulla di eccezionale per chi, suo malgrado, da giugno a settembre deve affrontare il clima tropicale della Pianura Padana. La Sala Fucine delle OGR è un’oasi nel deserto, il luogo più fresco di Torino quando la morsa della canicola urbana si fa più intensa. Non poteva esserci location più azzeccata per la seconda delle tre date italiane degli Interpol, i protagonisti dell’anteprima di Sonic Park Stupinigi 2023 che inizierà il 4 luglio. A precederli i Petrol, la band torinese composta tra gli altri da Dan Solo, ex bassista dei Marlene Kuntz e Franz Goria, tuttora frontman e chitarra dei Fluxus.

 

 

In questa dimensione parallela dove non mi pare vero non sudare, fisso per qualche istante il pubblico. Credo di aver realizzato per la prima volta in maniera consapevole che la mia generazione sta invecchiando. Intorno a me vedo più capelli e barbe brizzolate di quante ne ricordassi approssimativamente ai concerti. È questo l’inizio della vera età adulta?

 

 

Torniamo un secondo al motivo che mi ha spinto qui: ho scoperto gli Interpol nel 2007 subito dopo l’uscita del loro terzo album Our Love To Admire, quando non esistevano ancora i social network come li conosciamo oggi. Myspace e MSN erano le mie piattaforme preferite, quelle che mi permettevano di condividere in uno stato o in biografia la frase della canzone che più mi rappresentava in quel momento. L’anno dopo, con l’arrivo di Facebook, condividere a ripetizione video di YouTube è diventata una delle mie attività preferite. Gli Interpol sono stati probabilmente gli artisti che, insieme a Radiohead ed Editors, ho ascoltato e condiviso di più in quegli anni, come se avessi voluto far sapere a chiunque che i testi delle loro canzoni erano stati scritti proprio per parlare della mia vita.

 

 

Sono trascorsi circa quindici anni da quando comunicare i propri gusti musicali in questo modo era considerato assolutamente normale all’interno della mia cerchia di conoscenze, cinque, invece, sono gli anni passati dall’ultima esibizione degli Interpol in Italia, quasi una vita fa considerando i cambiamenti che stiamo affrontando e la trasformazione della scena musicale internazionale.

 

 

Nel frattempo la band newyorkese ha pubblicato un altro disco – il settimo per la precisione – The Other Side of Make-Believe, scritto interamente durante la pandemia di COVID-19. Apre la scaletta del concerto Toni e seguiranno Into the Night, Fables e Passenger. Lo dico subito senza girarci intorno: questo disco è un’immagine cristallizzata di un grande amore ormai sbiadito. Mentre ascolto Stella Was a Diver and She Was Always Down, Obstacle 1 o Roland ripenso a quanto sia, invece, bello continuare a perdersi in Turn On the Bright Lights. Non credo esista un disco altrettanto potente e intenso, capace di riportarmi al passato in un istante.

 

 

Quello che ci insegnano gli Interpol è che le cose belle non durano per sempre, che i tramonti lasciano sempre spazio alla notte, che i giorni di festa sono troppo pochi rispetto a quelli di lavoro e che la nostalgia è il sentimento preferito della mia generazione, o meglio di tutte le generazioni che hanno superato i trent’anni. In poco più di un’ora di concerto, con il consueto distacco che li contraddistingue, mi hanno ricordato quanto sia importante lasciare libere le proprie sensazioni.

Gli Interpol sono stati e rimangono tra i gruppi che hanno permesso la creazione di un genere e di una scena. A loro si sono ispirati centinaia di gruppi e una miriade di persone hanno coltivato una passione musicale che forse sarebbe rimasta nascosta. Anche se velocizzati, come se avessero dovuto finire in fretta per andare a prendere un treno, agli Interpol viene naturale perdonare tutto. Anzi, quasi tutto, non aver suonato PDA alla fine non si perdona.

Exit mobile version