Radiohead – The king of limbs

Voto: 8,5/10

Se, tra cento anni, un qualunque museo di arte moderna del mondo decidesse di organizzare una mostra multimediale sul suono del nostro tempo, beh, i Radiohead dovrebbero essere i primi ad essere contemplati. Con i loro album hanno indubbiamente segnato i nostri anni. Hanno preso il rock e la psichedelia e li hanno reinventati, hanno abbracciato l’elettronica, hanno scomposto e ricomposto in mille modi diversi la forma canzone. Hanno scritto una pagina dell’arte musicale moderna e, a voler essere obiettivi, non si sono limitati solo a riscrivere la musica, ma hanno inventato un nuovo modo per renderla fruibile, un nuovo tipo di marketing, l’idea del paga quanto vuoi o quella, che si è palesemente verificata questa settimana, di annunciare un album pochi giorni prima della sua uscita e, a gran sorpresa, di anticiparne addirittura di un giorno il rilascio.

Nessun album dei Radiohead suona come il precedente. Questo è un dato di fatto. Per cui chi si aspettava da The King Of The Limbs un In Rainbows parte seconda, si sbagliava di grosso. E, non solo perchè In Rainbows part. 2 esiste già ed è un disco bellissimo, ma perchè la formula dell’album precedente non si è praticamente mai ripetuta. TKOL è un disco di non canzoni: ostico, elettronico, epilettico che sembra riprendere il filo di Amnesiac. Il suono è compresso, claustrofobico. È l’inizio di Bloom. Si viene come scaraventati in un tunnel (e qualcosa in questo brano di apertura mi rimanda a Pakt like sardines in a crushd tin box), la voce di Thom è straziante…“Don’t blow your mind with why”…stai in silenzio e ascolta. La linea melodica nervosa di Morning Mr. Magpie ci riporta le chitarre e un pezzo più classico, cantabile, che subito si insinua nella testa dell’ascoltatore, che lascia qualcosa di magico nell’aria, anche quando, a metà canzone si apre in inquietanti convulsioni sonore. Le chitarre acustiche, prive di distorsione la fanno da padrone nella delicata Little by little, forse uno dei brani più vicini al lavoro precedente. Una tempesta di clap e sinth dipinge Feral come un quadro impressionista che apre la strada al singolo, la suadente Lotus Flowers, già eseguita da Thom qualche anno fa in un arrangiamento voce e chitarra che, ora vestita di nuovi suoni, col suo incedere accattivante, non può non coinvolgere anche i più diffidenti. E se ancora non vi siete commossi, lasciatevi andare a Codex, la prima vera ballata…la Exit Music del disco, per intendersi, con i suoi accordi al piano sparsi che ti entrano dentro, facendoti sempre più male. A chiudere questi quasi quaranta minuti di musica l’acustica elegia di Give up the ghost che suona quasi come un gospel e il sospetto finale con la meravigliosa melodia di Separator. “If you think it’s over then you’re wrong”, è cosi che finisce (per adesso?) The King Of The Limbs…troppe canzoni mancano all’appello, tra cui la splendida “Super Collider”, che pochi fortunati hanno potuto ascoltare durante l’ultimo tour.

Per adesso non una nota sprecata, non un pezzo superfluo. Otto canzoni che sono otto gemme, che ci ricordano che i Radiohead non assomigliano proprio a nessuno, se non a loro stessi. L’ennesima faccia della bellezza.

Brani significativi: Morning MrMagpie, Lotus Flower, Codex, Separator

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