L’Arancia Meccanica della violenza di Anthony Burgess

Per un’esperienza di lettura immersiva consigliamo l’ascolto contemporaneo della Nona di Beethoven

a cura di Francesca Pasculli

Scandendo il tempo, le ore e i secondi che ci separano dalla visione di una vita che ci sembra incredibilmente lontana ma allo stesso tempo simile alla nostra, quest’anno si festeggia – o meglio si sarebbe già dovuto festeggiare – il centesimo anniversario di nascita del celebre scrittore inglese John Burgess Wilson, meglio conosciuto come Anthony Burgess. Nel lontano 25 febbraio del 1917, in una Gran Bretagna resa fragile e vulnerabile dalle repressioni economiche e sociali della Prima Guerra Mondiale, nasceva uno dei migliori rappresentanti della cultura letteraria inglese.

Anthony Burgess, rappresentante di una generazione violenta, di un dolore condiviso, e denunciatore di una repressione dell’individuo perpetuata dallo stato, ha lasciato alla storia innumerevoli capolavori intrinseci di significato che ora come ad allora è sempre valido e incredibilmente contemporaneo.

Anthony Burgess, a casa sua

In uno dei suoi più celebri scritti, reso immortale anche dalla trasposizione cinematografica di Stanley Kubrick, Arancia Meccanica [titolo che proviene dall’espressione “sballato come un arancia ad orologeria” ascoltata dall’autore in un pub londinese prima della seconda guerra mondiale], Burgess è molto critico nei confronti della violenza giovanile che si consumava nelle strade all’epoca. Il libro ci conduce nelle strade di una città e di un’epoca non ben identificata lasciandoci scoprire pian piano l’universo di Alex, protagonista della vicenda, e dei suoi amici.

Alex, nome che ci ricorda il celebre Alessandro il Grande, famoso per essersi fatto strada nel mondo a colpi di spada e uccisioni, finendo per conquistarlo gloriosamente, è nel romanzo uno strano ragazzo con un linguaggio estremamente forbito e una passione per la musica di Beethoven. Caratteristica fondante del racconto è l’abitudine di Alex e dei suoi amici di spargere terrore e commettere crimini di vario genere, fino all’omicidio, nelle strade notturne della loro città, sotto l’effetto di droghe.
Il divertimento provocato dalla violenza nei confronti di estranei innocenti provoca in Alex e nei suoi amici una forma di godimento.


L’attenzione dell’autore si sposta però, in un secondo momento dell’opera sulla libertà. Quando Alex viene colto in fragrante durante una delle divertenti marachelle violente condotte dalla sua cricca, le forze dell’ordine lo arrestano e lo condannano. La condanna, però, non è ritenuta sufficiente per lo stato, in quanto incapace di estirpare il male radicato nel giovane. È questo il momento in cui il nostro protagonista si fa sottoporre a una terapia, introdotta dal ministero degli Interni, che garantisce in sole due settimane la cancellazione di ogni desiderio di delinquere dalla sua mente.

Anthony Burgess parla di libertà sottraendola alla sua opera, definendo così lo strazio di una società e uno stato pronto ad allineare tutta l’umanità e indurre scientificamente la “bontà” nelle mente degli abitanti. L’autore dichiara “è meglio essere malvagi per propria scelta che essere buoni grazie a un lavaggio scientifico del cervello”. Durante la terapia a cui viene sottoposto, il ragazzo è costretto a guardare immagini violente e turbanti accompagnate da melodie sinfoniche, come ad esempio la Nona sinfonia di Beethoven, tanto amata dal protagonista.


In seguito a questo evento Alex non riuscirà più ad ascoltare questa sinfonia senza provare un’irrefrenabile disgusto. Le terapie hanno provocato nel protagonista anche il rifiuto di un mondo innocuo e paradisiaco, come quello della musica, a lui tanto caro fino ad allora. Questo lo induce ad una nera disperazione in cui il ragazzo, perso, tenta il suicidio. Sarà solo un’ultima terapia ipnopedica a farlo tornare allo stato di “essere libero”.

Nell’ultima versione del romanzo, vediamo un Alex cambiato, moralmente migliorato secondo i parametri della società, intento nel costruirsi una vita, una famiglia e un florido e canonico futuro. Il vecchio e caro Machiavelli direbbe, a questo punto, “il fine giustifica i mezzi”, ma l’autore avrebbe da ridire a proposito.

Uno Stato che desidera la sottomissione dei suoi cittadini non dovrebbe forse ottenerlo con i mezzi giusti? Riuscire a creare una società perfetta, sicura e benevola con l’utilizzo di procedimenti che annullano la condizione di libertà e che costringono scientificamente il cambiamento della mente umana comporterebbe contemporaneamente un ribaltamento. Una civiltà composta da soli individui propensi al bene e disgustati dalla malvagità, condotti però da uno stato crudele e senza scrupoli, capace di controllare le menti e l’andamento dei fatti storici e sociali dell’intera società.

L’opera di Burgess, seguendo strane strade, percorrendo sentieri di terrore e cattiverie immotivate, ci conduce a un’aspra denuncia contro la repressione della forza di volontà personale, che ci fa provare, tramite il ribaltamento di cui abbiamo parlato, compassione per il malvagio protagonista e disprezzo per il caro Stato che, mascherandosi con le buone intenzioni, procura forzatamente l’annullamento della possibilità di scelta. Uno Stato capace di trasformare i suoi cittadini in marionette ben addomesticate, poterà una finta pace e un’inesistente libertà.

Burgess, a distanza di anni dall’uscita dei suoi libri è ancora capace di metterci in guardia, e di insegnarci che non sempre i risultati accettabili provengono da giuste soluzioni, a prescindere che esse stesse derivino dallo stato che ci protegge, o che dovrebbe farlo.

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