Imbocchiamo sentieri, scorciatoie, passages – per un recap di nuovi libri usciti nei primi sei mesi dell’anno. Letture per l’estate, o da serbare per autunni, inverni, ignote stagioni future.
Diego Zuñiga – Terra di Campioni
La Nuova Frontiera, traduzione Federica Niola
When the river is floating and / And the mouth has come to its end / Do you carry on swimming or / Do you jump out and grab your towel?
A volte i libri entrano nella vita di chi li legge in modi inaspettati. È il caso di Terra di campioni di Diego Zuñiga, edito da La Nuova Frontiera. Una storia che viene dal Cile che salutava gli anni ’60 per piombare nel suo decennio più controverso. Martinez, che poi diverrà Chungungo, capisce subito che il mare è il suo elemento naturale, così quasi per caso in questi giorni in cui leggo il libro esce un disco dei King Hannah intitolato Big Swimmer. Chungungo è proprio il big swimmer cantato dalla band inglese.
La scrittura di Zuñiga è lineare, nel senso che permette al lettore di scivolare sulle pagine e di seguire l’andamento sinuoso della storia. Proprio Zuniga in Cile coordina la cattedra intitolata a Roberto Bolaño all’ Università Diego Portales. Il suo libro, non a caso si ferma proprio dove inizia Notturno Cileno. Una storia piccola, quella di un pescatore che diventa atleta olimpico di pesca subacquea, che incrocia la Storia con la s maiuscola, come per Elsa Morante che attraverso Useppe e sua madre ci porta nella Seconda guerra mondiale, così con Martinez partiamo dai margini del Cile e arriviamo a Iquique per incrociare l’inizio degli anni 70 che hanno segnato un’alba di speranza e la notte più cupa per quel paese piombato nella dittatura.
Salvador Allende che appare e scompare come un fantasma catturato da un documentarista italiano finito in Cile per le gare di pesca. Poi Un paese che scricchiola, il potere dei ricordi, una società in preda a cambiamenti a tratti violenti e il mare, un sottosopra che si disvela non appena si attraversa il pelo dell’acqua. Un enorme silenzio che apre le porte del mondo sommerso non solo acquatico ma soprattutto interiore. Fino al capitolo finale, un viaggio cupo e lisergico nella notte più cupa della vita di migliaia di persone e di un paese piombato nelle tenebre. Terra di Campioni di Diego Zuñiga sorprende per una storia capace di affondare il colpo senza apparenti colpi di scena, pagina dopo pagina, incassando un colpo dopo l’altro, come succede nella vita di molti di noi.
Raffaele Calvanese
Antonio Moresco – Canto del buio e della luce
Feltrinelli
Una delle novità editoriali più interessanti dell’anno è il passaggio del catalogo di Antonio Moresco a Feltrinelli. Autore vagabondo, Moresco ha girovagato per l’editoria italiana pubblicando con marchi come la stessa Feltrinelli, Bollati Boringhieri, Mondadori, Giunti, SEM, Aboca, Effigie, Il Saggiatore. Ad aggiungere nuovo colore all’affresco moreschiano vi è quella che è la sua ultima opera Canto del buio e della luce (per un ulteriore approfondimento rimando alla bellissima intervista di Raffaele Calvanese). L’opera non è di facilissimo accesso per chi si trovi alle prime armi con i testi di Moresco, essa si colloca infatti all’interno di quello che è un universo letterario fatto di costellazioni, ramificazioni e giochi di specchi. Risulta però l’ennesimo tassello di quello che si può definire uno degli universi letterari più potenti della narrativa italiana contemporanea.
L’autore nel corso della sua lunga opera ha sviluppato testi legati alla crasi tra strutture dicotomiche come il prima/dopo o la tracimazione del mondo dei vivi e del mondo dei morti. La “coppia” del nuovo lavoro dello scrittore mantovano è quella composta dalla luce e dal buio alla conquista della possibilità stessa dalla percezione dello spazio attraverso la violazione delle regole basilari degli atti umani. È un libro fiammante nel vero senso del termine, un libro nel quale il fuoco assume la sua forma elementale e apre alla creazione di mondi. Canto del buio e della luce brulica di personaggi e, come ammesso dallo stesso autore durante la presentazione milanese del libro, è la prima volta che lo stesso permette a così tanto mondo di entrare nelle sue pagine. Queste parole ricordano quelle di un altro grande della letteratura, Gabriel García Márquez , che raccontava di scrivere con le finestre aperte per far sì che il mondo entrasse all’interno delle sue storie. I personaggi di Moresco si mescolano tra il fittizio e il reale con il libro che spesso si appoggia a citazioni di altri testi, in una spirale tra romanzo puro e saggio. Tra i vari “ospiti” troviamo: Carlo Rovelli, i fratelli D’Innocenzo, Papa Francesco, Vladimir Putin, gli ucraini massacrati, una coppia di pornoattori, ragazzi avvolti in baci magmatici, voci che incantano gli umani come i serpenti, donne dalle scie di profumo inebrianti e ancora e ancora in un “cast” senza fine. Il libro di Moresco è un libro sincopato, giocato su pause, sparizioni, ritorni, personaggi che ricompaiono dopo pagine e pagine pronti ed esclamare “Ti ricordi di me?”.
Un viaggio tra memorie passate e future, miracoli della fisica interrogazioni sull’arte, l’opera moreschiana si condensa dentro una vera e propria opera pittorica che accompagna il libro e che mostra l’invisibile: la luce inghiottita dal buio.
Antonio Gatto
Ia Genberg – I dettagli
Iperborea, traduzione Alessandra Scali
Pubblicato a febbraio in Italia da Iperborea con la traduzione di Alessandra Scali, I dettagli della scrittrice e giornalista svedese Ia Genberg ha ricevuto il premio August nel 2022, il premio Aftonbladet nel 2023 e quest’anno è arrivato in finale all’International Booker Prize. Il romanzo è ambientato negli anni ‘90 ed esplora la complessità delle relazioni umane attraverso diversi livelli di lettura. La protagonista è una donna senza nome, che rievoca quattro persone cruciali della sua vita: un’ex fidanzata, un’amica, un amante e la madre. Ogni capitolo rivela come ciascun incontro abbia plasmato la sua identità e visione del mondo.
Genberg scrive con uno stile evocativo e cattura perfettamente le sfumature emotive dei personaggi. Anche se la struttura narrativa non è lineare, costellata di continui flashback e salti temporali, non appare difficile ricostruire pagina dopo pagina il mosaico della vita della protagonista. Un tema centrale del romanzo è l’influenza duratura che le persone possono avere sulla nostra esistenza, anche molto tempo dopo che se ne sono andate. Genberg ci mostra come i dettagli, apparentemente insignificanti, possano assumere un significato profondo nel contesto delle nostre esperienze e memorie.
I dettagli è un libro che parla a chiunque abbia cercato conforto e significato nelle piccole cose della vita e nelle persone che incontriamo lungo il nostro cammino, nonché un promemoria sul valore delle connessioni autentiche e della bellezza che si cela nei dettagli della quotidianità.
Ilaria Del Boca
Christophe Boltanski – King Kasai
add editore, traduzione Sara Prencipe
Il Musée royal de l’Afrique centrale sorge a Terverun, nel cuore del Belgio. Lo volle Leopoldo II per celebrare il trionfo e i fasti del colonialismo. Non poteva certo sapere che quel Museo, un secolo dopo la sua morte, avrebbe evocato un oscuro cuore di tenebra con cui gli eredi dei suoi orgogliosi sudditi avrebbero dovuto fare i conti. Christophe Boltanski, scrittore e giornalista francese, decide di trascorrere un’intera notte in quella che fu la residenza estiva del re, compiendo – quasi fosse “un negromante o un profanatore di tombe” – un viaggio che, dai sotterranei del museo lo conduce alle sue ampie sale, per trovarsi infine faccia a faccia con King Kasai, maestoso elefante ucciso da Alphonse de Boekhat, il “cavaliere” le cui gesta faranno nel libro da fil rouge della follia e della devastazione dell’uomo bianco.
Ristrutturato e ripensato nel 2018, quello che fu il Musée du Congo diventa così, oggi, emblema di un necessario confronto con la Storia. Le vestigia di un impero defunto, raccolte – obliate – nei sotterranei non devono, però, trarre in inganno: lo sguardo triste di King Kasai è per Boltanski non soltanto la memoria del dolore che fu, ma rappresenta un monito attuale che deve ricordarci come – tra miniere di coltan, guerre, sfruttamento e povertà – la pagina del colonialismo non può essere ancora archiviata come un tragico errore del passato ma come un fenomeno storico le cui radici umane mietono ancora vittime in un silenzio più complice di quello di una notte solitaria.
Fabio Mastroserio
Michele Mari – Locus Desperatus
Einaudi
Svegliarsi un giorno e non ricordarsi il contenuto della Gerusalemme liberata, Orlando furioso e altri classici della letteratura in cui si è vissuti a stretto contatto per la maggior parte della vita è possibile? E chi era Pier delle Vigne? Questi e altri dilemmi struggono il protagonista di Locus Desperatus, l’ultima fatica dello scrittore milanese Michele Mari. L’opera è nella cinquina finalista del Premio Campiello 2024.
Come nel peggiore degli incubi per un individuo che ha fatto dell’accumulazione di oggetti – preziosi e non – il proposito massimo della propria vita terrena, fino a reificare sé stesso e a trasferire ossessivamente e feticisticamente parti di sé nei suoi tesori, l’io narrante è asserragliato da misteriosi soggetti, quasi dei corpuscoli alieni. Anzi, dei veri “ultracorpi”, termine ricorrente nella nomenclatura mariana (la madre viene definita così in Leggenda privata ed è utilizzato anche per riferirsi alla voce del padre, Enzo Mari, “un sibilo antico, lovercraftiano, di ultracorpo mentito in umano” in un racconto della silloge “Le maestose rovine di Sferopoli”). Dopo aver segnato con una X la casa del colto protagonista (che somiglia più a una tana o a un nascondiglio) questi esseri sono pronti a sostituirsi a lui. L’io narrante, costretto al trasferimento, giocoforza perderà anche la propria identità, visto che dovrà dire addio a tutto ciò che ama e in cui ha riversato la propria identità.
Con il proprio stile tipicamente aulico e con uno sguardo ossessivo sui temi trattati nella sua poetica, Mari imbastisce un universo intricato e al tempo stesso ammaliante, intriso di rimandi letterari aulici agli scrittori cui più somiglia, Carlo Emilio Gadda, Tommaso Landolfi e Giorgio Manganelli su tutti. Inoltre, non si può non pensare alle terrificanti case della letteratura, come L’incubo di Hill House di Shirley Jackson: i feticci e gli oggetti tanto amati, investiti di anima e potere grazie al pastiche rituale quale è il lessico mariano, si dimostrano un doppio grottesco e mostruoso del protagonista. Ancora una volta l’autore ci invita a immergersi nel labirinto ossessivo-compulsivo quale è la sua mente, rappresentata vividamente da uno stile intriso di richiami letterari, aulicismi e incursioni filologiche, donando ai propri lettori un’esperienza romanzesca finissima e godibilissima, ai confini tra il gotico, l’aria delle storie di avventura e le reminiscenze di Urania.
Nicole Erbetti
Orsola Severini – La quarta compagna
Fandango Libri
Ada Castelli è un personaggio di fantasia, ma anche un simbolo, lo strumento ideale per raccontare l’impegno politico e la militanza operaia di una generazione intera di donne protagoniste della Resistenza e della precedente opposizione al regime fascista in Italia. Orsola Severini ne costruisce i tratti e le vicende personali incastrando pezzi di storia emersi dalle proprie ricerche e con l’ispirazione diretta di I matti del Duce. Manicomi e repressione politica nell’Italia fascista, saggio di Matteo Petracci per Donzelli editore, che racconta l’internamento psichiatrico di oppositori e oppositrici del regime fascista.
Per la sua coscienza politica e civile, Ada sarà prima rinchiusa in carcere, poi ricoverata d’urgenza al Manicomio Provinciale di Mombello, un tentativo nemmeno tanto mascherato di interrompere la sua vita piena di coraggio e ideali. La quarta compagna narra i maltrattamenti, la violenza, i tradimenti di uomini dello Stato venduti alla violenza fascista, e si chiude con un epilogo finale che rende giustizia alla Storia, con la s maiuscola come Elsa Morante insegnava, che non è stata fatta solo dagli uomini, ma anche dalle donne che hanno creduto in un’Italia migliore e hanno combattuto per ottenerla.
“Quando i tempi diventano inumani come è successo nel nostro paese per oltre vent’anni, chi è dotato di un’umanità così sconfinata che non si può reprimere diventa il nemico più temuto. e il sistema deve eliminarlo per sopravvivere.”
Alessia Ragno
Michel Houellebecq – H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita
Wudz Edizioni, traduzione Damiano Scaramella
Anch’io ho scoperto H.P. Lovecraft nell’adolescenza, come racconta Houellebecq, e per anni il suono della parola “Necronomicon” aleggiò nelle chiacchiere con altri giovani lettori dello scrittore di Providence, come prova di appartenenza a un club in cui l’orrore era tanto familiare da costituire una sorta di binario parallelo a una realtà ordinaria, fatta di scuola e “testi comandati”. “Un’isola di orrore in un deserto di noia”, scrisse un Baudelaire: ecco, posso dire che a sedici anni i suoi mondi oscuri e innominabili furono questo per me . Solitario, razzista, la grigia esistenza di Lovecraft ricorda quelle di altri scrittori baciati dal dio Mercurio, provvisti di frecce infuocate nelle dita, portatori di una qualche alchimia, un’arcana qualità trasformativa della parola, emissari di regioni lontane della psiche, ferocemente vive sotto la scorza friabile di una realtà che lascia intravedere il volto mostruoso del caos.
“Se si ama la vita, non si legge”: cosí ci inchioda Houellebecq alla prima pagina di questo saggio meraviglioso; giù la maschera, non resta che deporre l’ottimismo di facciata e riconoscerci da subito simili, se non complici di quel disgusto che Houellebecq ci ha servito scrupolosamente nei suoi romanzi, ma mai con tanta raggiante verità come in questa “sorta di erudita lettera d’amore”, come lo ha definito Stephen King. Tra architetture impossibili degne di Piranesi, ai personaggi lovecraftiani, dalla psicologia basica, “basta e avanza un equipaggiamento sensoriale in buone condizioni. Il loro unico compito, infatti, è quello di percepire”. Considerato il culto letterario tributato a H.P.L. e le qualità di fascinazione della sua scrittura messe in evidenza da Houellebecq, è lecito pensare che lo scrittore di Providence ci abbia tirato un lungo scherzo inquietante, degno di una divinità sinistra dei Miti di Chtulu?
Simona Ciniglio
Woody Guthrie – Questa terra è la mia terra
marcos y marcos, traduzione Cristina Bertea
Le strade d’America sono disseminate di storie vagabonde, nella sua autobiografia semi-romanzata Woody Guthrie racconta un vagabondaggio che odora di ferrovie e corde di chitarra. È lo stesso cantautore il grande protagonista del racconto, è lui che saltella per le strade come un hobo che si trascina di avventura in perdizione. Infanzia, giovinezza, spaesamenti, canzoni. È dopo aver letto questo libro che Bob Dylan molla tutto per seguire la strada folgorante della musica folk.
Questa terra è la mia terra riverbera di controcultura americana, di cantautorato alla chitarra, di certe storie randagie che racconterà anche Kerouac, di quelle sterminate route che sballottolano da una parte all’altra le anime pure e devastate in cerca di salvezza. Se Kerouac illumina la prosa di jazz e prosodia, Guthrie è un narratore folk: va dritto al cuore del racconto, prende le parole dalla strada, contesta, diserta, scazzotta sui treni, emigra in California con la disperazione in tasca, è affamato e sporco, una pietra che rotola in cerca di fortuna. Uscita negli anni Quaranta con il titolo di Bound for Glory, l’edizione italiana dell’autobiografia prende il titolo da una canzone di Guthrie, This Land Is Your Land. Dentro c’è tutto il mondo di un saltimbanco ispiratore folk che ha inciso sulla chitarra un messaggio chiaroveggente che risuona ad libitum, This Machine Kills Fascism.
Gio Taverni
Neige Sinno – Triste tigre
Neri Pozza, traduzione Luciana Cisbani
“Perché a me, in fondo, sembra più interessante quello che succede nella testa del carnefice.”
Mi viene difficilissimo parlare di questo libro, di cui si è già scritto tanto – pubblicato quest’anno in Italia da Neri Pozza, definito bestseller europeo, vincitore, appunto, del Premio Strega Europeo 2024 – ma ho deciso che lo farò comunque. Mi sono presa del tempo per leggerlo, in maniera continuativa forse non sarei riuscita. Triste tigre della francese Neige Sinno è un memoir lucido e doloroso. Triste tigre di Neige Sinno, a discapito del titolo, non è un libro triste, almeno non del tutto. È fare del trauma vera letteratura, in cui l’argomento (inserisco un trigger warning per chi non volesse continuare la lettura) è lo stupro perpetrato per anni e anni alla Neige del passato dal suo patrigno.
“Nel mondo chiuso della famiglia, lui era onnipotente.” – Il carnefice, la persona che, per la madre di lei, ha anche delle qualità, fino a che non si è trovata davvero davanti alla sofferenza di sua figlia. È l’adulto che dice di amarla, lo ripete all’orecchio di una bambina delle elementari, la stessa che a diciannove anni troverà la forza di denunciare e affrontare il processo che ne seguirà.
“Come Lolita, ero in trappola. Anche io non avevo altro posto dove andare.”
Se la memoria del trauma a volte è fallace, il trauma è potente e perciò guida Sinno adulta a infilare una parola dietro l’altra senza paura di quello che è stato. Perché, come lascia intendere più di una volta nella sua ricognizione letteraria sulla violenza (sessuale, incestuosa, omertosa, di famiglia) dolore più grande di sentirsi un oggetto-svuotato non può esserci. Sinno lo sa, e si appella più volte al suo pubblico di lettrici e lettori, facendo del suo dolore e della sua storia personale una battaglia spietata come spietato è stato l’uomo che ha abusato di lei.
Federica Guglietta
Maddalena Fingerle – Pudore
Mondadori
Un libro letto negli ultimi mesi che mi ha entusiasmato è stato Pudore, il romanzo di Maddalena Fingerle uscito per Mondadori a febbraio. È la storia di Gaia che è stata appena lasciata da Veronica, il suo grande e immenso amore. Il lutto che ne deriva la porta a una metamorfosi: svende gli orecchini preziosi, cambia mobili e abbigliamento, si rasa i capelli per mettere parrucche che la ricordano. Gaia non vuole soltanto rivestirne i panni, ma diventare una copia carbone: i nuovi mobili sono identici a quelli di Veronica, ride e parla con la stessa intonazione della voce, presto il suo dolore diventa un’ossessione difficile da gestire. Ribattezza persone e ruoli, definisce una nuova realtà, quella che può accettare di abitare dopo l’abbandono. I genitori non comprendono la sua fragilità, sono imprigionati nella cornice borghese di italiani residenti a Monaco, il cui sapere umanistico sovrasta i rapporti familiari. Ma è grazie all’aiuto di Emilio, lo psicologo con cui si interfaccia a distanza, che proverà a ritracciare i confini per arrivare a comprendere chi vuole diventare sul serio.
Pudore è un romanzo ben scritto, la voce narrante di Gaia è un soliloquio intimo nel quale il lettore, con l’aiuto della seconda persona, diventa presto Veronica: il gioco dei ruoli si fa ambiguo, perfettamente in linea con i canoni classici della più alta letteratura.
Valeria Gargiullo
Katja Petrowskaja – La foto mi guardava
Adelphi, traduzione Ada Vigliani Fabula
“La bellezza è qualcosa che vediamo – o piuttosto l’invisibile che le sta dietro?” è la domanda forse centrale nel bellissimo libro della scrittrice e giornalista ucraina, da molti anni d’adozione berlinese, Katja Petrowskaja. A partire dall’invasione russa della Crimea, nel 2014, Petrowskaja scrive per sette anni, ogni tre settimane, un testo breve su una fotografia che l’ha colpita. Raccolti qui, i testi – e le fotografie – finiscono col dare vita a un archivio di temi, lontani e dallo spettro vastissimo che, tenuti insieme dallo sguardo segreto dell’autrice, come tessere di un possibile mosaico raccontano una storia della cultura del Novecento.
C’è la grande Storia, certo: l’Ucraina e Černobyl, la Polonia e la Georgia, L’Unione Sovietica e la Primavera di Praga. Ci sono gli artisti, come Irving Penn, Pëtr Pavlenskij, Francesca Woodman, Maya Deren. Gli scrittori: Italo Calvino, John Steinbeck, Jack Kerouac, Franz Kafka. Eppure, il grande filo conduttore è legato a storie piccole, familiari, casuali, antiche o contemporanee, frammenti di vita colti nell’attimo in cui sembrano essere sul punto di svelarci una possibile verità. Ecco allora che La foto mi guardava prova a riflettere sull’inafferrabilità, sulla bellezza dell’osservazione attiva e lì dove trova lo scomparire che si manifesta nella luce, a quell’assenza tenta di rispondere come a voler offrire un senso nel disordine; un modo per “opporre alla guerra queste miniature, questi piccoli frammenti, alla ricerca di una voce”.
Fabio Mastroserio
Asmaa Alghoul e Sélim Nassib – La ribelle di Gaza
Edizioni E/O, traduzione Alberto Bracci Testasecca
“Neanche il tempo di mettermi in piedi e sono cominciate le esplosioni, fuoco di fila assordante, cadenza infernale, mia madre è corsa sul balcone urlando il nome delle tre figlie che erano a scuola, i balconi delle case tutto intorno le hanno fatto eco. Nessun segnale premonitore, nessun preavviso, di colpo l’intera città si è messa a tremare. Il nostro vicino pazzo, che si chiama Israele, ha attaccato Gaza senza avvertire. Era la guerra.”
La testimonianza della giornalista palestinese Asmaa Alghoul evoca il conflitto israelo-palestinese iniziato il 27 dicembre 2008, ma la sua testimonianza trascende il momento specifico. La ribelle di Gaza, scritto a quattro mani con lo scrittore franco-libanese Sélim Nassib e pubblicato in Italia da Edizioni E/O, offre uno sguardo intenso e personale sulla vita di una giovane donna cresciuta durante uno dei conflitti più lunghi e complessi del nostro tempo.
Il libro non si limita a documentare le difficoltà fisiche e materiali che i palestinesi affrontano, ma esplora anche l’isolamento mentale che li opprime in una Gaza descritta come il crocevia delle oppressioni nel mondo arabo. Attraverso la sua doppia identità di giornalista e donna in una società patriarcale, Alghoul mette in luce la lotta per i diritti delle donne e la ricerca di normalità in circostanze estreme. Un atto di resistenza che celebra non solo il coraggio individuale, ma anche collettivo dei palestinesi, presentando un’analisi dettagliata di una realtà surreale e insostenibile che continua a plasmare l’esistenza di chi vi è coinvolto.
Ilaria Del Boca
M. John Harrison – Vorrei essere qui
Mercurio books, traduzione Luca Fusari
Un libro cronopio Vorrei essere qui di M. John Harrinson – che nel raccogliere le sue antimemorie finisce per rendere indietro un originale raccoglitore di episodi, con riflessioni sulla scrittura, montaggio alla Godard, glitch art sull’avventura della giovinezza, un quaderno di bordo che è un tentativo di afferrare l’esperienza di una vita senza affidarsi alla memoria orbicolare, ma procedendo per selezioni e tagli. È un vero piacere rantolare in questo libro, che si può leggere non necessariamente seguendo l’ordine delle pagine, ma a volo d’uccello, planando su un capitolo a caso e godendo parole dell’abbecedario di ricordi e pensieri di un autore vocato al weird e al fantasy, che in quest’opera è capace di tirare fuori esilaranti e pregiate notazioni sull’ossessione per la scrittura.
In Vorrei essere qui Harrison fa i conti con sé stesso, con il giovane ragazzo che leggeva Burroughs, Genet, e poi inciampa su taccuini ritrovati: scrive di zii, di gatti, si distende verso l’uomo che è diventato, evoca storie di fantasmi, dimenticatoi, battaglie di scrittura, cerca di riacciuffare il cuore di sé stesso. Memoria e antimemoria si combattono lo spazio fisico della pagina su carta: se sia possibile ricordare, o si finisca sempre per deformare, è una questione aperta che M. John Harrison non ha alcuna intenzione di risolvere. E va bene così.
Gio Taverni