L’infinita contesa israelo-palestinese e i suoi innocenti

Qualche mese fa ero di passaggio in una piazza dove si consumava il rituale della manifestazione di sostegno alla Palestina, c’erano le bandiere e pochissime persone radunate in un angolo quasi nascosto della piazza, qualche studente, quello che riconosco ormai da tempo come il capo degli studenti antagonisti napoletani coi suoi ricci speranzosi, che introduceva a un pubblico di una decina di persone alcuni video sul tema delle carceri palestinesi. Per curiosità penso di aver trascorso almeno dieci minuti ad osservare anche io quei video, e a riflettere su particolari circostanze. La prima domanda che mi sono fatta era: perché avete scelto proprio la Palestina? Voglio dire: perché concentrare tutti gli sforzi della ”lotta per la giustizia” (immagino si tratti di questo) solo a sostegno della Palestina, in un mondo esageratamente ricco di disperazione e conflitti, e ingiustizie? Capisco che sia difficile sostenere tutte le battaglie contro l’ingiustizia, e per un po’ ho anche commesso lo stesso errore concentrandomi particolarmente sulla Siria, e del resto la prima cosa che avrei detto al capo degli studenti dissidenti sarebbe stata qualcosa del genere: e la Siria l’avete dimenticata?

La specialità del conflitto ormai infinito tra Israele e Palestina è in questa speciale soglia di attenzione che riesce a polarizzare, come nessun conflitto tra tutti i conflitti che non ci riguardano (attivamente). La particolarità è che riesce a mobilitare idee, a essere facilmente riconosciuta nell’opposizione destra/sinistra, anche quando queste due filosofie sembrano essere diventate parole puramente casuali e vuote, e anche quando ci si rende conto che l’opposizione destra/sinistra è storicamente ricca di contraddizioni. Se pensiamo al genocidio ebraico in Germania sostenuto dalle destre il concetto appare chiaro e cristallino: come si sia passati da quello al sostegno cieco allo stato di Israele diventa la prima speciale contraddizione storica e politica di questo conflitto. Dal canto suo la sinistra flirta contemporaneamente con anti-nazismo/fascismo e anti-colonialismo, e se sembra perfettamente razionale da un certo punto di vista combattere la battaglia di occupazione della nazione palestinese prima contro il colonialismo europeo e poi con la costruzione di uno stato con tradizioni diverse al suo interno, dall’altro appaiono spietate le ragioni di un tifo esasperato, e che non s’interroga su una questione di fondo: da una parte e dall’altra, esistono gli innocenti. I civili che muoiono. Quelli che non avevano chiesto di mettere un uniforme di guerra.

Quello che voglio dire è che se il capo degli studenti di cui sopra per una delle casualità della vita fosse nato ebreo, e vivesse a Tel Aviv, e anche se non gli riuscisse di sostenere le ragioni di Israele e fosse disinteressato, anche se flirtasse con l’idea che i palestinesi hanno ragione dall’altro lato della barricata, probabilmente da questo lato del mondo potrebbe essere odiato lo stesso. E questo è quello che io definisco come un pregiudizio del razzismo. All’inverso, c’è ancora tanto razzismo da estirpare nei confronti delle popolazioni arabe in Occidente, anche se durante le occasioni di conversazione tentiamo di negarlo.

Mentre mi sembra di scrivere delle banalità retoriche, dall’altro lato penso che sia sacrosanta l’occasione di ribadire che ancora una volta stiamo cadendo nel trucco delle divisioni imposte dalla storia: nazioni, stati, religioni, razze, tutti moventi immaginari e costrutti che finiscono per separarci in quanto esseri umani. Queste discriminanti le viviamo addosso in innumerevoli occasioni, che tendono a separare il mondo in piccole lotte di classi, di sessi, di preferenze, espropriando l’uomo di tutta la sua magnifica dote di umanità: la madre che vive a Gaza è buona per le copertine dei giornali, soprattutto se piange e ha perduto un figlio in battaglia, soprattutto a scopi dimostrativi durante le manifestazioni. Ma a nessuno interessa sul serio chi sia questa donna, e quanto possa somigliare alla madre innocente siriana che è scappata in Turchia dopo che la sua casa è stata distrutta dalla guerra civile. Cadiamo nel trucco, e nel ricatto, di chi ha costruito -anche con terribile violenza – le nazioni e gli stati, di chi ha imposto divisioni, di chi ha inventato gli dei e la morale.

Per quanto mi faccia amarezza osservare la piccolissima distanza che separa Tel Aviv e Gaza, e che diventa sproporzionata nel dettaglio dello stile di vita, 85 chilometri di diversità e dissapori, dalle spiagge di Tel Aviv al recinto di Gaza, so che sia nella striscia contesa che nei palazzoni che affacciano sul mare a Tel Aviv ci sono degli innocenti che non vorrebbero finire nelle battaglie ideologiche di mezzo mondo. E io sono dalla loro parte, indistintamente.

 copertina: Oliver Weiken/EPA

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