M+A – L’intervista

Sono una delle maggiori ventate di freschezza nel panorama musicale italiano da un bel po’ di tempo e da quando è uscito quel primo disco These Days hanno fatto muovere parecchi sederi in giro per i club ed i festival d’Italia e d’Europa.

Sono gli M+A e noi li abbiamo raggiunti con qualche domanda mentre si trovavano a Londra per alcune date oltremanica.

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Siete un gruppo iperattivo. Dopo pochi giorni che avevamo pubblicato la recensione di These Days, mi è capitato di sentirvi su Radiorai suonare pezzi nuovi, pezzi che hanno fatto poi parte integrante dei vostri live, da Glastonbury a Ypsig passando per live minori ma non meno coinvolgenti come quello fatto a Torre Annunziata e che finalmente vi siete decisi a registrare nel bell’ep Anyway Milkyway. Questo ep va considerato come un’integrazione al disco precedente oppure come un ponte verso qualcosa di nuovo già allo studio?
– Sì siamo super iperattivi. E’ entrambe le cose: A M è un disco che abbiamo fatto per capire dove andare, dove non andare: è un disco di raccordo.

– Dicevamo di Glastonbury; non è l’unico festival internazionale a cui avete partecipato, ma per hype è di certo l’unico contraltare possibile in Europa al Primavera Sound. Lì avete fatto una performance di tutto livello che vi ha peraltro portato recensioni positive da Oltremanica. Da musicisti, cosa ci avete trovato di diverso rispetto ad i festival nostrani?
– E’ un festival di portata enorme, ci sono ottanta palchi tra una cosa e l’altra. Questa è la differenza principale, l’altra è che suoni davanti a Bryan Ferry o M.I.A. e non davanti a Levante 🙂

– E nei live singoli che pure fate spesso in Inghilterra?
– Stessa cosa: il live in se è fatto sempre della stessa sostanza, in tutto il mondo. le differenze sono per un certo versi culturali, l’Inghilterra, ad esempio, è molto più articolata nella cultura pop, e poi sempre quella cosa lì, che magari ti senti più esposto, nel senso che trovi ai concerti persone insospettabili.

– Live nei quali spesso siete supportati da Marco Frattini alla batteria ed alle percussioni. La formazione a tre resta una dimensione prettamente live o c’è aria di un’altra M nel nome della band?
– E’ una collaborazione molto forte, Marco è un fratello acquisito della band.

– Dove vi piacerebbe suonare e non l’avete ancora fatto?
– Coachella.

– Ai vostri concerti la gente balla di gusto, cosa parecchio rara nei contesti “indie” e, complice il vostro saper essere animali da palco (a Torre Annunziata alla Cabina 56 ero tra quelli che faceste salire sul palco a suonare i tamburi), sta generalmente presa bene. Perché secondo voi questa è una condizione così rara nel nostro Paese?
– Secondo me non è una condizione troppo troppo rara, la Romagna da dove veniamo ha tutta una cultura del divertimento, della depense, molto forte. Si è un po’ atrofizzata la cosa magari, in Italia i musicisti sono spesso molto frustrati, perciò i concerti spesso non sono eventi di gioia, ma esami, dimostrazioni.

– Che posto è Forlì? Ha influito sul vostro particolarissimo suono?
– E’ un fantasma, un fantasma nel senso buono e nel senso cattivo: nel senso buono-melancolico perché è il fantasma dell’infanzia, dei ricordi, delle cose perdute, nel senso cattivo perché è una città abbastanza apatica.

– C’è un disco che vi ha segnati particolarmente?
– Damon Days, Gorillaz

– Cosa state ascoltando/leggendo in questo periodo?
– Weval, come ascolti; come letture sto leggendo qualche libro di Kawabata.

– Vinile o mp3?
– L’importante è che si possa scegliere.

– Avete in programma di andare a vedere il concerto di qualcuno in particolare?
– Oggi mi piacerebbe sentire Earl Sweatshirt

– “La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?” (Sì lo so, ma cercate di capirmi, ho sempre sognato di fare questa domanda a qualcuno)
– La vita è la totalità di tutte le cose vere e false pensabili e impensabili. In generale: un incubo difficilissimo da sognare.

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