Intervista ad Alessandra Gismondi

Alessandra Gismondi, con i suoi Pitch, ha attraversato quasi vent’anni di musica alternativa italiana come vocalist, bassista e autrice.

In occasione dell’uscita del nuovo disco della band Comme un flux e del meraviglioso tour che porta avanti con I Vessel abbiamo approfittato per fare quattro chiacchiere con lei.

Il nuovo album ha un suono molto internazionale, ad ascoltarlo non si direbbe nemmeno sia stato realizzato da un gruppo italiano (e in effetti tu, musicalmente, di italiano sembri avere ben poco). Il suono della band si è molto ammorbidito negli anni, qui ci sono melodie accattivanti, arrangiamenti eleganti e un pizzico di elettronica. Come è nato questo suono?

Lo ammetto tranquillamente: non sono un’appassionata di musica italiana! Fin da piccina sono stata orientata ad ascolti esterofili: i miei genitori hanno fortemente influenzato i miei ascolti proprio perché in casa mia girava soprattutto musica straniera americana ed inglese e credo che questo abbia contribuito notevolmente alla mia formazione musicale, sia come ascoltatrice che come musicista.

Il suono di Comme un flux è un suono nato in studio di registrazione, non calcolato o studiato, ma realizzato di pari passo con le registrazioni, è stato per così dire un album “en plein air” per fare un esempio e citando i pittori dell’impressionismo, un disco estemporaneo.

Il primo paragone che mi è balzato alle orecchie sono gli ultimi Blonde Redhead, sia negli arrangiamenti, sia nel modo di cantare (“The backdoor” mi sembra un ottimo esempio). C’è realmente questa influenza?

I Blonde Redhead sono un gruppo che amo moltissimo e li seguo dal 1993, anno che li vidi la prima volta dal vivo. Penso che il paragone possa sorgere spontaneo in quanto in 2 canzoni canto in “falsetto”: il fatto di essere mezzo soprano mi dà la possibilità di sfruttare i “colori” e le “sfumature” della voce sia a registri bassi che alti.

Il titolo del disco (Comme un flux) e anche la copertina, le illustrazioni del libretto e i brani evocano molto l’idea della danza, che so essere una delle tue passioni. È anch’essa parte del flusso di cui parli?

La danza ha segnato un periodo importantissimo della mia vita e fa parte di un excursus che porterò sempre con me. Proprio per questo motivo ho deciso di dedicare questo album alla danza e alla grande maestra Martha Graham, colei che ha inventato le basi della danza moderna del ‘900. La danza, come la musica, è FLUSSO e vanno di pari passo.

Nella titletrack c’è un chiaro rimando a certo cantautorato francese, in bilico tra Jane Birkin e Serge Gainsbourg, quanto sei legata alla loro musica?

Tantissimo! Per lo stesso motivo che ti dicevo prima, la musica francese che ascoltavo da piccola era quella di Gainsbourg, Piaf, Baker, Prèvert per citartene alcuni.

Partendo dall’idea di cantautorato mi piacerebbe scambiare due chiacchiere sui Vessel con te… Come è nata l’idea di un progetto che mette al centro la forma canzone più classica (da Cohen a Gainsbourg) con un sound che sembra essere prettamente newyorkese (dai Velvet Underground ai Sonic Youth). Tu, Corrado ed Emanuele venite da background diversi, mi sembra. Come vi siete ritrovati insieme?

Per puro caso, ci siamo ritrovati a provare per uno spettacolo su Cohen in quanto avevamo suonato insieme per la compilation “stranger music” e di lì ne è nata una collaborazione musicale che ci fa spaziare su diversi fronti, dal cantautorato alla new york “no-wave” di fine anni 70, alla psichedelia al folk.

Durante il vostro live, uno dei momenti che mi ha impressionato di più è stata la coda di “Frigid Moon” che si trasforma liberamente in “Amore che vieni, amore che vai” di Fabrizio De André, probabilmente sorprende perché risulta inaspettata. Come è nata? Qual è il tuo rapporto con De André?

È una genialata di Corrado! Io come di dicevo prima, sono neofita per quanto riguardo la musica italiana, è stato proprio Corrado a farmi conoscere De André e devo dirti che, seppur distante dalle mie corde, lo apprezzo tanto. La coda di Frigid moon è un’idea di Corrado e quindi lascio a lui tutti i meriti!

Due EP sono un po’ pochini per una band con queste potenzialità. Avete pensato di registrare un vero e proprio album a nome Vessel?

No, al momento non ci abbiamo ancora pensato anche perché pare che questo tour non abbia ancora voglia di fermarsi.

Ora sei attiva con Pitch, Vessel e Shonwald… altri progetti in cantiere?

Un quarto progetto è all’orizzonte: da aprile sarò in tour con Hanin Elias ex Atari teenage Riot, storica band noise-punk-electro di Berlino. Sono molto curiosa di provare questa esperienza con una band che ha una leader di caratura mondiale.

L’Italia dagli anni ’90 è cambiata enormemente musicalmente, come ti senti nel panorama attuale e quali sono i progetti o artisti che apprezzi maggiormente?

Non mi sono mai sentita parte di una “scena musicale” anche se spesso si è parlato di Pitch come parte della scena alternativa indie rock di metà anni ’90.

Il fatto di essere stati successivamente pubblicati per una major ci ha dato la possibilità di arrivare a più persone, ma arrivata a quel punto mi sono ritirata dalle scene, in quanto il progetto si stava snaturando ed io non mi riconoscevo più. Solo nel 2005, dopo anni di silenzio, ho deciso di riprendere in mano il progetto ed essere indipendente al 100% e seguire la mia strada come più mi piaceva.

Gli artisti che apprezzo di più sono anche gruppi di cari amici: Giardini di Mirò, The Perris, Julie’s Haircut, A Classic Education, Welcome back sailors, Wolther goes Stranger, persone fantastiche con le quali ho avuto modo anche di collaborare e dividere spesso i palcoscenici.

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