Live Report The Soft Moon @ Monk Club, Roma

Per chi non lo conoscesse, il Monk è un circolo Arci imbrogliato in un bel parchetto verde che sgorga dalle ceneri dell’ex Palma Club, al numero 35 di Via Giuseppe Mirri, zona Portonaccio, Roma. Dopo sette anni di macerie la riqualificazione: spazio riallestito, interni rivisitati, esterni ridisegnati. Da un anno a questa parte cominciano a circolare bei nomi: ieri sera è toccato a Soft Moon. I più suggeriscono il plurale, ma Soft Moon, prima di essere un progetto musicale, è Luis Vasquez. Quindi il plurale ce lo risparmiamo. O forse no.

Tra le tante gradevoli scoperte registrate in serata, infatti, spicca Matteo Vallicelli, detto Vallo, che tra batteria e octapad ha costruito quando doveva costruire e ha distrutto quando doveva distruggere.

Sul serio, eh. Dopo una quarantina di minuti il pedale della grancassa saluta il pubblico e collassa. Che poi è l’ultima cosa che ti aspetti possa cedere in mezzo alla guerriglia ritmica.

Cronaca di una pausa annunciata e sacrosanta, anche perché tra un pezzo e l’altro non c’è neanche il tempo di tirare un respiro.

Menzione d’onore anche per Luigi Pianezzola, basso e pad, che presiede l’ala sinistra del palco con l’aplomb new wave di chi ha sempre stirato la tracolla fino alle ginocchia, ché tanto sul sol c’è poca soddisfazione.

L’asse virtuale tra Italia e Soft Moon si rinsalda e continua a convincere. Se non fosse per l’inestimabile valore dell’apporto creativo di Vasquez, a rigor di logica, la formazione attuale sarebbe a maggioranza italiana; poi fate un po’ voi.

Lo sviluppo della setlist è ok. A catturare il pubblico nello spazio interno la solita cattivissima Black, erede di quel suono bastardo alla Genesis (vedi Justice, non Phil Collins).

A seguire un alternarsi di stili e generi: spicca la paranoica punta di diamante Far e alcuni classici per aficionados come Circles e Insides. La rivisitazione del post-punk caotico di Soft Moon(2010) è totale, l’evoluzione post-industrial al culmine.

È incredibile come i tre album all’attivo, nonostante un grado di omogeneità scarsissimo, riescano a suonare come un unico concept senza soluzione di continuità. In chiusura la traccia eponima dell’ultimo disco, Deeper, manifesto della svolta industrial-tribal che regala al pubblico quella sazietà che un encore dovrebbe sempre garantire. È stato più martellante di un live dei Sepultura, ma ne è valsa la pensa.

Ore 23:30, Vallo si sradica gli auricolari monitor e abbandona le bacchette con la stizza di chi ha dato tutto. Per stasera usiamo il plurale. Per stasera hanno suonato i Soft Moon.

Exit mobile version