Jehnny Beth: dalle Savages al disco solista

Jehnny Beth, la musicista francese che negli ultimi anni si è fatta conoscere soprattutto come front-woman della rock band Savages, è un animale da palco. Non tutti i musicisti rock hanno questa capacità qui, di attirarsi addosso gli sguardi e muovere il sotto-palco con carica sciamanica – tuffarsi sul pubblico per lasciarsi trascinare dallo stage diving, ricordare a tutti che il rock ha questo ritmo qui: inteso, battagliero, coinvolgente. Jehnny Beth vuole davvero rievocare quel ritmo – e lo fa in maniera naturale – quel ritmo dannato con sui si muoveva sul palco gente come Jim Morrison, e che continuano a tramandare i mick-jagger di ieri e oggi. Così non sorprende che per il lancio del suo primo album solista To Love Is To Live Jehnny abbia scelto un singolo potente ed evocatorio come I’m The Man. Il video – uscito ormai lo scorso dicembre come antipasto del disco, e diretto da Anthony Byrne – gioca con l’identità androgina di Jehnny, in un ribaltamento di ruoli a cui la musicista ci aveva già abituato in questi anni. Già sui palchi, durante le selvagge performance dal vivo con il gruppo, lo stile di Jehnny Beth scardinava ogni ruolo e genere – in questo senso sembrava quasi predestinata a consegnarci il grido di I’m The Man con cui si muove tra le strade della notte nel video del pezzo. To Love Is To Live è un disco di sperimentazioni e immaginari, che gioca sul continuo movimento di identità e generi musicali sempre più fluidi – e forse non potrebbe essere altrimenti per l’esordio da solista di Camille Berthomier, che a luglio uscirà in libreria anche con una raccolta illustrata di racconti erotici.

Come ha raccontato nelle scorse settimane la musicista francese le ispirazioni del disco sono diverse: la morte di David Bowie è stata una speciale molla interiore, una spinta propulsiva alla creatività, To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar quella scossa musicale da cui non si può uscire che cambiati e/o ispirati, l’amicizia con Romy Madley-Croft degli xx uno stimolo alla continua ricerca, e poi quella presenza certezza di Johnny Hostile, vecchio compagno di Jehnny Beth e collaboratore storico – anche il libro di racconti è in coppia con lui. Così To Love Is To Live appare frastagliato come le coste rocciose sul canale della Manica, si muove tra l’Inghilterra e i vecchi ricordi del paesaggio francese che sono come intrusi da ridipingere dentro i testi: li ritroviamo per esempio nella ballata più soffusa di tutto il disco, The French Countryside. Quella che è una nudità esibita sulla copertina dell’album nella realtà parla al cuore dell’innocenza di questo disco – To Love Is To Live somiglia davvero a un canto rivolto all’innocenza, a ricordi scavati e ormai perduti, vecchie e future fratture, peccati originali che sono memorie di cattolicesimo da scuole d’infanzia, ma anche un invito a ripensare il corpo in tutta la sua innocenza. Il canto duro di Innocence intarsiato di elettronica batte forte come un rag e alza subito il ritmo alla musica, ma lo stesso ha un sapore malinconico. Perché c’è un doppio movimento che si agita per tutto l’ascolto di questo lavoro, e si piazzia giusto a metà tra i cori di voci e le torsioni ritmiche ed elettrificate dei suoni – il risultato è un miscuglio di rabbia malinconica, dove la voce di Jehnny va su e giù come un’altalena, a tratti rabbiosa e urlante, per altri versi elegiaca.

Sulla carta gli ingredienti per fare di To Love Is To Live un disco che resta ci sono, però c’è qualcosa di cui avvertiamo la mancanza, per esempio la prova del palco. Perché la dimensione naturale di Jehnny Beth è quella della performance dal vivo: è sul palco che si consuma il rituale dell’ascolto, quando le riesce di graffiare con grinta il pubblico. C’è una carica e insieme una fragilità in questo disco che sono la parte vincente della scommessa; e ancora c’è un’iniezione di elettronica e rumore – ma quello che mancherà a To Love Is To Live per fissarsi nella memoria è l’esperienza live, e il contributo artistico di quella band che Jehnny ha scelto di mettere in pausa al momento. Quel ruggito post-punk che ci aspettiamo da lei quando canta la sua Heroine.

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