Le lunghe elezioni egiziane

  Dopo la vittoria del partito islamista ”Giustizia e sviluppo” (PJD) in Marocco, e quella di al-Nahda in Tunisia (sempre partito a ispirazione islamica), è tempo di elezioni anche in Egitto.  In realtà la situazione egiziana è parecchio complessa, a causa dei forti contrasti tra i rivoluzionari di Piazza Tahrir e il Consiglio Supremo Militare: dopo la caduta di Hosni Mubarak il paese è nelle mani dell’esercito guidato dal generale Tantawi. Le stesse elezioni egiziane saranno lunghe, e continueranno fino al mese di marzo, tanto che i rivoluzionari temono che la lentezza nel trasferire i poteri dai militari ai civili sia una tattica del generale per aumentare il controllo nell’Egitto che verrà. Il caso dell’Egitto dopo la Primavera Araba è dunque paradossale, dopo la rottura con la dittatura di Mubarak non si è riuscita ad evitare l’irruzione dell’esercito ai vertici del potere, che approfittando anche della legge sullo stato d’emergenza ha goduto di forti libertà in materia di arresti e detenzioni: basti pensare al blogger Sanad condannato a 3 anni di carcere per aver offeso l’esercito scrivendo semplicemente post in rete. In realtà le denunce internazionali per la violazione dei diritti umani in terra egiziana arrivano da mesi, la Giunta militare che dovrebbe assicurare una transizione democratica pare approfittare del ”temporaneo” potere di cui si è appropriata durante le proteste.

E’ per questo che Piazza Tahrir in questi giorni si è riempita di nuovo. In particolare sono i Fratelli Musulmani (attraverso il Partito Libertà e Giustizia) a contestare il modus in cui si stanno svolgendo le elezioni, la lunghezza dei tempi, le clausole imposte dalla Giunta militare, la paura che al potere finiranno per tornare tutte le vecchie facce, e allora addio rivoluzione e cambiamento. Mentre in Marocco la transizione democratica è stata più breve e pacifica, anche se il monarca è rimasto al potere come garante costituzionale, in Egitto invece gli spargimenti di sangue continuano, e anche le repressioni dei militari contro i manifestanti: sangue e rivolta sono parole ancora vive in questo pezzo d’Arabia.


Exit mobile version