I manifesti che hanno cambiato la storia della musica

Da materiale pubblicitario, ben prima dei social networks, delle stories su Snapchat e Instagram, la stampa pieghevoli, manifesti, poster, flyer fino alle fanzine, sono diventati veri e propri oggetti di culto, superando la sfera dell’underground per arrivare a un livello artistico tuttora in continuo sviluppo. Non serve scomodare Toulouse Lautrec, il mago di Albi, che con i suoi manifesti si è imposto come uno degli artisti più rappresentativi del tardo Ottocento, per comprendere come i manifesti, abbiano presto sviluppato una loro arte e tecnica, arrivando a costituirsi come oggetto di avanguardia e di racconto dello stile dei periodi che hanno toccato. Dagli anni ’60 in poi, hanno seminato nell’underground esplodendo come forma principe nella diffusione del rock ‘n roll, del punk e dell’ambiente alternative in generale, assecondando – o anticipando – gli stilemi delle controculture e denotandoli dal punto di vista estetico. Una storia fatta di poster, dai pazzi sixties al postmodernismo, l’eccessività degli anni ’80 e la cupezza della new wave, fino alla svolta minimale e artistica di oggi, che dovreste tenere bene in risalto nella vostra collezione di dischi.

The Magical Mistery Tour

 

 

All’ordine degli anni ’50, con il nuovo decennio, si apre un vero e proprio mondo di caos e innovazione. Sono gli anni d’oro della controcultura sociale, politica, individuale. La musica diventa la colonna sonora delle grandi manifestazioni, si fa cantrice del tempo con Bob Dylan, Janis Joplin e via via tutti i grandi sperimentatori da Jim Morrison a Jimi Hendrix, il bianconiglio dei Jefferson Airplain o il Magical Mistery Bus dei Beatles. L’estetica dei poster ne è un esempio, sperimentazioni ad acquerello, colori sgargianti, lettering estremo, abbinamenti psichedelici. Un viaggio interiore e stupefacente, in tutti i sensi.

 

God Save Jamie Reid

 

 

Sono gli anni ’70, la prima metà, una nuova ondata di proteste scuote il pianeta Terra, sono gli anni dell’esplosione punk, che si oppone con rabbia ai brillantini glam e alle sonorità compiaciute della disco music, m primi tratti di elettronica che trasforma l’uomo in macchina. Sono gli anni di Jamie Reid e di quel collage che diventerà una delle immagini più iconiche della storia recente, per la disobbedienza, per gli occhi censurati della Regina che subirono la censura, gli attacchi dei benpensanti contro cui il punk si muoveva. Un misto di collage, graffitismo, pittura rupestre a livello artigianale e non rappresentano al meglio la corrente punk dei manifesti di quegli anni, un filo invisibile che collegava il CBGB di NY agli scantinati di Bristol, Londra e Manchester. Prima dell’arrivo della corrente buia, la dinamica new wave, il minimalismo elettronico, punks do it.

 

 

L’estetica dark

 

 

Il mantello di Bela Lugosi, l’estetica del Bauhaus, le ricerche sulla forma e un solo grande colore predominante: il nero. Post punk, new wave e ogni genere di hardcore si incontrano nella radicalizzazione dei temi più oscuri, sfidandosi nella resa di verve più decadente, ora aggressiva, ora distesa nelle sonorità. I Siouxsie and the Banshees aprono la strada a un periodo estremamente florido, in cui creare una band sostituisce, in intensità e dedizione, quello che era stato l’impegno politico degli anni ’60. Le città sono in fibrillazione, i club esplodono per queste avanguardie nate dalle ceneri delle precedenti. Il collage, eredità del grande padre punk, diventa la forma più immediata con cui riprodurre sui manifesti il senso di disorientamento prodotto dalle sonorità e dai testi. Ne escono dei manifesti contorti, mostruosi, arrabbiati.

 

 

L’anno in cui vinse il computer

 

Gli anni ’80 sono gli anni in cui la tecnologia sembra rispondere a tutto. Il computer sembra essere l’elemento fondamentale per l’affermazione della cultura pop, una macchina che rapidamente si trasforma e assume i connotati orrorifici di Videodrome, sfocia sulle consolle e da il nuovo tratto alla musica di Detroit. Una rivoluzione, basata su una nuova fiducia trasmessa all’eccesso, in maniera indiscriminata, in grado di creare mostri. Sono gli anni in cui sui manifesti appaiono i primi tentativi di computer grafica e – generalmente – antesignani di una crisi espressiva che coinvolgerà il decennio successivo e aprirà le porte a un’evoluzione dell’oggetto poster, non più comunicativo ma – principalmente – estetico. Gli anni ’90 riprendono, tendenzialmente, i canoni precedenti, caratterizzandoli anche con le nuove tecniche, ma ristabilendo i confini di genere, atomizzando l’offerta per rinchiudere i tratti particolari all’interno di un contesto identificabile e condivisibile.

The New Renaissance

 

 

Gli anni zero segnano un risveglio parziale, sviluppato grazie anche all’arrivo dei social network e di nuovi strumenti grafici, le band e i promoter insistono sempre di più, attualizzando le tecniche del collage e dell’illustrazione a una nuova estetica che supera il solo aspetto pubblicitario e diventa un gadget interno. Proprio quello che dicevamo all’inizio si fa ora ancora più chiaro. In questi ultimi anni i poster hanno assunto una dimensione indipendente non andando più a caratterizzare esclusivamente i concerti o le nuove uscite ma trasformandosi in vere e proprie ricerche artistiche in ogni parte del mondo. Nei primi anni zero accade, in Italia, con gli Offlaga Disco Pax (il cui ultimo libro Offlaga Disco Pax #1 – #163) va appunto a testimoniare la ricerca effettuata da Enrico Fontanelli nella realizzazione di grafiche per la formazione di quell’estetica tanto cara alla band reggiana. Non solo. Negli ultimi anni il filone dei poster si è creato un campo a sé stante, quasi del tutto indipendente, in cui illustratori e disegnatori hanno cominciato a trasformare, anche senza commissione diretta, l’estetica musicale con la propria vena artistica.

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