Jake Bugg – On My One

Dopo quasi tre anni è tornato il singer-songwriter inglese Jake Bugg. Considerato, forse non più, uno dei nuovi prodigi della musica inglese grazie all’ottimo debutto Jake Bugg (successo di critica e di pubblico), uscito nel 2012, e anche grazie a complimenti di stelle della musica come Noel Gallagher, che se lo portò anche in tour. Nonostante l’uso di un co-writer, fatto poi criticato dallo stesso Gallagher che si è detto ferito nel cuore dopo averlo scoperto, e un secondo album abbastanza deludente il 22enne dei quartieri popolari di Nottingham è tornato con il terzo album On My One, slang della sua città per On My Own, il quale lui stesso ha definito “Make or break” per la sua carriera.

Dopo il debutto indie-folk quasi tutto chitarra acustica e voce e un secondo album nel quale è stata introdotta la chitarra elettrica questa volta ci si poteva aspettare un ritorno al sound di Jake Bugg, ma così non è stato. Anche perché un sound vero e proprio On My One non ce l’ha. Eppure non ci sono collaborazioni esterne, questa volta il ragazzo ha scritto e prodotto praticamente tutto da solo.

Si parte proprio con la prima traccia On My One, primo singolo e forse il pezzo più valido di tutti. Questo sì, ricorda il suo inizio di carriera e lo fa anche egregiamente riportando la stessa malinconia: I’m just a poor boy from Nottingham / I had my dreams / But in this world they’re gone, they’re gone.

Subito dopo la batteria hip-hop di Gimme the Love lascia spiazzati. Anche se a dire il vero il pezzo può anche funzionare con la chitarra elettrica di Bugg influenzata dai Red Hot Chili Peppers, in questo caso, forse l’unico ritornello accettabile e un assolo che prende. Il problema resta la sua voce, molto particolare e poco adattabile. Tuttavia Jake ci prova anche in Ain’t No Rhyme dove… rappa. Sì, una vera e propria canzone stile Loser di Beck, per intenderci. Nemmeno troppo male. C’è addirittura una batteria elettronica in Never Wanna Dance, cosa impensabile per lui 3 anni fa.

Come già detto è un sound generale che manca; a seguire Ain’t No Rhyme c’è un brano country chiamato Livin’ Up Country. Così come Hold On You dovrebbe portarci ai precedenti due album ma vale lo stesso discorso di Love, Hope and Misery Put Out the Fire: non dicono nulla di particolare.

Le sbavature nei pezzi più sperimentali a Jake Bugg possiamo anche perdonarle essendo pur sempre un 22enne al primo album scritto e prodotto da solo. Tutti possono sbagliare, anche i migliori. Detto questo peccare di poca ispirazione anche nel suo campo, in quello che dovrebbe saper fare bene, è un rischio per un album, come abbiamo già detto, definito “Make or break” da lui. Forse qualcuno nella sua etichetta (Virgin EMI Records) avrebbe dovuto consigliargli e prendere la decisione di aspettare e farlo provare ancora, anche se tre anni senza album ormai sono tanti per chi ha una carriera agli inizi e ancora da costruire del tutto.

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