Intervista a Christian Raimo: dalla scrittura alla minimum fax

Raggiungiamo Christian Raimo telefonicamente per un’intervista che spazia dalla politica alla letteratura e alla crisi di giornali e case editrici. Oltre ad essere uno scrittore ed una figura controversa, spesso controcorrente, del panorama intellettuale italiano, collaboratore della casa editrice minimum fax, Raimo insegna in un liceo di Roma. Godetevi questi interessanti spunti di riflessione sulla contemporaneità. Per facilitare il lettore abbiamo scelto di dividere l’intervista in tre parti, così chi non avesse tempo di approfondire tutto può sempre scegliere un argomento preferito.

POLITICA

Diciamo che tu sei uno di quelli che non la manda a dire al Movimento 5 Stelle: puoi spiegarci come mai e se pensi che possano essere complici di un impoverimento di linguaggi e contenuti oggi come oggi?

Per me sì, quest’ultima cosa che tu dici. Lo dico analizzando le retoriche che loro utilizzano, che sono reperti fondamentalmente populisti, non in senso vago ma nel senso tecnico che usa la klau, e per me queste retoriche celano un discorso di destra, quindi sono abbastanza d’accordo con l’analisi che fa Wu Ming del Movimento 5 Stelle, sui movimenti che non sono riusciti a trovare un loro adito politico, nel senso che comunque è stata una grande stagione di movimenti, io sono stato tra quelli che hanno occupato il Valle.

Quindi lo consideri anche come un impoverimento di questo discorso sui movimenti?

È una forma di semplificazione che tiene soltanto alcune delle questioni aperte, cioè la questione ad esempio della rivolta contro la corruzione che, figuriamoci è una questione importante, ma quel tema lì è anche un tema di Casa Pound, tirato per la giacchetta da varie parti fino a diventare anche un tema fascista… E secondo me declina anche la questione dei beni comuni con una questione localistica non democratica, nel senso che, se devo dire una cosa che forse non è stata detta così tanto, quello che manca al M5S mi sembra in maniera evidentissima che non è un movimento internazionalista, e oggi fare politica in generale ed essere di sinistra senza essere internazionalisti mi sembra folle.

Ma non lo vedi anche come un fenomeno portato avanti anche dal linguaggio di Travaglio, la casta eccetera..

Allora, lì ci sono delle colpe anche in qualche modo riconosciute da una parte della sinistra, cioè c’è un’appropriazione da parte della sinistra di personaggi che di sinistra non sono stati, fondamentalmente della retorica di Montanelli, di una retorica di destra legalista che a un certo punto è stata sposata dal nucleo dei girotondini, diciamo così… Lì c’è stato un connubio che per me era un matrimonio d’interesse che si è dimostrato anche nell’interesse fasullo, un connubio anti-berlusconiano: tutti contro Berlusconi, chi in nome dell’anti-corruzione, chi in nome di una diversa idea di società, chi in nome del moralismo. In realtà c’erano dei progetti politici diversi, che era bene che fossero diversi e che era bene si sviluppassero per conto proprio non riducendosi l’uno all’altro. Secondo me Grillo ha un progetto politico che io ritengo degnissimo ma fallimentare e involutivo, però insomma va bene così. Il punto fondamentale è che questo connubio anti-berlusconiano tra una sinistra riformista, una sinistra rivoluzionaria e un sedicente movimento legalitario in realtà è stato fallimentare, perché ha polverizzato i movimenti più rivoluzionari e radicali, il riformismo neanche se la vede bene, e i legalitari non sono riusciti ad “educarsi” da un punto di vista politico e quindi oggi abbiamo un movimento diseducato come M5S, e Berlusconi è ancora là. Se Berlusconi fosse imploso uno potrebbe dire è stata comunque un’alleanza con una certa logica…

GIORNALISMO

Partendo dell’esperienza di Orwell (ndr  – inserto culturale di “Pubblico” curato da C. R.) che è durata solo pochi mesi, in che modo possiamo evitare che una pagina o un inserto culturale non diventino appendice di quelle di spettacolo?

Secondo me quello che oggi il pubblico cerca, il pubblico dei lettori, sono degli strumenti interpretativi efficaci: cioè io sono disposto a pagare per questi strumenti interpretativi o per dispositivi identitari come il Fatto, Repubblica con le sue campagne, o i giornali di destra (Libero, Il Giornale) che fidelizzano delle comunità di pensiero. In realtà questo è evidente rispetto a una crisi dei giornali, in cui evidentemente i giornali che avrebbero un approccio critico funzionano sempre meno – tutta quella fascia di giornali, da Il Riformista a Europa, allo stesso Manifesto, che avevano una funzione critica, trasversale, in cui si potevano trovare delle opinioni difformi all’interno del giornale stesso, oggi non funzionano. Oggi l’informazione è in larga parte una richiesta identitaria. Però questa per fortuna non è l’unica richiesta, c’è anche una richiesta di strumenti interpretativi, e quindi per me quello che va fatto, o può essere fatto, nella cultura può essere una forma di educazione del lettore. Io insisto su questa cosa che può sembrare una rottura di palle non indifferente, ma educazione del lettore vuol dire dare al lettore una serie di strumenti interessanti, divertenti, coinvolgenti, che gli permettano di farsi un’idea su un determinato fenomeno. Oggi un giornale non può essere che culturale, in un mondo in cui c’è una grande trasformazione da un punto di vista proprio della storia culturale: oggi internet trasforma il mezzo in maniera profonda…

Ma secondo te internet la sta cambiando la parola scritta?

Sta cambiando la modalità di produzione, di fruizione, sta cambiando quelli che sono i rapporti di forza, lo dico da un punto di vista marxista, sta cambiando la relazione tra autore e lettore, stanno cambiando alcune regole del gioco in maniera fondamentale. Il mezzo cambia, non cambia la sostanza, nel senso che in realtà tu oggi hai un modello verticale che non funziona più…

Esiste un giornalismo di secondo grado a cui non interessa la quantità delle notizie ma capire come funziona la lente che racconta quelle notizie. C’è tanto giornalismo di secondo grado che in realtà fa schifo, quello che parla di sé: oggi ci sono le consultazioni al Quirinale e c’è il gossip delle consultazioni, non c’è la notizia ma la fuffa della notizia gonfiata. Oppure si possono analizzare le retoriche, si può fare un lavoro che oggi si chiama curation, che Il Post fa addirittura didascalico: “Che cos’è la consultazione al Quirinale? Come funziona?”. Io l’avrei fatto dieci anni fa perché è didattico, e per me tutto ciò che è didattico funziona. L’educazione dal punto di vista dell’informazione è la forma più grande di arte: se riesco a dare non soltanto ai lettori un dato, un’informazione, ma riesco a dare anche gli strumenti per codificare quell’informazione allora ho fatto il massimo.

LETTERATURA

Tu però sei uno scrittore e sai che la letteratura è anche diseducativa..

La letteratura è un’altra cosa. Il giornalismo cerca una cosa e la letteratura ne cerca un’altra, il giornalismo cerca la verità dei fatti, la letteratura cerca la verità del cuore.

In realtà sono volutamente schizofrenico. Certe cose non si devono sovrapporre, altrimenti faccio lo scrittore maestro, lo scrittore civile e non va bene.

Ma la tua scelta di insegnare viene da una voglia autentica o è anche un modo per arrotondare?

Tra le tante cose cose, a parte lo stipendio e il rapporto coi ragazzi, è un mestiere anti-depressivo, bellissimo; però è fondamentale sapere che insegnare è uno dei migliori modi per imparare. Se uno vuole fare un po’ l’intellettuale ha il desiderio di formarsi di continuo, e se uno vuole imparare bene il miglior modo è insegnare, leggo più libri, riesco ad essere più aggiornato, ovviamente mi toglie tantissimo tempo, riesco a relazionarmi non solo con un mondo generazionalmente e culturalmente più simile a me… in fondo mi rendevo conto che quando lavoravo soltanto per i giornali e l’editoria, spesso passavo le cene a sapere chi scopava con chi.. la vita intellettuale non è così ricca.

Trovi che la Minimum Fax abbia mantenuto l’anima di progetto autentico piuttosto che di un’azienda?

Ti dico di sì, in maniera anche abbastanza convinta. Perché le cose somigliano alle persone che le fanno, tutte le persone che ci lavorano sanno che se non fosse così non funzionerebbe come azienda, se io vendo vestiti la cosa migliore che posso fare è vendere vestiti fatti bene, se io vendo libri devono essere libri fatti bene.

Le case editrici che si muovono soltanto nella direzione della vendita possono avere un vantaggio di breve durata, ossia Mondadori, Feltrinelli, Rizzoli, sono case editrici che si sono concentrate molto sul marketing e meno sulla qualità dei libri, cioè hanno curato meno questo aspetto educativo, si troveranno in una crisi sempre più forte perché in realtà quello che hanno fatto negli ultimi anni è vendere dei libroidi, cioè dei libri che non erano proprio dei libri.

Il punto è come riescono ad essere egemoniche nel mercato editoriale e lavorare sulla post-produzione, cioè sulla promozione, sulla distribuzione, sulla libreria, sulla pubblicità. Tutto questo snatura la ricerca letteraria e a lungo andare diventa controproducente anche per la casa editrice stessa, a un certo punto arriva qualcun altro che sa fare quel lavoro di distribuzione, pubblicità, produzione, meglio di te – per esempio Amazon che risparmia sugli operai – e quindi per rimediare a questa grave crisi economica, che potrebbe colpire questi grandi gruppi editoriali, dovrebbero ritrasformarsi in case editrici di ricerca, o almeno seguire la strada che avevano negli anni ’50, cioè quando erano davvero delle case editrici e non delle catene di distribuzione e di promotori.

È anche la morte dei fondatori a portare diversità no?

Sì, alla fine è stato un modo per sopravvivere, prendi Mondadori che è diventato un colosso, ma per loro con l’avvento di Amazon sarà molto difficile resistere sul mercato, inizieranno a chiudere i punti vendita.

E il panorama degli scrittori italiani come lo vedi?

Io sono sempre ottimista, secondo me c’è sempre del buono, quando le persone dicono che è un periodo di crisi, che non ci sono scrittori, per me significa che non c’è stata attenzione sufficiente. Tutti i pensieri nostalgici o apocalittici per me sono sempre pensieri riduttivi. Gli scrittori bravi ci sono sempre, gli scrittori mediocri anche. Una cosa che non è avvenuta molto in Italia è il passaggio di testimone, ci sono stati pochi scrittori che hanno avuto la capacità di fare da scuola ad altri, che si sono ritagliati un ruolo di padri, vogliono fare tutti un po’ i figli anche se hanno 50, 60 anni. Si lasciano poco uccidere, lasciano pochi testimoni, e invece sarebbe interessante capire come lasciare i testimoni, cosa lasciare in eredità, riuscire ad avere un ruolo educativo da una generazione all’altra.

Dai un consiglio a tutti gli aspiranti scrittori per smettere di scrivere.

Drogarsi! Drogarsi di droghe non euforizzanti ma depressive..

Per smettere ogni tanto di scrivere, in qualche modo per me la scrittura non può fare a meno dell’esperienza, quindi seguire il desiderio può voler dire spesso smettere di scrivere per poi magari ricominciare.

Ma questa letteratura italiana non è stata ed è troppo accademica?

Il peso dell’università è molto forte, l’Italia purtroppo non ha avuto una controcultura così forte da riuscire a imporsi come egemonia, e la cultura accademica di fronte a questa crisi reagisce arroccandosi, i professori non lasciano il testimone appunto, non accettano il fatto di essere superati, non guardano anche a quello che accade fuori e ci tengono all’impermeabilità per la paura dei “barbari”.

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