Frammenti di Kanye West

Ne avevamo già avuto il sentore con The Life Of Pablo, con ye possiamo ormai parlare di certezza. Kanye West, non la sua musica ma proprio lui, è Picasso. O meglio, è un quadro di Pablo Picasso. Con TLOP era chiaro un cubismo di base, una folle scomposizione schizofrenica della materia in primis musicale ma anche lirica, difficile,  a volte impossibile da seguire ma in qualche modo incredibilmente accattivante ed eccitante.

Con ye accade lo stesso, dal punto di vista musicale ma questa volta decisamente di più da quello lirico, che tocca picchi inquietanti e più o meno inaspettati (dalla terrificante opening I thought about killing you all’aperta ammissione di Yeezy che si dichiara bipolare in Yikes).

È come se la personalità di Kanye fosse ormai esplosa in mille pezzi: ascoltare i suoi ultimi due album è partecipare in prima persona al tentativo disperato di ricomporre il puzzle di se stesso, di ritrovare il filo del discorso non riuscendoci minimamente. È il tentativo di provare a guardarsi dall’esterno con gli occhi del pubblico e allo stesso tempo mantenere inalterata la propria scintilla creativa, il proprio genio e la propria originalità e indipendenza d’artista; già la scritta sulla cover del disco ne è una conferma: “odio essere bipolare, è fantastico”. Una battuta che ha smesso di far ridere anni fa, di cui Jeezy si appropria senza remore donandogli tutto un altro significato.

 

Non vi sarete poi ovviamente dimenticati del freestyle di due anni fa I love Kanye:

I miss the old Kanye, straight from the Go Kanye
Chop up the soul Kanye, set on his goals Kanye

I hate the new Kanye, the bad mood Kanye
The always rude Kanye, spaz in the news Kanye

I miss the sweet Kanye, chop up the beats Kanye

I gotta say, at that time I’d like to meet Kanye

See, I invented Kanye, it wasn’t any Kanyes
And now I look and look around and there’s so many Kanyes

I used to love Kanye, I used to love Kanye
I even had the pink polo, I thought I was Kanye

What if Kanye made a song about Kanye
Called “I Miss The Old Kanye”? Man, that’d be so Kanye

That’s all it was Kanye, we still love Kanye
And I love you like Kanye loves Kanye

 

Qui gli innumerevoli punti di vista, i diversi sguardi su Kanye (torniamo al cubismo) sono ancora più evidenti, ancora più inquietanti. È lo stesso Kanye che ha “paura” di sé stesso d’altronde, passando dal simpatizzare verso i numerosi tradimenti dell’amico comico Chris Rock ai danni della moglie, all’ultimo pezzo, Violent Crimes, intriso di un pathos fastidioso e di luoghi che più comuni non si potrebbe sulle donne e sulla paternità e su come quest’ultima in particolare cambia l’animo di un uomo che si pente di come fino a quel momento ha trattato le donne nella sua vita, al punto tale da considerarsi un mostro.

Niggas is savage, niggas is monsters
Niggas is pimps, niggas is players
‘Til niggas have daughters, now they precautious […]

‘Cause now I see women as somethin’ to nurture
Not somethin’ to conquer

Kanye in tutto ciò continua a sentirsi in anticipo sui tempi, continua a sentirsi al di sopra della media, speciale, nonostante a tratti mostri il fianco parlando dei suoi problemi mentali, del periodo nella causa di cura e della dipendenza da oppiacei così come delle preoccupazioni finanziarie che lo hanno anche messo in crisi con la moglie.

 

Nonostante ciò non perde occasione di puntualizzare che:

Let me make this clear, so all y’all see
I don’t take advice from people less successful than me, huh?

In mezzo ad un mare di contraddizioni, l’episodio più sincero dei 23 minuti del disco è sicuramente Ghost Town. Forse qui questa commovente sincerità è così evidente perché Kanye sembra parlare direttamente a sé stesso, senza fronzoli, dichiarando attraverso la voce rotta di Kid Cui “I’ve been trying to make you love me, but everything I try just takes you further from me” dichiarando insomma quello che sembra chiaro un po’ a tutto il mondo, ovvero che quando una persona si atteggia da megalomane intoccabile e duro come la roccia in realtà sta solo cercando amore e approvazione, di riempire un vuoto enorme quanto l’ego che si esibisce. Anche qui però l’ambiguità di fondo che Kanye lascia trasparire parlando a sé stesso attraverso diverse voci e diversi punti di vista confonde e lascia abbastanza interdetti; oltre a Kid Cudi, Kanye si serve anche di Joh Legend nell’intro, ma è soprattutto l’outro affidato all’emergente 070 Shake -forse la più piacevole sorpresa del lavoro- che colpisce fortissimo, con dei versi quasi a capella ripetuti in modo ossessivo e con un timbro lacerante:

And nothing hurts anymore, I feel kinda free

We’re still the kids we used to be, yeah, yeah

I put my hand on a stove, to see if I still bleed
Yeah, and nothing hurts anymore, I feel kinda free 

Il mondo che Kanye ci sta indirettamente descrivendo è mostruoso, in qualche modo per atmosfera percepita mi viene facile associarlo a quella del film di David Cronenberg “Maps to the stars”, in cui diversi personaggi appartenenti al mondo hollywoodiano intrecciano le proprie storie tragiche portando alla luce tutto il marcio di un mondo, quello della celebrità e dell’ossessione per il potere e l’adulazione che ne deriva, da cui è assolutamente impossibile uscire tutti e interi.

Chissà cosa succederà ora, chissà se questo disco è stato per Kanye un primo passo verso la riabilitazione e il recupero di un qualche equilibrio, come in alcuni momenti ci sembra di percepire, oppure un ulteriore avvicinamento ad un abisso ancora più profondo, come ulteriori ed eguali indizi sembrano volerci lasciar intendere in questo gioco di prospettive e sguardi incrociati che vanno a dipingere quel dipinto cubista vivente che risponde al nome di Kanye Omari West.

Con l’augurio, ovviamente, che non smetta mai di fare musica in qualunque circostanza si venga a trovare.

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