L’intellettuale scomodo, intervista a Erri De Luca

Erri De Luca è uno dei più importanti scrittori italiani dei nostri tempi, tradotto e letto in tutto il mondo. Alla vocazione letteraria ha sempre affiancato quella civile, intervenendo più volte nelle questioni fondamentali per il progresso del nostro paese. Non da ultimo l’affaire della tratta Torino – Lione dell’alta velocità, che lo vede coinvolto in prima persona come sostenitore dei NoTav e, dopo alcune dichiarazioni sulle proteste, viene portato a processo dall’azienda francese responsabile del progetto, la LTF,  per istigazione al sabotaggio. Una maschera dietro cui si vuole nascondere, evidentemente, un attacco alla libertà di opinione. Ma tutto questo, invece di lasciarlo solo, ha avuto l’effetto opposto, con la creazione di gruppi attivi a non far crollare nel nulla l’accaduto e messaggi di solidarietà da tutto il mondo. Sull’accaduto, come presa di posizione, Erri De Luca ha pubblicato La parola Contraria, edito da Feltrinelli.

D: Questa dovrebbe essere l’epoca del cambiamento o, almeno, così ci dicono. In realtà sembra di essere tornati indietro di tanti anni, come se senza accorgercene fossimo finiti nel medioevo. Ci sono forze politiche che pubblicano liste di editori e giornalisti considerati scomodi, siamo uno dei paesi che leggono meno e, probabilmente, che si informano peggio. C’è poco, insomma, per stare sereni. Non da ultimo il processo che la vede coinvolta per aver ‘spinto al boicottaggio violento’ della valle. Date queste premesse, soprattutto se pensiamo a quanto l’immagine conti nel nostro mondo, sembra strano che la parola possa ancora fare così paura ai poteri forti. 

R: Solo la parola contraria, quella che denuncia corruzioni, sabota affari loschi a sperpero di denaro pubblico, quella disturba, ma con la prima incriminazione di uno scrittore per le sue parole, con l’ accusa di istigazione promossa da una ditta privata e accolta a braccia aperte dalla Procura della Repubblica di Torino, sono arrivati a un gradino più alto di censura.

D: È nell’indifferenza generale, come sappiamo, che nascono i mostri peggiori. La Tav Torino-Lione sembra essere, in un certo senso, una delle conferme di questa teoria, come emerge del resto ne La parola contraria. Al suo interno però non si limita a prendere una posizione contro le accuse che le sono state mosse, ma sottolinea la centralità del ruolo degli intellettuali di farsi portavoce dei problemi di tutti i giorni. Lei scrive, «Uno scrittore al suo meglio istiga alla lettura» e, conseguentemente, al pensiero critico. Quanto manca, oggi, rispetto a quello che potevano essere gli anni settanta, un fronte attivo di intellettuali capaci di schierarsi? E, soprattutto, possono avere ancora lo stesso ruolo fondamentale?

R: Manca quel clima di lotta e di conquiste civili, quella temperatura che coinvolgeva il ceto intellettuale, grazie anche a un grande cinema che si trascinava dietro la letteratura. La televisione pubblica realizzava inchieste sociali, i programmi d’intrattenimento si limitavano al fine settimana.

D: In questi termini, ovviamente, le responsabilità non sono più riconducibili ai soli intellettuali. Fondamentale, dall’altra parte della barricata, è il ruolo delle persone comuni a cui è richiesto di leggere e farsi contaminare dalle proposte critiche che gli vengono presentate. Lei ha vissuto gli anni di Lotta Continua, degli scioperi e dei grandi movimenti. Giovani capaci di guardarsi negli occhi e, invece di vedere solo sofferenza, trovare le stesse pretese dalla società. Sono davvero cambiate così tanto le persone?

R:  Insisto, sono cambiati i tempi e e oggi la persona sente di essere impotente nei confronti dell’andazzo. Ho conosciuto tempi opposti, dove l’impotenza era una colpa, l’indifferenza una malattia da nascondere. Si lottava e le cose cambiavano concretamente in meglio.

D: A volte sembra che la mancanza di coesione fra le persone complichi la formazione di un fronte comune e, di conseguenza, un’incapacità a distinguere i responsabili veri da quelli di convenienza, che servono solo a nascondere altre ferite ben più serie (e, di questi tempi di esempi ce ne sono a bizzeffe, dall’extracomunitario ai matrimoni arcobaleno). Possono le parole di un scrittore, in questi termini, mettere una pezza a questo senso di smarrimento?

R: La parola di uno scrittore può spendersi per qualche buona causa, offrire un po’ di ascolto in più, ma non può cambiare le cose. Zola si spese per Dreyfus, ma appunto riuscì solo a dare luce a un caso di pregiudizio. La parola serve a proteggere se stessi dallo spaccio di quella falsa. Le grandi opere in Italia sono pretesto per spartizione di denaro pubblico a ditte legate ai partiti. Centinaia di esse sono rimaste incompiute: servivano solo a spendere. Contro questa situazione recidiva la parola può niente.

D: Ritorniamo al suo processo. È evidente che il voler gettare un’ombra sulla sua immagine pubblica, dandole del provocatore e del violento, è un tentativo per nascondere e svilire le richieste del movimento NoTav. Quello che hanno ottenuto è stato, però, l’esatto contrario. Invece di rimanere isolato si è raccolto attorno a lei un nutrito gruppo di sostenitori, dal mondo intellettuale e non. Sembra sempre, qui da noi, che tutti siano pronti a indossare lo scudo del #JesuisCharlie  mentre ci si dimentichi di quello che succede qui da noi. Questa solidarietà nei suoi confronti è però qualcosa di importante, per quanto sia ancora piccolo, e si può pensare che sia un sentimento di qualcosa che si sta risvegliando nelle coscienze?

R: L’appello francese a mio favore non è solo una petizione di solidarietà. Chiede allo Stato Francese di far ritirare la denuncia contro di me. Lì esiste una opinione pubblica che ha un peso e la coscienza di averlo.Una piccola ricaduta di quell’appello sta presso di noi intaccando il silenzio compatto e la disinformazione sul processo. Forse da qui al 20 maggio, data della prossima udienza nella quale sarò chiamato alla sbarra, qualcosa cambierà anche da noi. Ma non solo la Francia, anche in Spagna esiste un appello sottoscritto da una quantità di personalità.

D: In conclusione, ci sembra doveroso un riferimento alle nuove generazioni, quelle che sembrano non venire mai toccate, salvo eccezioni, dai grandi temi che riguardano il nostro paese, nonostante siano quelli che un domani dovranno raccogliere le macerie, per davvero, e provare a ricostruire. Vengono descritte sempre come generazioni perdute e senza contenuti. Noi sappiamo che non è così, ma è sempre più difficile crederlo e, qui parlo anche da diretto interessato, sembra manchino i maestri e le personalità a cui fare riferimento. 

R: Non sono padre e non mi intendo di giovani. Li incontro in posti privilegiati, in una scuola, in una università dove sono io a parlare e loro all’ascolto. Fanno domande intense, ma dovrei chiedere io a loro del tempo futuro, che spetterà a loro in esclusiva. E non sono neanche maestro, sono rimasto allievo del mondo che abito.

 

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