La poesia di Emidio Clementi

vi lascio
e corro incontro
ai giorni
che mi spettano
le carte appese al petto
e una versione di riserva
per tutte le strofe
uscite male
e le frasi sbagliate
che nessuno
potrà più cancellare

Cos’è la poesia in un secolo così superfluo?, ce lo si chiede spesso, attanagliati a tarda notte, se la vera poesia oggi sia altrove dalle parole, in un piatto caldo fotografato appena sfornato, che piace a troppi, rigoglioso di like. Che fine hanno fatto le parole dei poeti, e dove si è nascosto il poeta? ‘‘Perchè i loro poeti hanno taciuto’‘, cantava Brecht, perchè i poeti di questo secolo tacciono, si siedono alla grande abbuffata del circo, e partecipano alla dissoluzione delle parole. Cos’è la poesia, ce lo ricorda Emidio Clementi, che adatta le sue parole dentro la musica e incastona i versi nei Massimo Volume. Fissi le parole dei suoi versi e ci trovi mille modi di interpretarle: la poesia che ti arriva, violenta. Questo è quello che dovrebbero fare le parole, e i poeti. Siamo attaccati dal superfluo, in una vera e propria overdose secolare di parole, e movimenti, non c’è un antidoto per resistere allo strazio, e chi lo sa poi che resistenza fanno i cantori di oggi. Personalmente preferisco Clementi a Bukowski, e so che questo è duro da dire in un secolo che fa del personaggio Bukowski più che delle sue parole il suo cantore immaginario. Clementi ha le palle di affondare fino all’oscurità, non che Bukowski non lo facesse, ma spesso C. B. si perde nel suo cantato, e fa il personaggio. Invece la poesia per pretendere la profondità deve essere anzitutto sincera, scavare fin dentro per far intravedere una qualche verità.

 

addestrati alla guerra alla notte, alle ombre al deserto, alle voci alle mura, alla morte che arriverà planando in un’alba di maggio

L’effetto è assicurato in un’immagine del genere: la morte che ti plana addosso in una del tutto arbitraria alba di maggio. Il poeta resta in disparte, ne ”La notte”, dove tutti i personaggi respirano le loro storie vive sulla pelle, e lui li aspetta, affidandosi alla notte. Un teatro notturno di mille destini che si incontrano, o non si incontrano mai. Il poeta diffida. Ci racconta la storia di quello che diventeremo: guarda a sera passare il carretto che torna a casa dopo aver cercato di vendere prodotti inutili per tutta la giornata, e si emoziona. Fissa la storia di una bambina piccola che mastica tabacco per gioco, e le sorride. Questa è la poesia, e non contano tutti gli artifici fatti dall’uomo in questi secoli oscuri e luminosi: perchè i versi greci raccontano la stessa storia di quelli del 2013 d.c.
Questa non è una recensione del nuovo disco dei Massimo Volume, questa è una riflessione sul ruolo dei poeti nella contemporaneità, e di chi è rimasto a cantare nonostante tutta la fatica che comporta il cantare, e aprirsi, e scrivere, e fissare i versi, e le immagini e trasformarle in parole. La tortura che ti fende l’anima. Quella che fece abbandonare le parole a Rimbaud troppo giovane, prima di trovare lo schianto poetico nella morte in Africa.
Saturi, come siamo, di tutto, il fatto che ci si riesca ancora ad emozionare sui versi, è meraviglioso. Per questo Emidio Clementi spero resterà un giorno fisso nella memoria di chi farà quegli orrendi commentari poetici italiani che sono rimasti fermi a Carducci.

ora che l’orizzonte è in fiamme noi rincasiamo serriamo in fretta le imposte mettiamo in ordine i fogli le provviste i vestiti smessi dell’estate in attesa dei barbari”

Fare poesia significa lanciare bombe, fermare e rapire bellezza. In realtà ci sono tanti interpreti del Novecento italiano che hanno sofferto di una piccola esclusione o pregiudizio poetico, penso al caso di Dario Bellezza, che non è il nome più conosciuto del secolo scorso italiano, quello che diceva ”essere poeti è faticoso”. Perchè ci siamo fermati in questa ricerca costante e furtiva di parole?perchè abbiamo lasciato sconfitte in disparte le voci della poesia più vicine ai giorni nostri? Passi per Montale, che porta il telefono dritto dritto nella poesia. Ma dai tempi dell’invenzione del telefono le cose sono cambiate, e ancora, e ancora.

Quest’asprezza che riconosciamo oggi nelle cose che facciamo, dove sta? Perchè la scuola italiana si preoccupa tanto di assimilare la figura del poeta a quella del Sommo Cantore Assonnato, tralasciando di spiegare la disgrazia della poesia sulla pelle umana? E’ una cosa che pretenderemmo di trovare, la verità dentro i versi, mentre cresciamo.

 

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