Perdersi in Turn On the Bright Lights degli Interpol

Ci sono album che hanno bisogno di essere esorcizzati: Turn On the Bright Lights è uno di quelli. Il 20 Agosto del 2002 esce questo disco degli Interpol, all’inizio del nuovo secolo Paul Banks e soci ci presentano la loro personale battaglia coi dèmoni alle chitarre. Undici tracce da cui ancora oggi facciamo fatica a staccarci, e che a tratti rimettiamo su. Vuol dire che questo disco riesce ancora a parlarci.

Riprendiamo il sapore in bocca di quelle undici tracce, e lo troviamo perfetto per accompagnare gli odori di questa fine estate. NDR: intanto loro sono in tour a suonare dal vivo proprio quel disco dopo 15 anni.

Quindici anni dopo | Interpol performing ‘Turn on the Bright Lights’


1. Untitled

La chitarra parte ossessiva, ripetitiva, si attacca al cervello, non c’è via di fuga.

La batteria ripete lo stesso gioco, e poi arriva la voce di Banks, come l’improvviso attacco di una portaerei. “I will surprise you sometime“, dice. Litania dolce, per tutte le orecchie. L’attacco degli Interpol è perfetto e delicato, le sonorità oscure, eppure c’è voglia di accendere quella luce. Quella luce notturna che ci aiuta a vedere meglio la notte e tutte le sue forme.


2. Obstacle 1

Eccoci al primo ostacolo.

La musica diventa più dura, Banks inizia a raccontare e sussurrare, “she can read, she can read, she can read, she can read, she’s bad“, ripete ossessivo ora che la luce è accesa e tutto viene allo scoperto. Obstacle 1 è il tormento, sentire depositarsi pesi dentro se stessi. E ora come si fa a buttarli via?


3. NYC

Che dire di questa ballata per la città? – che poi non è solo una ballata per le città. Ah, le città contemporanee tutti uguali e piatte, “The subway she is a porno / And the pavements they are a mess“, si prosegue lentamente alla ricerca delle luci che illuminano il palcoscenico della metropoli. La città fantasma di quest’epoca, che ha i suoi angoli bui e le sue tortuose caverne.

Il ritmo ossessivo della musica entra nelle vene oscuro.


4. PDA

Ma c’è tempo per una dimostrazione pubblica di affetto, di tanto in tanto.

La batteria batte il tempo, e poi è tutta un’esplosione in cui Banks dice chiaro: La tua è l’unica versione della mia diserzione a cui potrei mai abbonarmi. Poi ci sono immagini furtive dei duecento divani su cui dormire a tarda notte, e va da sé che non conta se la luce è spenta o accesa. Resta un disco oscuro, con le luci che quando si accendono illuminano appena i volti come oscuri presagi di futuro da decifrare, coi silenzi che si mescolano alle parole, con le dimostrazioni pubbliche di affetto che sono appena cenni nel buio. Che gran narratore musicale dei nostri disagi da occidentali contemporanei è Banks.


5. Say Hello To The Angels

Torna la violenta accoltellata delle chitarre, e con lei qualche scorcio notturno e decadente. Siamo via, darkwave da ascoltare nell’assoluto silenzio, siamo trascinati via, ci abbandoniamo, restiamo immobili, “When I’m feeling lazy, it’s probably because / I’m saving all my energy to pick up when you move into my airspace“.

Dire ciao agli angeli è difficile nella notte. Ci sono solo tracce di questa apparizione, poi al mattino svanisce e resta solo il fiacco ricordo delle coltellate delle chitarre.


6. Hands Away

Riuscite a sentire quanto questo pezzo abbia influenzato la musica da un certo momento in poi? Ci siamo fatti a pezzi, sbranandoci. Ma per sta per arrivare il secondo ostacolo. E ha le chitarre affilate.


7. Obstacle 2

If you can fix me up we’ll go a long way“, il secondo ostacolo c’entra con l’aggiustare i pezzi senza sprecare un goccio di vino. Le atmosfere oscure perseguitano anche i momenti più luminosi, non potremo scampare il delirio: tutto è compromesso. “It takes a long time“, ci vuole tempo per fissare le cose, mentre le bottiglie di vino vanno via senza sprecare un goccio.

Pezzo magnifico. Entrate e accomodatevi.


8. Stella Was a Diver and She Was Always Down

Poi si cade. Trascinati via da un furore improvviso. Pezzo ossessivo e catatonico, “She broke away broke away“, catalettico: agitate le vostre difese, alzate i muri e le barriere, poi lasciatevi andare.

Sia lode a questo disco degli Interpol che illumina la notte, anche nella sua invocazione di Stella.


9. Roland

Veniamo al pezzo più punk o post-punk di tutto il disco, se proprio volete trovarne uno. Roland ha i coltelli affilati del macellaio che racconta, in fondo chi di noi non frequenta macellai che tagliano a pezzi?


10. The New

Continuiamo a viaggiare tra le pareti oscure del cervello umano. Come si fa a calcolare l’esatto ticchettio di un cervello, i suoi movimenti, la folle irrequietezza di un pensiero, e di quello successivo e del precedente. Tutto ci resterà sempre oscuro, nessuna improvvisa luce lo illuminerà – anche quando ci illudiamo che accada. Saremo sempre inconsapevoli figli della notte che vanno a tentoni. E d’improvviso sembrano uscire fuori i Public Image Ltd. con le loro ossessioni sul palco.

I can’t pretend / I need to defend / Some part of me from you“. Tutto è pronto per l’inquieto finale.

 


11. Leif Erikson

She says It helps with the lights out“, le luci si spengono, e c’è l’incontro. Dopo averci urlato Turn On The Bright Lights è ora di spegnerle, imparare una nuova lingua, il braille o il silenzio. “I left my urge in the icebox“, le fredde ghiacciaie della notte. Forse è il pezzo più temibile di tutto il disco, l’entrata dirompente nel mondo Interpol, nelle ossessioni del  loro suono, nella mente di Banks, nell’altalena di una testa, nel mondo subliminale. “She says brief things, her love’s a pony / My love’s subliminal“.

Dove siamo stati in questi undici pezzi? forse abbiamo semplicemente acceso la luce per fare un giro dentro noi stessi, o dentro le nostre pubbliche dimostrazioni d’ossessione.

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