Intervista a Cristiano Godano (Marlene Kuntz)

Foto: Simone Cargnoni

Abbiamo raggiunto Cristiano Godano dei Marlene Kuntz per un’intervista che racconta un po’ tutto, dalla scena italiana indipendente degli anni Novanta ad oggi, da Catartica a Nella Tua Luce. Ne è uscito fuori un interessante dibattito a tutto tondo.

NELLA TUA LUCE

Ne Il genio, brano che ha lanciato l’intero album, si parla di una libertà di espressione artistica. Una vera e propria invettiva verso critici, musicali e non, che spesso vi definiscono snob o volutamente distanti. Credi che in Italia ci sia molta più volontà di apparire critici che stroncano per partito preso, per darsi una certa importanza, che criticare per una ragione seria?

Il genio non nasce con l’intento di essere una invettiva contro i critici: è un testo che si prefigge di essere una sorta di esercizio di stile, poiché assembla frasi di Oscar Wilde cercando di ottenere un testo autonomo con il suo senso compiuto. Detto ciò: sì, credo che in Italia ci siano da sempre i germi di un modo di essere che si definisce bene con termini tipo “invidia”. La rete ha amplificato tutto ciò, e mi sembra che ora come ora l’unico mood imperante siano la cattiveria critica e l’acredine, condite da un retrogusto complottista tanto irritante quanto ridicolo. Alcune cose che ho letto su Sorrentino mi hanno fatto passare momenti di autentica rabbia.

Nella tua luce, è un album tanto oscuro quanto solare, in un certo qual modo può essere considerato l’unione fra il primo periodo (Il vile, Festa Mesta) e quello dell’album precedente (Ricoveri virtuali e sexy solitudini)?

A dirla tutta credo che questo tipo di valutazioni le possiate fare voi addetti ai lavori. Sono anni che cerco di far passare il concetto che noi, ogni volta ci si mette in sala prove per fare pezzi nuovi, si tenta di dare il meglio di noi stessi conformemente al presente che stiamo vivendo. Il quale non è mai uguale a se stesso nello svolgimento del tempo. Vale a dire: non è mai uguale al passato, che è, per definizione, passato.

MARLENE KUNTZ

Foto di Simone Cargnoni

Siete, insieme a Massimo Volume e Afterhours, una delle band con maggiore seguito e che sono in attività, come vedi l’evoluzione della musica alternativa? E il pubblico com’è cambiato? anche da un punto di vista generazionale.

Mi permetto di precisare che il pubblico dei Massimo Volume non mi sembra così numeroso. E quanto lo vorrei, se solo vivessimo in un paese normale! In realtà dei Massimo Volume si parla con il giusto rispetto e deferenza, ma la cosa è più virtuale che altro. Dove sono tutte queste persone ai loro live? Tutti coloro che ne parlano come degli dei, perché poi non riempiono le loro sale e gli permettono di fare dei tour pieni di gente ovunque? Il pubblico dell’alternative qui in Italia è purtroppo mosso da sentimenti estremamente discutibili, e mi pare che sia più intenzionato a boicottare che altro. Il discorso è lungo e complesso in verità. Di certo di tanti meccanismi mi sono ampiamente rotto le palle da tempo.
E comunque se devo essere sincero sono del tutto convinto che non avremmo più di dieci probabilità su mille, io e te, di metterci d’accordo in maniera inequivocabile su cosa sia alternative e su cosa no. E a maggior ragione al giorno d’oggi certe definizioni non hanno più alcun tipo di carisma.

Negli ultimi tempi sempre più band sentono l’esigenza di riproporre dal vivo (qualcuno anche in studio, in verità) dischi che hanno rappresentato qualcosa di importante nella loro carriera e nella storia della musica. Penso ai Television che rifanno Marquee Moon, ai Sonic Youth che anni fa riproponevano per intero Daydream Nation e, perchè no, anche agli Afterhours che hanno fatto rivivere Hai Paura del Buio? Cosa pensano i Marlene di questo tipo di operazioni? E soprattutto, se voi doveste scegliere il disco che più rappresenta la vostra storia e riproporlo, scegliereste ancora Catartica? Spiegaci perchè.

Sono operazioni che servono a far suonare i gruppi live, e mi stupisco sempre di come questa ovvietà non sia così evidente per chiunque. In tale ottica non capisco proprio perché le si debba criticare. I dischi non si vendono più: di cosa dovremmo vivere noi musicisti? Di concerti. E allora lasciateci fare tutto ciò che serve per alimentare interesse nei nostri live. Coma fa la gente (e soprattutto gli addetti ai lavori, musicisti iper underground e critici intendo) a non capire che, parlando dell’Italia, il paese è molto piccolo? Se con la musica ci devi vivere e i locali in cui suonare sono la ventina di sempre, come si fa a tenere vivo l’interesse della gente che ti segue dopo che ti ha visto decine di volte?
Immagina poi che questa cosa accade anche agli stranieri… (anche per loro il disco non è più una fonte di guadagno). Per cui: se non vi piacciono le riedizioni ascoltate altro no? Tanto la musica che vi ascoltate è tutta potenzialmente gratis. Che vi frega se un gruppo fa una riedizione oppure no? Basta non cagarla.
Siete invece dei collezionisti e dovete comprare tutto del vostro gruppo preferito? Beh… questo è un problema vostro.
In ogni caso: noi non abbiamo mai fatto operazioni banalmente mercantili. Anche il collezionista dei nostri prodotti difficilmente ha da lamentarsi. Non siamo paraculi e rivendichiamo questa nostra prerogativa con orgoglio.

L’evoluzione musicale dei Marlene si è spesso scontrata con i gusti di un pubblico che talvolta si è rivelato limitato e poco incline al cambiamento. I vostri dischi hanno seguito un percorso che immagino per voi sia del tutto coerente, dal noise a un cantautorato sofisticato e di atmosfera. Come mai la critica spesso non è riuscita a cogliere questa vostra evoluzione? Ritenete che i cosiddetti “esperti del settore” oggi indossino troppi paraocchi? Se così fosse, come mai?

La critica della carta stampata ci ha sempre seguito con interesse e apprezzamento del tutto manifesto. Solo con l’avvento della rete e della sua assenza di deontologia, con i suoi vanitosi pressapochismi, con i suoi ragazzini potenzialmente svegli ma arrogantemente irriverenti, c’è stato un cambiamento da parte di alcuni (sottolineo: alcuni) nei nostri riguardi. Anche questo è un discorso lungo. E non sto parlando solo pensando a noi. A volte nel tempo, ad esempio, ho letto dei pischelletti parlare di Woody Allen come di un rincoglionito (parlarne in siti ufficiali, intendo): tutta gente che se se lo trovasse davanti in carne e ossa tremerebbe dal timore reverenziale e non oserebbe proferir verbo.

Una domanda sentimentale: noi siamo in parte di Napoli e nella nostra città si è consumato uno dei concerti più belli della vostra carriera, che poi è diventato anche un bellissimo disco e dvd. Chiudi gli occhi, cattura i ricordi e raccontacelo.

Mi chiedete di uno di quei concerti del periodo più snobbato da un sacco di vostri colleghi del web… Che dire? E’ stato un momento estremamente creativo del gruppo, dove abbiamo esplorato territori nuovi e abbiamo imparato a suonare in modi più sfaccettati. Tutto bagaglio di esperienze che ci ritroviamo ora, esattamente come fra qualche anno ci ritroveremo ancora un po’ più completi di adesso. Ricordo in questo momento certi deliri noise che il novanta per cento di chi ci critica nemmeno ha idea che facciamo. E con quale freschezza… O ricordo una versione di Sonica quasi blueseggiante e psichedelica. O certe atmosfere di silenzio magico carico di tensione. Insomma: ricordi piacevolissimi che mi procurano orgoglio.

Siete sempre in bilico tra le atmosfere acustiche e quelle elettriche. Se oggi dovessi sceglierne una, quale prediligeresti?

Come ascoltatore di dischi altrui quella acustica. Come musicista non ho davvero preferenze. E’ il discorso di poco fa: dipende dal tipo di presente che sto vivendo.

CRISTIANO GODANO

Foto di Francesco Pattacini

Quando bisogna criticare la tua scrittura, spesso si dice che è troppo “ricercata”, da dove viene questo tuo modo di scrivere? E’ un’influenza letteraria oppure è una tua scelta precisa?

A tali critichini suggerirei di venire da qualche parte a sentirmi quando parlo a braccio davanti a un pubblico: con una certa ammirevole naturalezza certe ricercatezze mi scappano senza alcuno artificio. Soprattutto quando sono ispirato.
Da dove arrivano mi chiedi… Dalle mie letture ovviamente. Dissi tanto tempo fa a una intervista per MTV che quando leggo un libro credo che la cosa che mi rimane più in mente non sia tanto la storia che sto leggendo, ma le parole che conferiscono potere incantatore all’opera.

In questi giorni Neil Young presenta PONO, il lettore di flac che dovrebbe contrastare la scarsa qualità dell’mp3. Intanto Spotify continua a conquistare adepti. Qual è la tua posizione oggi rispetto alla digitalizzazione della musica e alla sua diffusione?

Idealmente negativa: per ora Internet ha fatto male alla musica e soprattutto a noi musicisti, che non la vendiamo più. Ma siamo solo stati la prima categoria colpita. Si stanno cominciando a capire tanti effetti negativi anche nel mondo della gente “comune” (i non artisti, per intenderci): Internet si sta mangiando molti lavori tradizionali. Ne vedremo sicuramente delle belle. Noi Marlene, comunque, siamo già da un tot di mesi settati altrove. Sappiamo molto bene quanto poco servano i dischi e ci arrabattiamo con creatività a interpretare il… nuovo che avanza. Agli ideologi della rete faccio notare, en passant, che per i musicisti Spotify non è allo stato attuale, nella maniera più radicale, un business. E parlo dei musicisti dal grosso potenziale internazionale, non di noi piccolini.

Domanda evergreen: che musica ascolta oggi Cristiano Godano e quali sono gli artisti della nuova scena indipendente italiana che stima?

Sono onnivoro (grazie alla rete che mi da tutto gratis :p)
A mente: Wild Beasts, Arbouretum, Baths, Chelsea Wolfe, Damien Jurado, Gillian Welch, Grizzly Bear, Hiss Golden Messenger, James Blake, Jenny Hval, Jon Hopkins, Kurt Vile, Midlake, Polvo, Snowbird, Speedy Ortiz, Sun Kill Moon, Temples, The Haxan Cloack, The Range, The Soft Hills, True Widow, giusto per dire di quelli un po’ meno conosciuti ai più e di cui mi ricordo in questo istante. Della scena indipendente italiana so poco in questo periodo. Chiedo venia.

ANNI ’90

Foto di Simone Cargnoni

Negli anni Novanta siete stati i padri putativi, insieme a C.S.I. e Afterhours, della scena indipendente del paese che poi ha portato alla nascita di tanti gruppi, che si sono indirettamente ispirati a voi (e magari oggi vi rinnegano anche). Come vi sentite in questo ruolo?

Mah… continuiamo a lottare per fare i musicisti da grandi.

Come hai conosciuto i Sonic Youth? Vorremmo che ci raccontassi com’era il Cristiano Godano degli anni ’90 all’inizio della sua ricerca musicale? E quali altri gruppi ascoltavi all’epoca.

Un onnivoro che si comprava i dischi e si sbatteva con gli amici per passarsi le cassettine dei gruppi che non si poteva comprare. Gun Club, Killing Joke, il Paisley Underground, i Fugazi, gli Husker Du, i Replacements, Einsturzende Neubauten, i Soundgarden, i Crime and the City Solution, il rock australiano, Neil Young, Nick Cave, i Birthday Party, i Prefab Sprout, Jason and the Scorchers, i Blasters, gli X, la west coast, i Butthole Surfers, gli Swans, i Pontiac Brothers, gli Young Gods, gli Squirrel Bait, i Volcano Suns, i Big Black… ecco, queste cose qua. Questi i miei anni ottanta/inizio novanta.

Intervista a cura di Francesco Pattacini, Salvatore Sannino e Giovanna Taverni

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