La sindrome di down raccontata da un padre in Non è te che aspettavo

Nonostante anche le gravidanze siano ormai qualcosa più che spesso condivisa nella nuova era dei social media, non esistono ancora dei corsi che ti preparino realmente a viverle in prima persona. E se al primo figlio sei obbligato a imparare tutto da zero, al secondo ti destreggi meglio tra visite e controlli, senza però essere risparmiato da nuove attese e preoccupazioni. Fabien Toulmé racconta in Non è te che aspettavo – suo esordio nel genere delle graphic novel – proprio la sua seconda e delicata esperienza da genitore: dal secondo mese di gravidanza della moglie, ai primi anni di vita della piccola Julia. E con la sua nascita anche la concretizzazione di uno dei timori più grandi.

Non è te che aspettavo: il titolo forte e a suo modo inaccettabile contiene in sé una rivelazione. Perché la piccola Julia è affetta da trisomia 21, più conosciuta come Sindrome di Down. La scoperta è dolorosa e inaspettata. D’altro canto nessuno degli specialisti consultati era stato in grado di diagnosticare questa anomalia genetica; tutti si erano preoccupati di rassicurare i giovani genitori sulla “normalità” della nascitura. Così uno dei giorni che deve essere per diritto naturale tra i più belli della vita si trasforma per Fabien e la moglie in un piccolo inferno.

La graphic novel, pubblicata recentemente da BAO Publishing, non è altro che il racconto travagliato e sincero di un uomo, di un padre, nel suo percorso di accettazione. Fabien Toulmé fa un atto di coraggio e si mette a nudo, rivelando anche i suoi lati meno nobili. Non nega un’adolescenza segnata dal disprezzo verso gli individui trisomici, senza cercare mai giustificazioni. Non nasconde al lettore la sua vena d’odio di fronte a quella bambina che sa essere sua, ma non riconosce come figlia, non vuole come figlia.

Disegna sulle tavole le sue paranoie, i suoi pianti disperati, il suo convinto rifiuto, le invidie nei confronti dei genitori più fortunati. Non fa mai sconti a se stesso. Anche se un epilogo felice è comunque prevedibile fin dalle prime tavole, è la rivelazione della parte più oscura dell’animo umano di Fabien a rendere tutto più vero e a costruire un ponte empatico con chi legge. Perché dietro il rifiuto di una figlia “diversa” si cela un tormento comune: non essere dei bravi genitori. Soprattutto quando, in casi come quello della trisomia 21, il carico delle responsabilità aumenta e le costanti attenzioni da riservare alla crescita della piccola spaventano.

La testimonianza di Fabien arriva così a toccare dei tasselli delicati e importanti, suggerendo una necessità pragmatica come forza motrice dell’opera: condividere e fare conoscere. Seguendo i due genitori e la piccola nei consulti tra uno specialista e l’altro, li vediamo assimilare i consigli e confrontarsi con chi come loro sta vivendo la stessa situazione, fino a riconoscerli improvvisamente e perdutamente innamorati di un piccolo individuo di questo mondo, che come tutti, in questo mondo, ha le sue caratteristiche.
Con un movente quasi didattico, attraverso la loro esperienza si impara qualcosa in più sulla Trisomia 21 e si restituisce ad essa una dimensione non facile, ma sicuramente più vicina e gestibile.

Il tutto viene diviso e scandito in capitoli, ognuno dei quali contraddistinto da una tinta cromatica differente che ne amplifica il lato emozionale. Il tratto è semplice e caricaturale e dona ai personaggi sembianze dolci che ben si adattano all’evoluzione della storia e che li rendono teneri ma non meno credibili. Perché la bravura di Fabien Toulmé è proprio quella di sapersi raccontare con sincerità senza mai scadere in facili pietismi, nel far conoscere sua figlia senza mai negare pregi e difficoltà della sua condizione. E un cromosoma in più inizia a sembrare anche a noi meno spaventoso.

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