L’estate si chiude a Piacenza | Intervista al Bleech Festival

Abbiamo incontrato Filippo Zanelli e Riccardo Grandi, due degli organizzatori del Bleech Festival di Piacenza, che si terrà dall’1 al 3 settembre al Parco della Cavallerizza, per capire quali siano le difficoltà, ma soprattutto le soddisfazioni che un gruppo di giovani incontra nell’organizzare un festival di musica in provincia. L’Emilia piacentina a settembre rinasce tra le colline, la pianura e il fiume Trebbia: aspettiamoci grandi novità non solo musicali, ma anche sorprese gastronomiche e divertenti workshop per tutte le età

Ricordate ancora il giorno in cui avete deciso di dar vita al Bleech Festival? E per quale motivo si chiama in questo modo?

Il Bleech Festival è nato da un’esigenza poiché non c’era mai stata a Piacenza una proposta di questo tipo legata alla musica. Ci siamo chiesti perché dappertutto c’erano festival allettanti mentre qui non c’era ancora nulla. L’associazione Propaganda 1984 è un mix di persone che provengono da altre associazioni. Tre anni fa abbiamo organizzato in un mese la prima edizione del festival. Invece, per quanto riguarda il nome del festival, nasce da un errore di battitura, doveva chiamarsi Bleach Festival, ma sui provini e sulle grafiche è venuto fuori Bleech. L’abbiamo tenuto così perché suonava bene e in un secondo momento abbiamo scoperto su Urban Dictionary che significa più o meno “avere l’arsura del giorno dopo la sbronza”. Poi è sempre stato un nome storpiato in ogni contesto, come per esempio qualche mese fa durante una conferenza di servizio in Comune a Piacenza quando un ingegnere lo chiamò Blaach Festival.

Piacenza è una città che rimane spesso fuori dagli eventi proprio perché troppo vicina geograficamente alla metropoli Milano e alle universitarie Parma e Bologna. Come siete riusciti in soli tre anni ad allestire un festival che non ha nulla da invidiare alle altre città?

Il bello del festival è che è nato per noi stessi, non c’è un secondo fine, volevamo fare qualcosa di bello per la città e la gente ha recepito il nostro entusiasmo. Il primo anno è stata una grande scommessa, era la terza settimana di settembre e temevano il fattore meteo, ma alla fine è andato parecchio bene, forse anche perché si trattava di una novità. Negli anni seguenti siamo stati bravi a coinvolgere la città, c’è un grande senso di appartenenza da parte dei cittadini e chi viene al Bleech si sente a casa a propria.

Lo staff del Bleech Festival

Da parte di tutti o solo di una fetta della popolazione?

Filippo: Da parte di tutti perché il target è estremamente vario, ci sono gli adulti e i giovani così come i ragazzini del liceo, ma anche i bambini portati dai genitori. Proponiamo molti laboratori che uniscono le famiglie e coinvolgiamo anche varie associazioni in cui loro per primi hanno visibilità e a noi fa piacere perché portano persone diverse al festival. Si tratta perciò di uno scambio alla pari. La musica di fatto è solo il tramite, il Bleech è un grande contenitore dietro il quale c’è un’attenzione al dettaglio davvero notevole perché tutto è studiato alla perfezione.

Riccardo: La mia è una visione diversa, il primo anno sono arrivato al Bleech per caso, mentre il secondo in modo mirato e mi sono proposto come volontario. La percezione che ho avuto rispetto ad altri festival ed eventi a Piacenza è che tutto, a partire dalla comunicazione e dalle grafiche, fosse molto più curato e anche musicalmente si trattava di un’offerta differente rispetto a quelle a cui ero abituato. Un altro aspetto fortunato è senza dubbio dato anche dal tipo di musica che si andava a proporre, proprio quello che negli ultimi anni ha avuto più successo.

Fin dall’inizio avevate in mente di seguire questa direzione, mescolando la musica indie a generi diversi di cui sono esponenti per esempio Ghemon portato sul palco l’anno scorso o Carl Brave x Franco126 che saranno presenti quest’anno?

L’intenzione è quella di avviare un percorso a lungo termine, in prospettiva speriamo di arrivare lontano e di crescere ancora. L’obiettivo è quello di tracciare uno spaccato diverso a serata, dando la possibilità a persone con gusti differenti di assistere ai live che proponiamo. Valutiamo quali sono le band che hanno pubblicato dischi recenti e che stanno avendo successo, ma soprattutto ci piace fare qualche scommessa.

Come scegliete chi ingaggiare per il cast del festival e come avviene il contatto con i musicisti?

Intanto parte tutto da un gruppo su Whatsapp che ha conversazioni chilometriche. Ogni artista che è stato proposto ha dietro una montagna di ore di discussioni dove si valutano svariati aspetti, a parte quelli già citati, noi guardiamo molto la qualità del live. Ne discutiamo, cerchiamo di ascoltarli dal vivo durante rassegne differenti e una volta scelti i nomi delle band li contattiamo attraverso il loro booking. Il problema di fare un festival a settembre è che tutti hanno già suonato ovunque e anche a livello di comunicazione è difficile ridestare le persone dopo Ferragosto, però c’è da dire che molti artisti sono alla fine del loro tour e spesso danno il meglio durante la performance live.

Perché avete scelto come location del festival proprio il Parco della Cavallerizza?

In origine il festival doveva svolgersi alla Faggiola di Gariga, una piccola frazione a dieci chilometri da Piacenza. Da questo luogo deriva anche il nome di Bleach Festival perché in inglese “bleach” significa faggio. Nonostante sia una magnifica location all’interno della vecchia corte di una cascina, era troppo fuori mano, così abbiamo scelto il Parco della Cavallerizza. Molti piacentini non lo conoscono o lo sfruttano poco, ma è uno spazio verde in pieno centro, comodamente raggiungibile a piedi e in bicicletta. Per chi viene da fuori, invece, c’è un ampio parcheggio sotterraneo, non potevamo trovare un compromesso migliore.

Siete giovani, ma avete già una storia alle spalle e uno staff di volontari che ogni anno cresce e vi accompagna in questa avventura. Come siete riusciti a ottenere il consenso del Comune e delle istituzioni? Avete incontrato ostacoli durante il vostro lavoro?

Tra gli organizzatori c’era già chi aveva esperienza nel settore pubblico, poi all’inizio dobbiamo dire che ci è stata data fiducia e poi pian piano ci siamo costruiti un po’ di credibilità. Dopo il Bleech abbiamo realizzato altri eventi anche durante l’anno come per esempio il Bloom sotto i portici del Palazzo Gotico che è il simbolo di Piacenza. Manifestazioni di questo tipo non se n’erano mai viste, ma non abbiamo mai avuto problemi a organizzarli.

Quali sono i festival a cui vi rifate? Ditemi almeno il nome di un festival piacentino, uno italiano e uno internazionale.

Piacentino non c’è per il motivo che abbiamo detto prima, italiano sicuramente il MI AMI perché è a inizio stagione estiva e fa da filtro a quello che accadrà dopo. Ci andiamo per capire quali sono le band su cui puntare o farci semplicemente un’idea del nuovo panorama artistico italiano. Dal punto di vista meno mainstream un altro nome potrebbe essere quello del wow music festival di Como che, sebbene fosse alla sua prima edizione, è stato in grado di attrarre molte persone e tanti sponsor in una splendida location. Non c’erano tante band, ma il livello era alto. Nonostante il target sia completamente diverso, anche l’Handmade di Guastalla ci ha dato diversi spunti e poi il Siren Festival, ci piace come proposta perché si può facilmente pensare anche di organizzare una vacanza a Vasto. A Piacenza manca il mare, però magari un domani il fiume Trebbia potrebbe rappresentare quello che per il Siren fa l’Adriatico. Europei, invece, il Primavera Sound di Barcellona, non c’è neanche da pensarci.

Qual è il messaggio dell’edizione di quest’anno? Avete un claim?

Come claim avremmo potuto utilizzare #Impazzisco che è un modo di dire che c’è qui a Piacenza per dire che qualcosa è figo o meglio che fa uscire di testa. Il nostro messaggio è che siamo quasi pronti per fare il salto: noi insieme alla città. In questi tre anni a Piacenza le persone hanno dimostrato di avere una nuova consapevolezza. Avere a casa propria qualcosa di fatto bene e per di più gratuito ti incita a rimanere.

Come fate a mantenere gratuito un festival che è così ricco di proposte?

Finché riusciamo a mantenerlo gratuito lo faremo. Quest’anno introdurremo un bicchiere riciclabile per consumare la birra. Non è un biglietto di ingresso, ma può essere un ricordo del festival. Si tratta anche di un aspetto ecologico, aiuta a sensibilizzare le persone e ci permette di pulire più in fretta. E poi terremo gratuito il Bleech fino a quando lo spazio del parco consentirà a tutti di poter assistere ai concerti, di cenare o semplicemente di  frequentare i laboratori e di passeggiare per il mercatino in totale sicurezza.

In futuro pensate di aprirvi anche a una line up mista includendo band straniere o continuerete a preferire le promesse della musica italiana?

Quest’anno volevamo inserire nel cartellone una band californiana, ma poi ci siamo mossi tardi. Però nella prospettiva futura ci piacerebbe far suonare anche gruppi stranieri. Poi c’è da dire che spesso siamo stati frenati anche dal budget che abbiamo a disposizione e dal fatto che siamo in Italia. Un artista italiano che magari va in radio ed è quindi conosciuto può valere quanto un artista straniero ugualmente bravo, ma che da noi magari rimane di nicchia e per questo motivo più difficile da rilanciare al nostro pubblico. Cerchiamo comunque di mantenere una certa coerenza tra le varie edizioni. Non è soltanto un discorso legato alla provincia piacentina, la nicchia in generale è più difficile da smuovere in Italia

Come credete che negli ultimi tre anni sia cambiato il panorama della musica italiana?

È più facile oggi portare pubblico a un festival, i Canova che vanno su Radio Deejay portano delle persone che tre anni fa non sapevano neanche cosa fosse l’indie, così come gli Ex-Otago che fino a sei, sette anni fa era un gruppo di nicchia mentre oggi è considerato mainstream. Basta poi pensare a un gruppo come i Thegiornalisti e a quello che oggi rappresenta Tommaso Paradiso. Fino a due anni fa la musica italiana era Laura Pausini ed Emma Marrone, adesso ben vengano gruppi come i Thegiornalisti anche se fanno Riccione, è pur sempre meglio. Crediamo che ci sia stata una presa di coscienza anche da parte di molti musicisti che oggi cantano in italiano. Alla fine se ci pensiamo quelli che hanno avuto più successo sono proprio quelli che hanno deciso di cantare in italiano, come i Verdena, gli Afterhours o il Teatro degli Orrori. Il cantante italiano che canta in italiano e non in inglese è sempre stato un po’ stigmatizzato, non si capisce bene il perché. Forse perché non fa figo.

Quali sono le novità che dobbiamo aspettarci da questa edizione del Bleech Festival?

Sicuramente, oltre alla proposta musicale che ci accompagnerà dall’ 1 al 3 settembre e che coinvolgerà venerdì i Canova, i Persian Pelican e Liede, sabato Carl Brave x Franco126, Colombre e Giorgieness e domenica come gran finale gli Ex-Otago, gli Altre di B e i Revo Fever, ci saranno ancora più food truck per permettere a tutti di sperimentare sapori nuovi e idee originali legate al mondo gastronomico. Oltre al venerdì e il sabato all’insegna dell’handmade gestita da A/mano Market la domenica ci sarà il mercatino vintage curato da Celestina Vintage.Ci sarà anche l’immancabile giro in moto in Val Tidone della domenica promosso dal FAI e una grande sorpresa di quest’anno sarà l’esibizione notturna tra sabato e domenica di nove musicisti appartenenti al Collettivo_21, un gruppo di musica contemporanea, composto da giovani virtuosi del panorama contemporaneo italiano – e non solo. Per sapere cos’altro accadrà al Bleech Festival dovete esserci, vi aspettiamo.


Per prepararvi al meglio alla terza edizione del Bleech Festival vi lasciamo all’ascolto della playlist che raccoglie le principali canzoni degli artisti che saliranno sul palco del Parco della Cavallerizza. Buon ascolto!

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