Jack White – Boarding House Reach

Chi ha seguito la genesi di Bording House Reach, o almeno la parte trapelata nei mesi scorsi dai vari canali ufficiali e non, si sarà sicuramente accorto del numero spropositato di critiche e rimproveri che il disco ha ricevuto fin dal primo singolo, Connected by Love, uscito nei primi giorni del 2018. Jack White, con il suo terzo lavoro solista, doveva come sempre prepararsi a rispondere a un pubblico con aspettative altissime, create in più di vent’anni di carriera, e pronto a polemizzare su qualsiasi cosa, a partire dalla copertina. Ammettiamolo, forse questa versione androgina di White su sfondo blu fumoso non lo rende esattamente il disco migliore da esporre, ma se siamo sopravvissuti a Mechanical Animals di Manson possiamo farcela anche questa volta.

A un primo ascolto si scopre che tutte le perplessità, esposte a suon di “Spero che sia solo un brutto singolo” e commenti ben peggiori, sono giustificate. Il pezzo, che apre anche l’album, è una ballad elettro-blues dal finale malinconico in stile musical di Broadway, tanto nobile nel messaggio quanto poco rilevante nel complesso. Dopo qualche ascolto ci si affeziona e si smette anche di auto censurarsi quando ci si sorprende a fare da backup al coro gospel in sottofondo. La seconda traccia Why Walk a Dog? è la prova che il binomio sintetizzatori e testi assurdi compressi in due minuti e mezzo possono funzionare e preoccupa solo quando, dalla seconda strofa in poi, si inizia ad avere l’impressione che White stia usando l’immagine di un cane al guinzaglio per fare propaganda animalista (sono d’accordo Jack, ma per questo abbiamo già la pagina Instagram di Moby). Corporation è un brano di quasi sei minuti dal ritmo funk che potrebbe essere la sigla di una serie poliziesca degli anni ’80.

Ci sono passaggi interessanti soprattutto superata la metà e abbastanza groove da far promuovere tutto, tranne le conga. Quelle mai. Abulia e Akrasia è un passaggio breve (peccato) e old fashioned nel quale sentiamo la voce di C. W. Stoneking, songwriter australiano, recitare quello che è forse uno dei testi più belli di questo disco (’So with time left permitting / And while we’re still sitting / May I please have another cup of tea?”). Hypermisophoniac è nella mia personale top 3 dell’album insieme a Everything You’ve Ever Learned, l’ottavo brano, e Respect Commander, il nono, con i quali tuttavia condivide soltanto l’uso smodato di synth. Il secondo, in particolare, è un climax alienante che ci proietta in un mondo fantastico fatto di videogiochi arcade 8bit e sale sul podio per il miglior testo subito dopo il già citato Abulia e Akrasia (“Do you wanna question everything? / Then, think of a good question”).

Con Ice Station Zebra si ritorna al funk e non è un caso che il titolo sia quello di un film di spionaggio del ’68. Nel brano, inizialmente pensato per Jay Z, tra un piano da saloon e una batteria dai ritmi jazz, Jack White trova anche spazio per cimentarsi in un improbabile rap con tanto di “yo”. Over and Over and Over è un pezzo tirato fuori dal cilindro White Stripes per cui era stato scritto 13 anni fa. Uscito come singolo a inizio marzo è stato probabilmente uno dei più criticati ma la verità è che c’è poco da dire: può piacere o no ma qui c’è Jack White al 100%, dai riff di chitarre, alla voce, più simile a quella sentita nel suo precedente lavoro Lazaretto. Ezmerelda Steals The Show è un’altra spoken song in cui White recita su un ipnotico arpeggio di chitarra e che con i suoi due minuti scarsi fa da ponte per gli ultimi tre pezzi del disco. Un intermezzo che ricorda una filastrocca e che si conclude con un sentenzioso “You people are totally absurd”. Get In The Mind Shaft parte in modo promettente, con un atmosfera 90’s che ricorda qualcosa a metà strada tra Massive Attack e Daft Punk, ma si perde dopo il primo minuto e finisce con il risultare un po’ caotico. Il dodicesimo brano, What’s Done It’s Done, è un lento che sembra riprendere lo struggente finale di Connected by Love e che va ad attingere direttamente da quel panorama country a cui White è notoriamente affezionato. Con l’ultimo brano, Humoresque, per la prima e unica volta nei 44 minuti della durata del disco, avvertiamo un netto distacco formale e la sensazione che, anche se bellissimo, sia in qualche modo fuori posto. La melodia questa volta è tratta da un componimento del musicista boemo Antonín Dvořák e chiude l’album con un meraviglioso minuto abbondante tutto strumentale.

Per Boarding House Reach, prodotto e registrato nello studio Sear Sound di New York City, ai Capitol Studios di Los Angeles e nella sua Third Man Records di Nashville, Jack White ha radunato una squadra tutta nuova di musicisti strappati direttamente al soul, al funk e al jazz. Il risultato è un disco coerente e non immediato in cui si sente la mancanza di un highlight ma che dopo qualche ascolto si impara ad apprezzare in tutta la sua complessità. BHR è un album più per Jack White che di Jack White e tirando le somme è sicuramente il più complesso e sperimentale dell’ex Stripes che questa volta si concede il sacrosanto diritto di fare e suonare quello che vuole (conga comprese, purtroppo) senza curarsi di soddisfare le aspettative di chi da lui sembra esigere solo dieci minuti di assoli sporchi e distorti.

Exit mobile version