Kurt Cobain, grunge e anima nella mostra di Lavine

Di alter-ego, Kurt Cobain ne aveva tanti, almeno quanti erano i nomi e i cognomi con cui si firmava, Kurdt, Curt, Curtis, Cohbain, Covain, Kobain. Ma quel suo sguardo, passaggio su un tunnel personale di dolore fisico, distruzione e genialità pura, resta ancora oggi ineguagliabile. Uno sguardo grunge, forse più della sua vocazione artistica, della musica dei Nirvana e del movimento partito da Seattle a fine anni ’80 che in pochi anni ha stravolto il mondo.

Quello sguardo che ti disarma nello scatto in vetrina, prima ancora di varcare la soglia della mostra Kurt Cobain 50: il grunge nelle foto di Michael Lavine, personale del celebre fotografo pubblicitario in esposizione negli spazi della galleria ONO Arte Contemporanea di Bologna per i 50 anni dalla nascita del leader dei Nirvana. E si ha come l’impressione che, se quel tragico giorno di aprile del 1994 il fucile fosse stato senza colpi in canna, nonostante le difficoltà con la fama, con la droga e con un rapporto logorante con la moglie Courtney Love, ancora oggi sarebbe rimasto identico. Incorniciato dai soliti capelli scompigliati biondi, la camicia di flanella e quei jeans logori e strappati, con in mano, chissà, questa volta davvero un Pennyroyal Tea.

Negli scatti di Lavine, c’è tutto questo. Un racconto che parte da quando i Nirvana erano alle prime armi e, oltre al bassista Krist Novoselic, alla batteria c’era Chad Channing. Quando Smells Like Teen Spirit – con l’emblematica frase “I’m worse at what I do best” (Sono il peggiore in quel che faccio meglio) – era ancora un appunto nel diario di Kurdt e nessuno immaginava la potenza esplosiva che presto avrebbe trasformato il brano nell’urlo di ribellione di un’intera generazione. Quella “x”, così inappagata e apatica per essere nata dopo la rivoluzione culturale post-bellica e prima della caduta del muro di Berlino.

Il viaggio prosegue tra le sfumature dei capelli di Kurt Cobain fino a Dave Grohl, approdato nella band dopo lo scioglimento degli Scream, al successo mondiale, all’idillio con Courtney Love. Sullo sfondo, la grigia scena grunge del palcoscenico di Seattle e la Sub Pop, l’etichetta indipendente nata nel 1986 che puntò prima di tutti gli altri sui Nirvana, chiave di volta del movimento accanto a band come Mudhoney e Soundgarden. Etichetta che ha consentito al grunge di ereditare le sonorità del punk-rock e di tramutarle in identità. Come identitaria era la musica in quel momento storico, abbandonando il ruolo di colonna sonora. E quei tre ragazzi di Seattle non avevano bisogno di saperlo, lo insegnavano. Tutto di loro riusciva a comunicarlo, anche se erano chiusi in uno studio sradicati dal contesto, come è evidente negli scatti della mostra. Dall’abbigliamento non curato, allo stile, alle espressioni e alla spontaneità con cui si ribellavano alle multinazionali americane e alle personalità culturali precostituite.

Il primo incontro tra i Nirvana e Lavine risale al 1990, pochi mesi dopo la pubblicazione di Bleach (il 15 giugno 1989) con la Sub Pop. Un album tanto reale quanto graffiato, sporco. Ma il lavoro che permise al mondo di ascoltare il grido di spiazzante realtà della band, fu Nevermind nel 1991. È in quel momento, quando i Nirvana erano impegnati a scriverlo dopo aver trovato la major Geffen Records, che li immortala per la seconda volta. Prima ancora dei testi, Nevermind bucò la scena per la sua copertina: un bambino di 4 mesi che nuota nudo in una piscina. Una foto che a inizio anni ’90 era molto più che una rottura degli schemi, tanto da litigare con l’etichetta che propendeva per rimuovere graficamente il pene nella foto. Di tutta risposta, Kurt Cobain propose la copertura con un bollino con su scritto Se ti senti offeso da questo, sei segretamente un pedofilo. Alla fine restò la copertina originale, dirompente quanto erano i live della band, quando imbracciavano gli strumenti e li spaccavano sul palco. Così come chiusero l’esibizione per gli MTV Video Music Awards dopo aver rinunciato a suonare Rape me in anteprima, per non rischiare di essere esclusi dalla serata.

Solo alcuni aneddoti della storica band che vengono ripercorsi nella mostra. Ma oltre alla musica, negli scatti di Lavine c’è l’anima di Kurt Cobain. Soprattutto nelle foto in cui divide la scena con Courtney Love, cantante delle Hole. Lei, che il frontman dei Nirvana difese davanti a tutti quando fu accusata di assumere eroina durante la gravidanza e per cui fu più volte sul punto di lasciare tutto. Non c’è traccia nelle foto della loro dipendenza dalla droga, della lotta per non perdere la custodia della loro figlia Frances Bean. Neanche dell’amore burrascoso che li ha fatti entrare di diritto nella lista delle coppie più note e maledette del rock.

La mostra, che chiuderà il 24 febbraio, 4 giorni dopo il 51esimo anniversario dalla nascita di Cobain, rappresenta un balcone con vista su tutta la scena americana degli anni ‘90. Accanto ai Nirvana, infatti, le immagini di altri gruppi simbolo fotografati da Lavine mai mostrate in Italia. Come le stesse Hole o i Beastie Boys, ma anche Kim Gordon e Nick Cave. Cinquanta foto, in un percorso unico che trasporta nel passato. Non serve la musica, bastano le immagini. Da vedere e rivedere, perché ogni volta le note che trasmettono sono irripetibili.

È a ingresso libero, con patrocinio del Comune di Bologna ed è prodotta in collaborazione con Gas Jeans che per l’occasione realizzerà una colleziojne in edizione limitata di 2000 t-shirt e felpe con una rielaborazione grafica delle immagini più iconiche del fotografo.

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