La disperazione in Quello che rimane di Paula Fox

Nella prefazione al romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1970, Jonathan Franzen definisce Quello che rimane: assolutamente superiore a qualsiasi romanzo dei contemporanei di Paula Fox, come John Updike, Philip Roth e Saul Bellow.
Nella stessa prefazione racconta di avere letto il romanzo di Paula Fox ormai una mezza dozzina di volte, ricercando ad ogni lettura nuove risposte, un chiarimento a dei passaggi che persistevano nella loro oscurità. Forse non tutti nella lettura si riconosceranno nello stesso stato di fascinazione magnetica che ha colpito uno dei più apprezzati scrittori statunitensi contemporanei, ma è inspiegabile come un romanzo di questa portata sia rimasto per tempo dimenticato.

Siamo a New York, anni Sessanta. Sophie Bentwood è una quarantenne americana, sposata e senza figli. Vive col marito Otto nella tranquillità tipica della borghesia arricchita. La loro indolente esistenza viene improvvisamente scossa quando un gatto randagio si avvicina alla loro residenza e morde in modo inaspettato Sophie, occupata a nutrirlo. E’ così che una delle loro giornate come tante, nei suoi meccanismi ordinari e statici, si evolve in un climax di tensione e paura. Sophie è terrorizzata da ciò che potrebbe causarle quel morso, ma l’infezione che sente dilagare in lei va ben oltre la semplice malattia fisica.

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Sophie si interroga, capitolo dopo capitolo, sulle conseguenze della ferita ricevuta, pur perseverando nel mostrarsi tranquilla, nel sminuire l’accaduto con coloro che si preoccupano per la sua salute. La paura del dolore causa però in lei la genesi di un male vero, profondo, atavico. E l’incapacità di gestire un piccolo imprevisto la scuote a tal punto da riconsiderare il passato, rivivendo ogni delusione autoinflitta e ogni istinto taciuto. Sophie si rivela un personaggio perso nella complessa rete della sua psiche, pronto a rimettere in discussione se stessa, a partire proprio dal suo ruolo di moglie.

Quello che si apre come un romanzo ordinato, con una descrizione puntuale degli oggetti e le pietanze di un pasto, diviene così un vivido susseguirsi di tasselli in cui la Fox riesce perfettamente a descrivere ogni sensazione di disagio, ogni sentimento negativo con una potenza immaginifica che frastorna, a tratti sdegna.
I capitoli di Quello che rimane sono infatti un susseguirsi di scene forti e vivide in cui fa la protagonista una civiltà in decadenza. Quella palpabile e visibile che con violenza si manifesta nel senzatetto che rigetta la bevuta di una mattina per poi scivolare rovinosamente sul proprio stesso vomito, ma anche quella che attanaglia ogni individuo nei suoi rapporti con l’altro, dal matrimonio alle relazioni lavorative. E la degenerazione intima degli eventi prende spaventosamente forma a partire dagli ambienti stessi, che fanno da macabro sfondo.

Il punto di forza del romanzo sono proprio le allegorie dense di significato, i brevi momenti in cui si spiano i personaggi nelle loro follie per carpirne l’essenza.
Andando forse a scapito di una continuità narrativa non sempre chiara e comprensibile, la penna della Fox realizza un sortilegio da cui si viene attratti e che non risparmia nessun aspetto della società moderna. E’ il mondo che in ultimo viene ritratto rabbioso, come la malattia che minaccia la protagonista. Un morbo il cui potere corruttivo diviene quasi consolatorio poiché in grado di rendere uguali e assuefatti. In una critica che a distanza di cinquant’anni rimane attuale e desolante.
La disillusione profonda della stessa autrice, figlia di un vissuto turbolento, è tangibile e sanguinante.

Anche la banale esperienza legata al morso del gatto risulta infatti un evento estrapolato da vicende personali. D’altro canto, basta anche leggere poco della biografia di Paula Fox (classe 1923 e recentemente scomparsa) per riscoprire in essa più di un momento di criticità. A partire dal mancato riconoscimento da parte della madre, alla figlia data in adozione (poi diventata a sua volta madre di Courtney Love, con cui l’autrice non ha mai avuto un buon rapporto) per motivi economici, a matrimoni fallimentari. Legami familiari scossi che però non l’hanno fermata dagli studi, né l’hanno privata del dono creativo.

Recentemente ripubblicato Fazi Editore in una nuova veste grafica, Quello che rimane è il secondo di sei romanzi della Fox e sicuramente un’opera da riscoprire.

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