L’Arte della Felicità – un pregevole cartoon esistenzialista nato dalla creatività partenopea

il taxi di Sergio

Una piccola grande gemma d’animazione ha fatto irruzione nell’universo cinematografico contemporaneo: L’Arte della Felicità è il risultato dello straordinario lavoro della Mad Entertainment, un collettivo (stile factory warholiana) di una quarantina di creativi napoletani, disegnatori, musicisti, autori che, capitanati dall’imprenditore-produttore Luciano Stella, ha dato vita ad un progetto che ambisce a creare cinema d’animazione per adulti sullo stile di Valzer con Bashir, Persepolis, Appuntamento a Belleville.

L’Arte della Felicità oltre ad essere un eccellente prodotto della creatività artigianale di questa factory è sopratutto un ottimo film, una storia originale ed emozionante, dal sapore esistenzialista e filosofico, malinconico e speranzoso: in una Napoli flagellata da una pioggia costante e dalla presenza dei rifiuti per le strade si aggira nel suo taxi Sergio, con una lettera sul cruscotto che non ha il coraggio di leggere. Sergio è taciturno, pensieroso, uggioso come il tempo, ma principalmente è triste perché suo fratello Alfredo è morto, e quella lettera che non ha il coraggio di leggere gliel’ha scritta lui prima di morire.

Alfredo nel suo ritiro in Cambogia

Oltre dieci anni prima i due fratelli erano dei promettenti musicisti e tutta la città parlava del loro talento; ma da un giorno all’altro Alfredo decide di andare via da Napoli e partire per la Cambogia, per una sorta di ritiro spirituale, e Sergio non riesce a comprendere la decisione del fratello sentendosi quasi abbandonato. Il distacco da Alfredo porta Sergio a farla finita con la musica e con quella fuga dalla disperazione della vita che insieme avevano intrapreso, e, quasi abbandonato il desiderio di vivere la propria passione a vantaggio del semplice sopravvivere, rileva la licenza di tassista dello zio Luciano.

Il taxi diventa l’universo attraverso cui Sergio resta legato al mondo esterno, in un continuo via vai di anime rivelatrici di situazioni e condizioni umane che affollano una città emblema della società contemporanea, grazie a cui riaffiorano i ricordi del tassista, i rimpianti che si travestono da speranza, l’impossibilità di fare i conti con gli altri senza essersi liberato dal peso che gli affligge l’anima. E il fratello, Alfredo, sempre presente nei suoi pensieri, ancora di più ora che è morto e con quella sua lettera da leggere, e la paura di ciò che possa rivelargli. Sergio è in bilico, attende la catastrofe ma sente qualcosa rinascere nella propria anima, e nonostante il presagio apocalittico e lo scenario infernale forse è proprio oltre il parabrezza di quel taxi che può rinascere la vita e ritornare il sole.

L’Arte della Felicità è un’opera surreale ma di impatto emotivo forte perché gli elementi narrativi sono simbolici al di là della connotazione filosofico-religiosa che gli si può attribuire: la bellezza dei disegni che rappresentano la città di Napoli in un perenne temporale ha una marea di significati che potrebbero essere analizzati a livello sociologico ma hanno forza maggiore se inclusi in una storia come quella raccontata da una sceneggiatura non banale e neppure autoreferenziale o moralizzatrice.

Il regista Alessandro Rak, illustratore dal talento straordinario, ha scritto con Luciano Stella una parabola affascinante e suggestiva sulla vita, sulle scelte, sulla rinascita, su Napoli; l’inizio senza parole che dalla pace di Angkor vola nel caos della pioggia del capoluogo partenopeo è il primo dei numerosi passaggi che caratterizzano un film in continuo movimento, dai continui sbalzi emotivi, con scelte rischiose come quella della verbosità dello speaker della radio che il protagonista ascolta in continuazione o come quella dei favolosi intermezzi esplicativi che mostrano un taxi giocattolo nella sua odissea tra scenari immaginari. Eppure l’originalità dell’opera, anche nei suoi azzardi narrativi, ha la capacità di far chiudere un cerchio emblematico che fa sposare perfettamente la scrittura e l’animazione, la storia del protagonista e la rappresentazione di una città.

Fondamentale per la riuscita del film l’apporto delle musiche di Antonio Fresa e Luigi Scialdone (soci fondatori della Mad Entertainment) e sopratutto della colonna sonora tutta partenopea con le canzoni dei Foja, dei 24 Grana, di Gnut, dei Guappecartò, di Joe Barbieri, di Luca Di Maio, dei Tarall&Wine, e della bella voce di Ilaria Graziano accompagnata da Francesco Forni. L’attrice Jun Ichikawa dà voce all’interprete femminile principale de L’Arte della Felicità, Antonia, l’incontro rivelatore, la scoperta fondamentale, la possibilità di rinascita; a proposito di voci, quella del protagonista Sergio è di Leandro Amato, di Nando Paone quella del fratello Alfredo, mentre è Renato Carpentieri a dare sfogo e anima ai pensieri dello zio Luciano.

Sono molte le scene che fanno Cinema ne L’Arte della Felicità così come la citazione (voluta o meno che sia) che accomuna il monologo-sfogo del tassista Sergio e il protagonista de La 25a Ora di Spike Lee, per uno straordinario ritratto della contraddizione e del conflitto imperante nella personalità del personaggio principale del film. Sulla base di un’idea semplice (“non può piovere per sempre“) contornata da dubbi che difficilmente potranno mai avere risposte (“Napoli, questa città, questa gente…siamo davvero noi la casa dell’anima o piuttosto la sua gabbia?“) L’Arte della Felicità è un’opera pregevole, lontana dalla retorica e realisticamente visionaria.

 

Trailer

Frammenti del film

Foja – ‘A malìa – From the original soundtrack “L’arte della felicità”

 

 

L’ARTE DELLA FELICITA’ – colonna sonora:

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