Lovely Creatures: The Best of Nick Cave & The Bad Seeds (1984 – 2014)

Un minuto. È il tempo che ci vuole per veder comparire il volto così particolare, così intenso, così strano di Nick Cave nel video di Where The Wild Roses Grow. Era l’ottobre del 1995, e quel pezzo con Kylie Minogue era il primo singolo tratto da Murder Ballads, il disco che fece conoscere Nick Cave anche al pubblico più giovane e a quello più vasto e disattento. La canzone, e il video, andarono in heavy rotation sulla Mtv dei tempi d’oro.

Chiunque abbia ascoltato Nick Cave sa esattamente dove, quando, come sia successo la prima volta. In quel 1995 Nick Cave aveva pubblicato già ben otto dischi con i suoi semi cattivi, ed era semplicemente incredibile che fosse ancora in piedi per registrarne un altro. Ma erano cose che avrei scoperto tempo dopo, come quando trascinato da un’altra passione, m’imbattei, in una scena meravigliosa de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, quando l’angelo caduto Damien incontra la bellissima trapezista Marion. Quell’incontro avveniva sulle note della spettrale The Carny prima e di From her to Eternity poi, con Cave a dondolare sul palco tra lampadari sospesi e l’allora fedele Blixa Bargeld accanto, vera icona della Berlino alternative degli anni ottanta.

È difficile, quasi impossibile, pensare a Nick Cave come un musicista australiano, e non certo perché l’Australia non sia stata terra d’origine di molti altri colleghi, ma perché più di chiunque altro Nick Cave sembra essere fatto davvero della stessa sostanza di cui sono fatti i suoi sogni. Se esiste un posto che ha dato i natali a Nick Cave deve essere un posto abbastanza grande da far entrarci tutta la letteratura di cui si è cibato, l’eroina che ha iniettato dentro le sue vene, le città che ha abitato e da cui, cosa ben più importante, si è lasciato abitare, le poesie che non gli hanno lasciato prendere sonno, le donne che ha amato violentemente e da cui è stato abbandonato, i musicisti straordinari che hanno attraversato il suo cammino, i quadri che ha ammirato, le strade che ha percorso, gli abissi spaventosi in cui è precipitato e da cui ha sempre avuto la forza e la fortuna di risollevarsi.

In fondo Murder Ballads era questo, la trasfigurazione poetica e letteraria, prima ancora che musicale, di un mondo interiore che trovava una voce facendo parlare personaggi immaginari, violenti, disperati tra assassini e prostitute, amori non ricambiati e sprazzi di felicità rubati al destino e allo scorrere del tempo. Il coro finale su Death is not the end pescata dal repertorio di Dylan prefigurava quasi l’incontro con il fresco premio Nobel sotto la pioggia battente a Glastonbury, con quell’“anche a me piace quello che fai” raccontato nell’ultima fatica letteraria, The Sick Back Song, a unire in fondo due spiriti molto più affini di quanto sia possibile immaginare e credere.

Quante vite ha attraversato Nick Cave? Chi desiderava davvero essere questo ragazzone allampanato dalla fronte alta, i capelli arruffati, gli occhi perennemente accesi, come divorati da una tensione dell’anima, una febbre cerebrale pronta a incendiarlo e consumarlo e nello stesso tempo a irradiare bellezza intorno a sé, neanche fosse un personaggio di Dostoevskij, dentro a una stanzetta male arredata da cui osservare il mondo? Eppure c’è una foto degli anni berlinesi che forse dice tanto, tantissimo su Nick Cave, rannicchiato in un buco più che in una stanza, il sottosuolo ideale, tra libri impilati, una macchina per scrivere, tre lunghe ciocche di capelli appese al muro, appunti dappertutto e una foto di Elvis, il re di Tupelo.

Se non possiamo sapere cosa sognava il giovane Cave, sappiamo, però cos’è riuscito a diventare: un cantautore, un musicista, un poeta maledetto, uno dei più grandi interpreti del palcoscenico capace come nessun altro, oggi, di creare una spaventosa, tangibile, commovente, alle volte insostenibile connessione emotiva tra se stesso e il pubblico adorante che si prostra letteralmente ai suoi piedi.

Cave lungo tutta la sua carriera è riuscito a mescolare il post punk con il blues, l’istintività così profondamente statunitense di Elvis con l’espressività europea di un Jacques Brel, antiche ballate del mondo anglosassone con il furore di un’iconoclastia contemporanea, il diavolo che incontra Robert Johnson con un umanissimo Cristo che scende dalla croce per camminare tra le strade di San Paolo.

Prima con i Birthday Party e, ormai da ben trentaquattro anni, con i Bad Seeds, Nick Cave è riuscito a celebrare il suo talento offrendo come in un sacrificio propiziatorio, al cospetto di un altare, sudore e sangue, umori carnali dentro ferite dell’anima, possesso e sopraffazione che si sciolgono dentro la tenerezza di un abbraccio, strade che non sai mai bene dove portino e addii che non sai nemmeno come fare a lasciarti alle spalle.

Nick Cave ha una storia dietro di sé, ricchissima e affascinante qualunque sia il punto in cui ciascuno di noi abbia incrociato il suo percorso e quella storia così varia e così complessa diventa oggi un imperdibile cofanetto che cerca a suo modo di raccontare ciò che deve o può essere raccontato. Scegliere è l’altra faccia dell’escludere e Nick Cave lo racconta nelle note che accompagnano lo splendido libro fotografico dell’edizione Super Deluxe:

Ci sono persone lì fuori che non sanno nemmeno dove cominciare con i Bad Seeds. Altre che conoscono il nostro catalogo meglio di me! Questa raccolta è stata pensata come una strada che conduce dentro a tre decadi di musica”. E ancora: “Le canzoni scelte sono quelle che per qualsiasi motivo sono rimaste in circolazione. Alcune sono quelle che premono per essere suonate dal vivo. Altre, quelle minori che sono però tra le nostre favorite. Altre sono talmente grandi e hanno così tanta storia che era impossibile lasciarle fuori. E, infine, quelle che non ce l’hanno fatta e sono quelle che dovrete scoprire da soli”.

Cave ci ricorda, così, come in fondo l’opera artistica (e sì, Cave appartiene al novero ristrettissimo di coloro capaci di elevarsi dal rango di musicisti a quello immensamente più nobile di artisti) non possa appartenere solo al suo creatore, ma che quelle storie, quelle musiche, quei colori sono la tavolozza con cui provare a dipingere un’altra storia ancora, tutta personale, che possa rendere giustizia ai sentimenti che la musica è stata in grado di suscitare.

Una raccolta, operazione sempre delicatissima che oscilla tra l’antologia scolastica e l’autocelebrazione, diventa, in questo caso, non solo una curva su cui misurare la lunghezza della strada fatta ma anche la possibilità di tornare a confrontarsi con se stessi e con tutto ciò che si rappresenta per il proprio pubblico. Uno sguardo gettato sull’insondabile mistero che, nella musica, separa un successo da un fallimento.

Lovely Creatures è disponibile in ben 4 edizioni, tutte arricchite con foto personali della band. L’edizione in due cd con 21 brani e un libro fotografico di 24 pagine (disponibile anche in triplo Lp). L’edizione Deluxe in 3 cd con ben 45 canzoni e un DVD di due ore oltre a un libro di 36 pagine. E, infine, l’edizione limitata Super Deluxe che rispetto a quella Deluxe contiene un libro rilegato di 256 pagine con saggi, foto personali scattate dalla band, da familiari e da amici e la riproduzione di memorabilia.

L’idea di Lovely Creatures (di fatto secondo e ben più completo Best of dopo quello del 1998 che escludeva la discografia a partire dal bellissimo No More Shall We Part e il conseguente addio di Bargeld e il peso sempre più grande acquisito dall’ormai imprescindibile Warren Ellis) nasce nel 2015 a valle di Push The Sky Away, sentito dalla band come l’inizio di una nuova fase nella creazione musicale, di un diverso approccio alla materia musicale che avrebbe coinvolto anche la lavorazione del glaciale e intensissimo Skeleton Tree.

Grazie a Lovely Creatures arriva oggi la possibilità di ripercorrere la strada di uno straordinario musicista per confrontarsi coi propri ricordi e con le pieghe segrete di una delle band e delle esperienze più affascinanti che la storia della musica ricordi.

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