Letteratura

Libri che abbiamo letto nel 2023

Non una raccolta dei migliori libri dell’anno, ma una libera traversata del 2023 al ritmo di alcune letture pubblicate quest’anno. Libri che abbiamo letto, e brevi consigli. In disordine casuale.
foto credit: georgeclerk

L’invincibile estate di Liliana – Cristina Rivera Garza

SUR, trad. Giulia Zavagna

Quando Liliana Rivera Garza viene assassinata dall’ex fidanzato Ángel González Ramos il 16 luglio 1990 a Città del Messico il femminicidio non è ancora stato classificato ufficialmente come reato. Bisognerà attendere il 14 giugno 2012 per trovare all’interno del Codice Penale Federale l’articolo 325 che recita: “Commette il delitto di femminicidio chi priva della vita una donna per questioni di genere”. Liliana vuole trasferirsi a Londra per studiare, ma il ragazzo con cui ha avuto una relazione in passato non accetta la sua decisione e la uccide. Una storia che ci riporta subito alla mente la vicenda di Giulia Cecchettin e che non è diversa da quella di tante donne che ogni giorno in Messico muoiono per mano di uomini che si trasformano in spietati carnefici. E come spesso accade, si tratta di un caso irrisolto, senza un colpevole che sconti una pena adeguata, anche a causa della corruzione dilagante che tocca tutti gli ambiti della società. Dopo quasi trent’anni da quella fatidica estate, Cristina Rivera Garza decide, però, di rompere il silenzio in cui si era rifugiata per proteggere la memoria della sorella e di portare a galla la verità. La vita di questa ragazza, spezzata a soli vent’anni, rimane impressa nelle pagine dei diari e nei racconti di famigliari, amici e conoscenti e si cementa nella memoria anche di chi non l’ha conosciuta grazie al singolare approccio narrativo che mescola differenti stili linguistici e frammenti apparentemente antitetici per forma e genere. Difficile rimanere impassibili davanti un memoir così potente in cui l’autrice affronta il lutto per la sorella scomparsa restituendole nuovamente una voce forte e un aspetto più che mai nitido.

Ilaria Del Boca


Ore perse – Caterina Saviane

Rina edizioni

“Abbiamo il dubbio se seguire ogni spettacolo che Roma ci offre, sia cultura o perdita di tempo. Ma cos’è questa cultura di cui tutti parlano? È certo comunque che abbiamo capito ben poco della vita se continuiamo a fra grappolo tra di noi, sempre gli stessi, salvaguardati dal mondo e dalla gente. Perché tutti, in fondo, abbiamo paura di due cose sole: il fascismo e l’amore.”

La protagonista di Ore perse, romanzo scritto da Caterina Saviane ora edito da Rina Edizioni, è una ragazza di sedici anni, si chiama anche lei Caterina e naviga l’adolescenza con cinismo e lucidità, spietata nei giudizi e definitiva nelle prese di posizione come ogni teenager. Vive col padre e i suoi cani nella campagna romana e racconta uno spaccato di vita tra relazioni con la famiglia, amiche e amici e la fatica di diventare adulta. La meraviglia del romanzo riguarda, intanto, un primo particolare: Caterina è una sedicenne del 1978. Niente pare cambiato da allora perché la sua voce è ancora contemporanea, quella di un’adolescente straordinariamente acuta che già riflette sulla vita e la scrittura come fosse un’adulta. La seconda meraviglia sta in un altro particolare: Ore perse fu il romanzo d’esordio di Saviane, pubblicato proprio nel 1978 e unico nella carriera della poetessa scomparsa nel 1991 a soli 31 anni. La ripubblicazione di Ore perse fa parte di un progetto di riscoperta e recupero di «figure dimenticate», come recita il Manifesto della casa editrice a fine romanzo, figure che ritornano alla ribalta nella collana Libertarie: voci di donne messe ai margini del dialogo letterario che finalmente possono tornare a risplendere.

Alessia Ragno


Detransition, baby – Torrey Peters

Mondadori, trad. Chiara Reali

Il 2023 per me come lettrice è stato un anno fortunato. Sono tornata a leggere dopo un paio d’anni di fatica, tra il trasloco e nuovi ritmi e la fomo degli eventi in una nuova città. Pazienza, succede, però leggere mi mancava molto. Nel 2023 ho quindi letto tanto, ma soprattutto ho letto molta più narrativa come non facevo dai tempi dell’adolescenza. Il mio libro dell’anno non poteva quindi non essere un romanzo.
Ho letto Detransition, baby di Torrey Peters a metà dell’anno, e come succede con la lettura di tutti i grandi libri: c’è un prima e un dopo quel libro. Peters ha scritto un romanzo adulto, fresco e commovente, con più di qualche stilettata e nota sarcastica. Detransition, baby prima di qualsiasi altra cosa è un libro che raccoglie in sé tutta la complessità del vivere e fare famiglia in questo mondo, tutte le difficoltà di incastrarsi tra gli spigoli che ognuno di noi ha per quanto possa essersi sforzato o meno di smussarli. È un libro che parla del vivere da persona trans, del tornare indietro, di maternità imposte e desiderate. Dell’essere, insomma, grovigli complessi e difficili da descrivere che provano a trovare forme di senso in questo presente sgangherato. Lo so che non vale nulla, ma io mi sono commossa.

Martina Neglia


La vita altrove – Guadalupe Nettel

La nuova frontiera, trad. Federica Niola

“A pensarci bene, l’abitudine di fare visita al luogo in cui riposano le ossa delle persone che amiamo è assurda, ma nella vita errabonda che avevamo sempre condotto, la mia famiglia era stato il mio unico nido, la mia unica tana.”

Non è un caso che, esattamente un anno fa, partecipando al listone con i migliori libri dell’anno duemilaventidue secondo la nostra redazione, io abbia esordito con queste parole: Guadalupe Nettel è la casa a cui faccio ritorno quando il resto vacilla. Non posso dire altro, se non ci risiamo. Infatti, se pure in questo momento non mi trema la terra sotto i piedi, il merito va soprattutto alle poche certezze letterarie che ho avuto anche quest’anno e, in tutto questo, il ritorno alla forma breve di Nettel non si batte. Come quelle piccole perle di Bestiario sentimentale e Petali, La vita altrove (Los divagantes – in spagnolo – “i vagabondi”) è una raccolta di racconti uscita lo scorso autunno per La nuova frontiera, sempre nell’ottima traduzione a cura di Federica Niola. Racconti affilati in cui c’è un andirivieni di persone e di spaccati quotidiani, in cui le parole dell’autrice vagabondano tra famiglie e (presunte) certezze, volti sconosciuti e un altrove indefinito. È sicuramente il tempo quella materia che Guadalupe Nettel, con la sua solita bravura, si diverte a plasmare di più nel respiro di questi otto piccoli racconti, densissimi, che si affollano in un centinaio di pagine, rimanendo però appigliati con tutta la forza che hanno alla mente di chi legge. Ho pensato spesso a Nettel, a queste pagine e ai suoi vagabondi, non ho trovato mai le parole giuste per raccontarla prima. Non credo di averle trovate neanche adesso. L’unica certezza, e scusate se mi ripeto, è che Nettel ha colpito nel segno anche questa volta e che La vita altrove, libro attesissimo dai lettori, non delude.

Federica Guglietta


Preghiera nell’assedio – Damir Ovčina

Keller Editore, trad. Estera Miočić

A trent’anni dall’assedio di Sarajevo, tra le pagine più cupe delle Storia europea del Novecento, lo scrittore bosniaco Damir Ovčina prova a raccontare l’orrore di quegli anni attraverso un romanzo che mescola frammenti di passato, memorie strappate e invenzione letteraria. Preghiera nell’assedio è la storia di un giovane studente delle scuole superiori che una notte si trova dalla parte sbagliata, nel quartiere di Grbavica, “caduto” in mano alle forze serbo-bosniache che vogliono distruggere il neo-indipendente stato della Bosnia ed Erzegovina per creare la grande Repubblica Serba. Un quartiere che si trasforma in una vera e propria trappola, senza alcuna possibilità di raggiungere suo padre e la sua casa, e nessuna di contattare la sua ragazza. È il mondo che si ferma: nel giro di pochissime ore sarà assoldato da un’unità speciale serba che ha il compito di raccogliere i cadaveri dei “turchi” ammazzati in una guerriglia, in una caccia all’uomo condotta porta a porta. La scrittura di Ovčina si limita a registrare i fatti tramite la voce del protagonista, esattamente allo stesso modo attraverso cui i suoi occhi scrutano atterriti nella città assediata. Le frasi sono brevi, asciutte e secche e creano, per contrasto, un meccanismo che amplifica l’angoscia di quei giorni, dominati dal ritmo serrato di una vita che – spezzata – deve trovare suo malgrado una nuova possibilità di sopravvivenza. Nelle pagine di Preghiera nell’assedio è come se il colore stesso della vita si riducesse a quello del piombo; un colore che domina un romanzo d’esordio che smonta la consueta narrazione legata a quelle guerre non offrendo al lettore, che poco conosce di quella terra vastissima, una bussola per orientarsi ma che, dentro l’orrore, lascia una porta aperta alla speranza.

Fabio Mastroserio


Il ladro di quaderni – Gianni Solla

Einaudi

Gianni Solla, con la sua scrittura, ha la capacità di prendere un ammasso incandescente di sentimenti e sensazioni complicate e ingarbugliate rendendole una storia appassionante e intensa che si muove con semplicità solo apparente. I vari livelli di scrittura accompagnano il protagonista, Davide, nelle fasi della sua crescita e della scoperta del mondo insieme all’amore, la gelosia e il diverso rapporto con la propria famiglia e le sue origini. Per spiegare la realtà servono le parole, attraverso le parole puoi rendere una cosa visibile e comprensibile, prima di tutto a te stesso. Questo è il filo conduttore che lega Il ladro di Quaderni a Tempesta madre, un grande tema in grado di animare le pagine di Gianni Solla in varie declinazioni. Anche qui torna la famiglia “uno dei posti più pericolosi da frequentare”, poi c’è la Napoli che sembra uscita dalle pagine de La Pelle di Curzio Malaparte. C’è il teatro, pezzo della vita dello stesso scrittore e c’è il rapporto tra il protagonista e le persone più importanti della sua vita, Teresa la sua prima e unica amica ed anche il suo grande amore e Nicolas ebreo napoletano sfollato a Tora e Piccilli che in un grande gioco del destino segnerà in forma di nemesi la vita di Davide. Le parole di Gianni Solla fanno apparire mondi che seppur vicini a noi spesso diamo per scontati o non siamo capaci di vedere e che grazie a questa scrittura, invece, diventano chiarissimi.

Raffaele Calvanese


Capitalismo gore – Sayak Valencia

Neroeditions, trad. Anna Boccuti

Il titolo è eloquente. Il capitalismo neoliberale iperconsumista è un gigantesco snuff movie. Sayak Valencia, intellettuale e attivista transfemminista, con questo saggio brutale, ci racconta con protervia militante il lato oscuro dell’economia globale e svela il ruolo centrale della violenza nello sviluppo e nella crescita del capitalismo contemporaneo. Secondo l’autrice esiste un connubio diabolico tra criminalità organizzata, narcotraffico e legittimazione della violenza come mezzo per acquisire status e potere. Laddove lo Stato muore, il narco criminale diventa rockstar ed il sistema economico finanziario un grasso mecenate. Complice la cultura turbo-machista che attecchisce nel deserto morale di paesi disagiati, dove la recrudescenza incrementale, dalla fine del novecento in poi, svela crateri di accecante crudeltà. Lo scenario delineato è presto detto: il prodotto criminale lordo è giunto a sfiorare il 15% del PIL mondiale. A circolare liberamente nella globalizzazione neoliberista non sono le persone, bensì la droga, le armi, la violenza e il capitale che queste generano. Tra corpi corpi smembrati e torturati, il sangue e i cadaveri, Valencia ci dice che: «Ormai la storia contemporanea non si scrive più pensando alle esperienze dei sopravvissuti, ma contando il numero dei morti.» La geolocalità dei massacri? Ovvia. L’origine del male? Un film già visto. “Follow the money” dicono quelli bravi e dove il viaggio finisce è facile a dirsi. La disparità di classe tra Primo e Terzo mondo si colora di un’inedita tinta vermiglia, propria delle pellicole gore. Solo che in questo caso non c’è nessuna finzione cinematografica. È tutto vero.

Capitalismo Gore nasce dallo stomaco della critica post coloniale, dalla subcultura queer e dai gender studies, in pratica gli Avengers della filosofia radicale contemporanea, e che per forza di cose esamina la questione dalla cruenta angolazione del narco stato per eccellenza, il Messico, dove la mattanza è quotidianità. In queste pagine sono venuto a conoscenza di principi come necroimpoteramento, violenza decorativa e biomercato (che non è quello che pensate). Preziosi neologismi finiti nella mia personale wunderkammer del macabro. Non so cosa abbiate letto quest’anno e cos’altro riuscirete a leggere in quest’ultimo scampolo di 2023. Ma credo che un saggio così disturbante, cattivo e disperato, non vi capiti facilmente tra le mani. Capitalismo Gore è una lettura difficile, ostica, hardcore. Attendiamo in ogni caso il sequel, dall’altra parte della barricata: “Populismo splatter”?

Alberto Bullado


Requiem di provincia – Davide Longo

Einaudi

Nel 1961, analizzando storia e fortuna del giallo dopo esservisi dedicato in prima persona, Leonardo Sciascia, esaltando la grandezza non ancora pienamente conosciuta di Simenon, scriveva: “Maigret è l’elemento cui la realtà reagisce: una specie di elemento chimico che rivela una città, un mondo, una poetica”. Se, in tempi più recenti, raccontare una città attraverso un giallo è riuscito alla premiata ditta Fruttero&Lucentini, nella contemporaneità questa abilità, più unica che rara, si è concentrata nella penna di Davide Longo. Con Requiem di provincia, uscito per i tipi di Einaudi a inizio novembre, Longo prosegue la fortunata serie degli ispettori Corso Bramard e Arcadipane. La saga, giunta ormai al quinto capitolo, si dipana tra gli anni Ottanta e gli anni Duemila accompagnando ascese, cadute e vicende dei due tormentatissimi protagonisti. Ma l’altra grande, fondamentale protagonista è la città di Torino, colta anch’essa nei suoi drammatici cambiamenti dell’ultimo quarantennio. Prima di Longo, nessuno era riuscito a emulare Fruttero&Lucentini nel descrivere così bene e così nel dettaglio la borghesia torinese, nei suoi molti vizi e scarne virtù. Basti un passo su tutti: “Attenzione, Torino non è Milano, dove il non fatturabile è peccato. A Torino si pecca di ozio e di vizio, eccome! Solo si pecca in luoghi predisposti e segnalati, a orari stabiliti, al cospetto di personale informato e competente, e soprattutto senza dare disturbo.” Se a tutto questo si unisce uno stile di magistrale ironia, e l’ovvia curiosità di scoprire l’assassino, non inserire Requiem di provincia tra i consigli librari del 2023 sarebbe un vero e proprio delitto.

Stefano Peradotto


Decreazione – Anne Carson

Utopia, trad. Patrizio Ceccagnoli

Dell’opera poetica e saggistica della canadese Anne Carson continuano ad arrivare traduzioni italiane. Negli ultimi anni, dopo la pubblicazione di un imperdibile The Albertine Workout (Tlon), c’è stata una piccola ondata. Nel 2023 si sono aggiunti ancora due libri tradotti in italiano: Decreazione per Utopia, e Vetro, Ironia e Dio per Crocetti. Non si può scrivere di Anne Carson senza essere ammirati dal fatto che esiste. Le sue frasi sono squarci perfetti. Per qualche ragione misteriosa le sue parole agiscono sul lettore, e possono ossessionarlo. Anne Carson voleva essere un dandy inglese, le piaceva travestirsi da Oscar Wilde, gettare le mani e scavare tra le parole di Saffo, sfilacciare la lingua per vedere cosa succede. E Saffo torna come un’ombra spirituale in Decreazione, nel piccolo saggio che lega la poetessa greca alle disgraziate figure di Margherita Porete e Simone Weil, la decreazione è definita come “il disfacimento della creatura che è in noi” – la battaglia della decreazione è una sfida ai limiti del proprio io, un modo di disfarsi e farsi che può portare all’assoluto. La scrittura, l’amore, la tensione metafisica – tutto ha a che fare con la decreazione. Anne Carson ha probabilmente inventato un post-genere che mescola frammenti, notazioni, poesia, pensieri, tagli, l’effetto di leggerla è un’assoluta perdizione tra mondi classici e moderni, avanguardia e antiche rovine, un salto nel vuoto indefinito che non ha tramonti e limiti. Quella di Carson è un’incandescente opera di decreazione: uscire dall’io, per contemporaneamente tornarci. Sovversiva.

Gio Taverni


Il Passeggero / Stella Maris – Cormac McCarthy

Einaudi, trad. Maurizia Balmelli

La dilogia composta da Il Passeggero e Stella Maris rappresenta l’ultimo contributo dato alla letteratura da Cormac McCarthy e va considerata come un unico e inscindibile lavoro, con comun denominatore i fratelli Bobby e Alicia Western e il loro percorso di vita attraverso la matematica, la fisica, la psicologia e, soprattutto, il linguaggio, vero protagonista di questi due libri. Tra digressioni su Wittgenstein, Bach, il progetto Manhattan e la topologia, McCarthy regala un’opera di immensa profondità analizzabile su diversi piani di lettura. Ne Il Passeggero, il discorso legato all’uso del linguaggio si può applicare alla forma romanzo e alla letteratura in generale. Il linguaggio diventa un malleabile strumento per raccontare una storia, raccontandone altre al suo interno, senza mai perdere il focus della parabola di Bobby Western. E il risultato è strabiliante: nella prima parte del suo lavoro finale, uno scrittore ottuagenario alza l’asticella di cosa si può fare con il romanzo e crea una nuova pietra di paragone per la letteratura americana. In Stella Maris, invece, il linguaggio è un vero e proprio protagonista del libro e oggetto delle digressioni di Alicia Western, che nel dialogo continuo con il suo psichiatra ne fa un mezzo di interpretazione della realtà, una realtà di cui lei è stufa di far parte e provare a comprendere. La potenza di questa dilogia è un qualcosa di unico e che consacra ancora di più, se ce ne fosse bisogno, Cormac McCarthy come uno dei più grandi narratori in cui abbiamo avuto la fortuna di imbatterci come lettori e lettrici. Menzione finale per la sontuosa traduzione di Maurizia Balmelli, che le è valso il premio de La Lettura come miglior traduzione del 2023.

Stefano Marino


L’avventura terrestre – Mauro Covacich

La Nave di Teseo

In coincidenza con il centesimo anniversario della Coscienza di Zeno, tra una lettura pubblica e un evento commemorativo il più triestino degli autori che ci è rimasto, Mauro Covacich, ci regala un libro che ho trovato profondamente sveviano nello spirito, sebbene molto distante nella forma. Si torna a un secolo di distanza a esplorare la malattia e la morte in una lunga riflessione sull’incertezza dell’esistenza che si avvolge intorno all’esplorazione di una coppia in apparenza felice, turbata dall’improvviso apparire di un disturbo dell’udito e dei fantasmi del passato del protagonista, che si sdoppia meravigliosamente in una voce che alterna la sua visione da giovane e quella da adulto, la sua voce triestina e quella romana, nei pochi giorni che passano tra l’apparire del disturbo e la visita specialistica che ha prenotato. Ci passano attraverso i diversi nuclei narrativi esplorati dall’autore nei libri precedenti, che emergono quasi casuali in un percorso che converge verso il centro della propria esperienza di vita partendo dalle sue numerose eccentricità. La sensazione è quella di avere tra le mani il libro maturo di un autore che si è lungo esplorato e che in apparenza si è ritrovato nella consapevole impossibilità di definirsi, afferrarsi, rassegnarsi. Si va avanti nella lettura un po’ a tastoni cercando di capire cosa succede, unica certezza di percorrere quella il titolo definisce avventura terrestre, come accade appunto nella vita.

Francesco Chianese


Uvaspina – Monica Acito

Bompiani

Sarà l’impasto linguistico – vivo e colorato, messo su con una consapevolezza e una capacità incredibili. Saranno i personaggi – accozzi di desideri e tremori, urlanti ma mai urlati. Sarà la storia in sé – accattivante, ben costruita, piena di strade e vicoletti in cui potersi infilare. Saranno i luoghi – la Napoli che ribolle e i suoi quartieri che implorano e, al tempo stesso, esultano: strillano di dolore e di gioia. Sarà per una ragione, tra queste, o per tutte queste ragioni, sommate assieme – e in fondo, non è importante -, sarà per quel che sarà, sì, però sta di fatto che Uvaspina – Bompiani 2023 – è, per me, uno dei romanzi più belli e, soprattutto, interessanti di quest’anno. È, difatti, rivelatore di una voce nuova e originalissima, quella di Monica Acito, classe 1993, napoletana ed ex scuola Holden. Ed è, nel panorama contemporaneo, un unicum sotto tanti aspetti: dal protagonista, Uvaspina – un femminiello, ragazzo buono, gentile – a sua sorella Minuccia, una mina, pericolosissima, che parrebbe sempre poter esplodere da un momento all’altro, dalla lingua, così vivida e intensa, tutta piena di discese nel basso crepitante del parlato e del dialetto, all’amore, un sentimento che in questo romanzo l’autrice stira, allunga fino alle sue dimensioni massime. Ciò che Acito è stata in grado di fare, raccontando di Uvaspina e dell’incontro con Antonio, il pescatore con gli occhi dai colori diversi, che legge, a cui il sangue non spaventa e non impressiona, che può andare fino a Procida in barca, ecco, ciò che Acito è stata in grado di fare, raccontando l’incontro tra il femminiello suo protagonista e il pescatore che tutto sa, raccontando una famiglia che non può, proprio non può, funzionare, raccontando una ragazzina, Minuccia, che, nel suo abitare il mondo priva di freni, cozza continuamente contro tutto quel che ha attorno, ecco, ciò che Acito è stata in grado di fare, raccontando questa storia che prende tante direzioni diverse, è indagare gli angoli più reconditi, e spesso inaccessibili, del desiderio – ha raccontato, in qualche modo, ciascuno di noi.

Mattia Insolia


Che cosa fa la gente tutto il giorno? – Peter Cameron

Adelphi, trad. Giuseppina Oneto

“Avrei voluto essere la persona che riesce a vivere senza prima aver imparato a vivere.”

È composta da 12 racconti la raccolta di Peter Cameron Che cosa fa la gente tutto il giorno?, pubblicata da Adelphi e tradotta da Giuseppina Oneto. La solitudine e la luce ostinata del quotidiano che tingono questi spaccati di vita americana mi hanno fatto pensare alla fotografia di Hopper e Richard Tuschman in particolare, ai cui scatti è dichiaratamente ispirato uno dei racconti. I personaggi che popolano queste pagine sembrano aver perduto il proprio centro o non aver avuto la fortuna di incontrarlo mai. Questo li spinge a vagare fisicamente, a perdersi in pensieri elettrici, oppure a scontare le conseguenze di qualche imprudenza, a dire addio spesso, a intendersi poco con gli altri, a mettersi a nudo solo con il lettore. Tra gli altri: c’è un uomo che tiene una cagnolina nascosta in cantina per timore della reazione della moglie e vive l’amore per la sua cucciola in felici passeggiate notturne che lo privano del sonno necessario a rendere sul lavoro. Una ragazza torna da un programma di volontariato in Africa e scopre che quello che aveva creduto un ritorno a casa non è che un cumulo di incomprensioni e macerie affettive. Un’anziana donna, alla morte della sua migliore amica e benefattrice viene forzata dai parenti di questa a spostarsi in una triste casa di riposo, tra numeri di magia e colloqui con una giovane psicologa. Un ragazzo si illude di poter far rinascere qualcosa con il suo ex grazie a una vacanza insieme, ma le cose non vanno come sperato.

“Normalmente non mi fermerei mai a guardare qualcuno che dorme sulla spiaggia, ma quando lo avevo conosciuto non mi ero comportato normalmente, ed è questo il modo in cui ci si innamora: non essendo sé stessi, oppure essendolo troppo, o ancora lasciandosi andare…”

Simona Ciniglio


Come una santa nuda – Alessandra Saugo

Wojtek Edizioni

Ci sono libri che hanno il potere di riannodare i fili col senso ultimo della letteratura. Un libro esile nella forma eppure pienissimo in ogni parola capace di restituire con inaudita intensità la voce intatta della scrittrice vicentina Alessandra Saugo, scomparsa il 22 settembre del 2017, appena quarantacinquenne. Come una santa nuda è una sorta di diario, di confessione sul limitare dei giorni di una vita, di possibile testamento che non conosce riservatezza né rispetto alcuno che non sia quello per la verità. Sono pagine traboccanti di forma e stile che mai risultano essere fini a sé stessi ma sempre al servizio di una scrittura che trasuda emotività, visceralità, sentimento. E sono tratti di una donna indurita capace di non vergognarsi di sé stessa e degli altri: editori, mariti, colleghi a formare un universo maschile da cui è attratta con una forza violenta sempre sferzata, però, dal talento di un’ironia dolorosa, di un sarcasmo crudele e per questo infinitamente umano e dolcissimo. “Io ho un gigante delicato ed ebbro dentro al mio cuore. C’è un Don Quijote trafitto di più di San Sebastiano che si impenna nel mio cuore e fa paura, e fa bontà e increspa e raduna in un covone tutta la mia timidezza sempre in pericolo di disfarsi nel fuoco” – leggere Come una santa nuda è davvero affacciarsi nell’intimità di un abisso, però lucidissimo; un’esperienza esaltante e dolorosa che, insieme, attrae e allontana come ogni scampolo di autentica bellezza. Una lettura necessaria che ha il merito di rendere giustizia a una voce taciuta troppo presto.

Fabio Mastroserio


Natura instabile – Auro Michele Perego

Aguaplano

C’è una nuova ondata di saggistica scientifica che sta prendendo piede nel panorama editoriale italiano e in questo solco arriva fresco e denso il contributo di Auro Michele Perego, fisico e Research Fellow of The Royal Academy of Engineering presso l’Aston Institute of Photonic Technologies di Birmingham, con il suo Natura instabile, in Italia edito dalla casa editrice Aguaplano. Fresco nello stile e nella sincera curiosità scientifica che emerge in ogni capitolo; denso perché tratta un argomento cardine della scienza contemporanea in ogni sua sfaccettatura: l’instabilità come chiave di lettura del reale. Perego, allora, sviluppa una parabola di ragionamenti che iniziano dalle instabilità del sistema solare, punto di vista tremendamente interessante vista la fissità a cui siamo abituati noi esseri umani dalla vita di durata trascurabile rispetto ai fenomeni celesti, alle manifestazione dell’instabilità nel quotidiano, tra ingegneria, fisica e scienze naturali. La grande cura nella scrittura contribuisce ad alleggerire le trattazioni più tecniche, ma sempre alla portata di chi legge, anche di chi non ha una formazione prettamente scientifica, e ci si avventura con entusiasmo nei concetti filosofici generati dalle evidenza scientifiche. «L’instabilità del vecchio è ciò che permette la nascita del nuovo», scrive Perego ed è questa l’essenza ultima del saggio che si chiude con un inatteso e ispirato finale letterario.

Alessia Ragno


Le streghe di Manningtree – A.K. Blakemore

Fazi, trad. Velia Februari

Qual è il confine tra religione e fanatismo? Non è facile rispondere a questa domanda, ma per comprendere il fenomeno basterebbe ripercorrere velocemente la storia e trovare numerosi esempi di eccessi che da intolleranze sono diventate veri e propri conflitti armati.
Il fanatismo non è degenerato soltanto nelle crociate, ma anche nella caccia alle streghe, una vera e propria guerra alle donne, colpevoli semplicemente di avere un corpo femminile. Le streghe di Manningtree di A.K. Blakemore ripercorre la storia di Rebecca West, una ragazza accusata di stregoneria insieme ad altre sei donne, tra cui sua madre. Il romanzo è ambientato in Inghilterra tra il 1643 e il 1647, con gli uomini impegnati a combattere al fronte durante la guerra civile e le donne rimaste sole a occuparsi dell’economia dei villaggi e dell’educazione dei figli. In un contesto di questo tipo personaggi realmente esistiti come Matthew Hopkins hanno avuto la possibilità di svolgere senza freni l’attività di inquisitore.
Quella di A.K. Blakemore è una ricostruzione storica preziosa, resa ancora più comprensibile al pubblico italiano nella splendida traduzione di Velia Februari che, grazie a uno stile linguistico ricco e vivace, riesce a spiegare la misoginia che sta alla base della caccia alle streghe e che parte dal terrore del corpo femminile da parte delle comunità religiose.

Ilaria Del Boca