Tutto quello che non avremmo voluto sapere sull’Isis

Probabilmente è ”grazie” all’Isis se abbiamo iniziato ad accorgerci di certe storture, a parlare ossessivamente di cosa sta succedendo in Siria, in Iraq, in Iran. E sono state le morti e il sangue dei reporter sgozzati dall’Isis che hanno messo in moto una serie di domande a cui abbiamo provato a dare delle risposte più concrete. Per esempio cominciamo a chiederci: dove e perché sono stati ammazzati Steven Sotloff e James Foley dall’Isis, e che cos’è l’Isis?

Molto divertente che tra il centinaio di mappe del Medio Oriente trovate su Google nessuna indichi la Palestina

Spesso abbiamo insistito (nel silenzio e nella noncuranza) nel trattare la guerra civile in Siria su queste pagine, anche se ignoravamo sarebbe diventata sempre più truce e violenta. Mentre il conflitto cresceva, mentre si evocavano le armi chimiche utilizzate da Assad contro la sua popolazione, alla testa della battaglia che sognava di rovesciare il potere, i più forti diventavano darwinaniamente anche i più violenti (nell’usare le armi). Ma prima di andare avanti a parlare della Siria (e la vedete lì, proprio al confine con la Turchia, dove scappano i disperati ribelli che non hanno più sogni che chiamano i rifugiati), torniamo un secondo verso l’Iraq, dove il reporter James Foley è stato decapitato dall’Isis.

Isis è acronimo di Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, una forza di miliziani di ispirazione sunnita: si auto-definisce stato, e attualmente controlla una parte di territorio tra Iraq e Siria. L’aspirazione è quella di restaurare il Califfato islamico che si estendeva fino al Nord Africa. Nella realtà per ora l’obiettivo è ancora lontano, anche se l’Isis approfittando dei contrasti e delle debolezze interne in Siria è riuscito a conquistare alcune zone siriane e intere città dove ha proclamato la Shari’a: diversi gli arresti e le uccisioni per chi non rispetta le antiche tradizioni e leggi coraniche. Se bevi alcol vai in galera, per capirci.

È interessante (o forse no) approfondire la divisione interna all’Islam tra sciiti e sunniti, anche perché ci permette di comprendere le alleanze che si stanno creando in questo momento in Medio Oriente. L’Iran, per esempio, ha la più grande tradizione sciita, come pure è la maggioranza della popolazione in Siria, Libano e Iraq. La divisione con i sunniti avviene ai tempi della morte del profeta Maometto: in breve la lotta per la successione separò l’Islam in due fazioni, di cui l’80% dei musulmani sono oggi i sunniti, e il restante gli sciiti (tralasciamo pure le ulteriori divisioni interne e per semplicità diciamo che gli uni credono nella sunna del Corano, gli altri pensano che gli ayatollah siano dei riflessi di Dio mandati in terra). Nella mappa sopra, all’altezza di Mosul (città iraquena conquistata dall’Isis) potete anche immaginare quello che viene chiamato il Kurdistan, ovvero un altopiano mediorientale che si estende in Turchia, Iraq, Siria, Iran ed Armenia, a maggioranza curda (Saddam Hussein provò a sterminare la parte curda dell’Iraq con le armi chimiche ai tempi). In questo momento i curdi sono una delle parti in campo più attive nella resistenza all’Isis, che intanto prova ad avanzare soprattutto in territorio siriano.

Come si finanzia l’Isis. L’Arabia Saudita ha una forte tradizione sunnita, e in questo senso si impegna attivamente nel sostegno economico dell’Isis e del suo progetto, in particolare attirata dall’idea di far cadere il regime dello sciita Assad. Inoltre la mappa in alto mostra i giacimenti controllati dall’Isis: nell’est della Siria la conquista di territori con giacimenti petroliferi ha portato fortuna all’Isis, che ora rivende petrolio anche al governo di Assad (stesso sistema anche per l’elettricità). Chiaramente vanno forte anche le razzie predatorie in banche e altre attività del genere. Tutto questo scenario non è stabile, se si pensa alla diga di Mosul sotto il controllo dell’Isis che poi è stata riconquistata dai curdi. Una vera e propria guerra civile dentro la guerra civile, che crea nuove divisioni interne. Del resto in Siria l’Isis non è l’unico gruppo attivo contro Assad.

Come abbiamo già detto uno dei fronti alternativi più forti contro l’Isis è in questo momento quello della Rojava, ovvero l’esercito curdo. Ma è l’Esercito Siriano Libero attivo dal 2011 quello in questo momento sta soffrendo di più la presenza dell’Isis in Siria. Non avendo la stessa capacità di presa mediatica, l’ESL continua a combattere Assad nell’indifferenza internazionale, e ora deve contemporaneamente preoccuparsi anche dell’oltranzismo dello Stato Islamico. Chiaro che l’Isis in un certo senso sabota tutto il lungo processo di ribellione per la destituzione di Assad creato dall’esercito libero, soprattutto in uno scenario in cui si riconfigura un’alleanza tra Usa e Assad in chiave anti-Isis. In molti stanno sostenendo questa alleanza, evocando addirittura una presunta ragione di Putin, che aveva avvertito Obama sui pericoli di un intervento in Siria a sostegno dei ribelli (anche se Isis non è propriamente la forza ribelle siriana).

In realtà probabilmente Obama si sta rendendo conto del pericoloso ciancischiare senza linea della sua politica in Siria, che ha permesso l’arrivo di gruppi di matrice più esagitati e oltranzisti come l’Isis. La situazione permette in questo momento di uscire vincitori ad alcune parti in gioco:

Vladimir Putin, che potrà dire di esser stato un profeta nel sostenere Assad contro i ribelli.

Assad, che probabilmente potrà usare l’Isis a suo vantaggio per ricevere il doppio sostegno di Russia e Usa.

– L’Isis, che sta crescendo mediaticamente in modo molto più sfrenato di quanto non faccia territorialmente al momento.

In questa battaglia i due perdenti sono Obama, che ha scelto il silenzio in questi anni (la guerra civile in Siria è scoppiata nel 2011), ma soprattutto quella parte di popolazione siriana che è schiacciata nella stretta morsa sia di Assad che dei fondamentalisti.

L’Esercito Libero Siriano

Per combattere quello che ci fa paura bisogna provare a conoscerlo: l’Isis non è un gruppo armato di ribellione siriana, ma un’organizzazione transnazionale nata dalle ceneri di Al Quaeda, che sta sfruttando la situazione della guerra civile in Siria. Non è invincibile e indistruttibile, ma ha saputo vendersi all’estero grazie alle spettacolari decapitazioni. Quale che sarà il futuro, speriamo che non succeda mai di dover scegliere il meno peggio come sembra evocarsi in Siria.

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