Manson, l’America e i Beatles: il Disco Bianco si tinge di rosso

a cura di Ernesto Razzano

Non capisco cosa c’entra Helter Skelter con l’accoltellare qualcuno.” Questa frase di John Lennon tenetela sempre a mente e ripetetela come un mantra per tutta questa storia.

La vicenda di Charles Manson e della sua Family, ridotta all’osso, è una feroce strage di innocenti, causata dai deliri assassini di una setta, che pendeva dalle labbra del suo capo. Tuttavia le connessioni, i protagonisti, le circostanze e i rimandi “culturali”, raccontano una fetta di storia americana che ancora suggestiona cinema, televisione, musica e scienze comportamentali. Contestualizzare è il primo passo per provare a capire come, dai solchi di un candido vinile dei Beatles, possa essere partito l’ordine per quel massacro.

Chi conosce la storia americana o ha semplicemente visto la serie “Mindhunter”, sa che a metà degli anni Settanta, a Quantico, in Virginia, prende le mosse un filone di ricerca innovativo, all’interno dell’FBI, che porterà alla nascita della figura del profiler. Le tecniche vengono messe a punto studiando le motivazioni che spingono a diventare serial killer, provando a comprenderne al contempo il modus operandi. Questo non solo e tanto per mera ricerca di comprensione dei crimini già avvenuti, quanto per prevenire quelli futuri. L’idea è di entrare nella testa dei criminali seriali o multipli, per studiarne pulsioni e comportamenti. La messa a punto di questo progetto prevede un lungo periodo di incontri faccia a faccia, con i più violenti assassini, nelle carceri di massima sicurezza, in cui sono detenuti. Incontrare Charles Manson è in cima alla lista dei desideri di ogni aspirante profiler. Rispetto ad altri assassini seriali però, Manson, ha una grossa anomalia: non ha mai ucciso. Dunque perché Manson? Perché tanto interesse per lui? Ripartiamo da quel 1969.

Il 1969

Nell’estate di quell’anno, l’astronauta Neil Armstrong, per la prima volta e un po’ a nome di tutti, mette piede sulla luna. La notizia tiene banco per diversi giorni, fino a lasciare spazio, ai primi d’agosto, al ricordo di Little Boy e Fat Man, questi gli innocui nomignoli con cui si appellavano le bombe atomiche sganciate dagli Usa su Hiroshima e Nagasaki, a sancire, con una violenza immotivata, la fine del secondo conflitto mondiale. La mattina del 9 agosto però, l’America si sveglia con una notizia di cronaca nera, che scuote e impaurisce tutti, per le modalità e l’efferatezza dei fatti. Alcuni adepti della setta di Charles Manson, fanno irruzione al numero 10050 di Cielo Drive, una villa nel ricco quartiere di Bel air, a Los Angeles, uccidendo cinque persone. Beverly Hills e Bel Air, sono i due quartieri collinari, che si affacciano su Hollywood, abitati pertanto da facoltosi produttori, attori e musicisti. E di intrecci tra musica e cinema, ne troveremo molti in questa vicenda. Il calendario dice che siamo anche alla vigilia di Woodstock, pronto a passare alla storia come il più grande concerto rock di sempre, ma, una settimana prima, non se ne aveva percezione alcuna, tanto che nomi fondamentali fecero la scelta di non andarci, da Bob Dylan, ai Rolling Stones, ai Doors. I Beatles erano fuori gioco, avendo detto stop alle esibizioni già da qualche tempo. Ma è anche l’anno dell’escalation della guerra in Vietnam e della fine dell’utopia, di quel sogno generazionale del “Peace & Love” coltivato per gran parte di quel decennio. Tuttavia le marce pacifiste e per i diritti sono sempre più affollate, le rivolte razziali aumentano negli ultimi anni alimentate anche dagli omicidi dei leader neri Malcolm X e Martin Luter King. A chiudere con un sigillo rosso sangue, non solo simbolico, quel 1969, è il concerto di Altamont, dei Rolling Stones, del 6 dicembre, che vede l’accoltellamento mortale, ai piedi del palco, del giovane nero Meredith Hunter, da parte del gruppo di motociclisti Hell’s Angels, a cui era stato scelleratamente affidato il servizio d’ordine. La scia di sangue, in quei mesi, pare non lasciare gli Stones, che, in estate, avevano perso Brian Jones, uno dei fondatori del gruppo, sebbene, di fatto, già estromesso, qualche settimana prima dalla band, trovato senza vita nella sua piscina. “Let it Bleed/ Lascia che sanguini”, il loro album in uscita poco dopo Altamont, svela e riassume, nel suo titolo, più di quanto potessero immaginare gli stessi musicisti inglesi. Con il suo film su Hollywood, anche Quentin Tarantino si è recentemente tuffato in quegli anni, con le ombre delle stragi di Manson che aleggiano sullo sfondo della pellicola, quasi a rimarcare la fine dell’età dell’oro del cinema nella Città degli Angeli.

La mattina del 9 agosto l’America si sveglia con una notizia di cronaca nera che scuote e impaurisce tutti: alcuni adepti della setta di Charles Manson fanno irruzione al numero 10050 di Cielo Drive uccidendo cinque persone.

Manson

Charles Manson nel marzo del 1967 esce dal carcere, dopo aver scontato una decina di anni per sfruttamento della prostituzione e reati connessi. La sua carriera criminale inizia con furti e rapine quando è ancora minorenne. Nel periodo di detenzione impara a strimpellare la chitarra e legge tutta una serie di libri su ipnotismo, magia nera, esoterismo e pseudo-discipline simili. Le sbarre del carcere per lui si aprono proprio mentre tutt’intorno è un fiorire di cultura hippie. Quale luogo al mondo, più di San Francisco durante la “Summer of Love”, può interessare un aspirante rockstar e guru, quale Manson pensa di poter diventare? Chitarre ed esoterismo, sono le due vie parallele che coltiva, da una parte per entrare in contatto col mondo della musica che conta e dall’altra per costruirsi un seguito, grazie alla sua folle e strampalata capacità affabulatoria. Riesce ad avere una certa presa tra i giovani disagiati, convinti di uscire nudi e scalzi dalla insoddisfacente vita precedente. Avvicina molti musicisti che non lo degnano di attenzione, l’unica parziale eccezione sarà Dennis Wilson, batterista dei Beach Boys. La seguitissima band californiana, con l’uscita di “Pet Sounds” ha brillantemente virato, dalle caratteristiche sonorità surf, verso un innovativo pop rock , che farà urlare al capolavoro più di un critico. Tramite Dennis, Manson arriva al produttore discografico Terry Melcher, figlio dell’attrice Doris Day. Il fatto che non gli venga immediatamente sbattuta la porta in faccia, alimenta l’aspirazione di Charlie di diventare a breve una rockstar. Ci crede ancora di più quando i Beach Boys accettano di inserire nel loro disco una sua canzone, “Cease to Exist”. Nella lavorazione, però, sia il testo che la musica, subiscono notevoli cambiamenti, e il titolo stesso muta in “Never Learn Not to Love”, estromettendo definitivamente Manson, non solo dalla presunta popolarità, ma anche dai benefit economici. Questa frustrazione è certamente alla base del massacro di Cielo Drive, che non a caso è una villa di proprietà di Melcher, ritenuto il responsabile principale del fallito assalto al successo.

Poco importa se ad abitarci al momento dell’irruzione è la giovane attrice Sharon Tate, all’ottavo mese di gravidanza, moglie del regista Roman Polański, che tra l’altro col diavolo ci aveva avuto da poco a che fare, nella sua pellicola di successo Rosemary’s Baby. E qui c’è il primo intreccio con cui il destino si diverte. La seconda traccia del White Album, quello che avrebbe influenzato Manson e la Family, è “Dear Prudence”. La giovane Prudence fa parte del gruppo di persone in ritiro spirituale in India con i Beatles, ed è la sorella dell’attrice Mia Farrow, in quel momento agli sgoccioli del legame sentimentale con Frank Sinatra. Non un’attrice qualsiasi in questa storia, ma la protagonista della pellicola a sfondo satanico di Polański, Rosemary’s Baby appunto. Interpretazione con la quale la carriera della Farrow decolla definitivamente. Il film è ambientato a New York, al Dakota Bulding, famoso edificio neogotico di Manhattan, che sarà la residenza americana di John Lennon e Yoko Ono dai primi anni Settanta, e in cui il musicista di Liverpool sarà freddato, con cinque colpi di pistola, dal fanatico Mark David Chapman. Anche Chapman incitato da immaginarie voci assassine, scaturite dalla lettura de “Il Giovane Holden” di J. D. Salinger. Ma intanto i Beatles come se la passano?

Il cuore “indiano” del Disco Bianco

Il cosiddetto White Album, radica nei grossi cambiamenti avvenuti nella vita della band nei mesi precedenti. Dall’estate del 1966 i Beatles non salgono su un palco, hanno smesso con i concerti, per sempre. C’è molta attesa dunque per il loro nuovo lavoro, anche perchè, il tempo di attesa per le nuove canzoni, aveva alimentato le voci su uno scioglimento imminente del quartetto. Per la prima volta dagli esordi, i quattro musicisti non vivono in simbiosi, cominciano ad allentarsi i vincoli che li univano costantentemente per necessità di agenda. Il primo giugno del 1967 esce finalmente Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club, che, alla vigilia della “Summer of Love”, inaugura la fase psichedelica a livello mondiale. La sua copertina, così affollata e colorata, e per alcuni anche scrigno di indicibili segreti sulla presunta morte di Paul McCartney, ne è il simbolo riconosciuto. L’immagine di John, Paul, George e Ringo è molto diversa dal passato. Capelli più lunghi, baffi e coloratissimi vestiti non passavano certo inosservati. “I Beatles diventano sempre più strani, non è così?”, ebbe a dire la Regina in persona a un dirigente della EMI durante un ricevimento a Buckingham Palace.

Quell’estate però è funestata dalla morte di Brian Epstein, il super manager che aveva raccattato quei ragazzini dal palchetto del Cavern, per portarli fino in cima al mondo, imponendo divise d’ordinanza e caschetto. Epstein provvedeva a tutto, dunque l’assenza è di quelle sconvolgenti, a livello umano e lavorativo. Bisogna riorganizzarsi e iniziare una nuova fase anche dal punto di vista manageriale, cosa che porterà alla nascita della Apple. George Harrison, già da tempo attratto da sirene orientali, sia musicali che esistenziali, propone a tutti di andare in India per un periodo di ritiro spirituale. Iniziano un percorso di incontri, per alcuni mesi, con il Maharishi Mahesh Yogi. Per il mondo intero, il Maharishi diventa “il guru dei Beatles”, con un notevole ritorno di immagine e di conseguenza anche di soldi, dato che avere i Beatles come testimonial non è da tutti. In questi mesi, i quattro, tengono fede a tutti gli impegni previsti, fino all’uscita di Magical Mystery Tour. A febbraio del 1968 predispongono il trasferimento in India, a Rishikesh, località bagnata dal Gange, ai piedi dell’Himalaja, nota come la capitale mondiale dello yoga e della meditazione. Fanno parte della spedizione, mogli e compagne dei Beatles, e tra i volti noti, il cantautore Donovan e Mike Love dei Beach Boys, oltre, naturalmente, alle già citate sorelle Farrow. È a questo punto, nella prima metà del 1968 che iniziano a posizionarsi sul tavolo una serie di tessere del mosaico che porteranno fino a Manson.

Il vero nome del disco è The Beatles, scritto bianco su bianco, leggermente in rilievo, da un’idea dell’artista Richard Hamilton, pubblicato il 22 Novembre del 1968. Come al solito non sono solo scelte stilistiche, ma anche chiari messaggi. La riappropriazione della loro identità rispetto al recente passato, quindi non più i personaggi di Sgt. Pepper, dei veri e propri alter ego creati per quel lavoro, ma di nuovo loro, i Beatles, e la semplicità del bianco totale, in opposizione alle coloratissime uscite precedenti, di Sgt. Pepper appunto, ma anche di Magical Mystery Tour. Musicalmente, insieme a Dylan, in quei mesi, i Fab Four, anticipano il ritorno al folk, con maggiori sonorità acustiche, dettate anche dalla situazione del ritiro indiano, in cui disponevano soltanto di semplici strumenti di legno e corde. Ma il disco andrà ben oltre, rompendo i confini dei generi e proiettando il pop in una dimensione nuova, di contaminazione, da cui non tornerà più indietro. In America, le nuove canzoni vengono accolte con favore, tanto che il White Album resterà per dieci anni il disco doppio più venduto da quelle parti, e in assoluto quello più acquistato della discografia della band di Liverpool in USA.

Dopo la morte di Brian Epstein George Harrison, già da tempo attratto da sirene orientali, sia musicali che esistenziali, propone a tutti di andare in India per un periodo di ritiro spirituale. Per il gruppo inizia un percorso di incontri con il Maharishi Mahesh Yogi.

La Family

L’estate dell’amore, condita di sogni, musica, acidi e marjiuana, finisce per tutti. Anche per Manson che, intanto, ha conservato la leadership della sua congrega. Verso la fine del 1967, a bordo di un furgone, comincia a girovagare per gli States, insieme a una decina di componenti della setta. La carovana hippie si stabilisce nel deserto californiano, non molto distante da Los Angeles, in un vecchio set cinematografico, lo Spahn Ranch, prendendo di fatto in ostaggio l’ottantenne proprietario, George Spahn, che inizialmente li aveva ospitati in cambio di lavoro, nei campi e con gli animali. La banda diventa sempre più violenta. Un lavorante di Spahn, Donald Shea, viene addirittura fatto fuori, perché mal sopportava quella assurda intrusione.

Manson riesce a manipolare sempre di più quelle menti allo sbando, devastate da droga e sesso, tanto da far credere di essere Satana e Gesù Cristo insieme. Intanto la musica del White Album, risuona costantemente dalle casse, e il “guru” convince tutti, che in quelle canzoni ci sono chiari messaggi rivolti a loro, e a lui in particolare. Helter Skelter è la chiave, il passaggio testuale che parla a Manson sarebbe “Quando arrivo in fondo, torno indietro in cima allo scivolo/ Dove mi fermo e mi volto e parto per un altro giro”. Manson da questa canzone e dal resto del disco ha ricavato l’idea che i Beatles lo stessero avvisando di una imminente guerra a sfondo razziale tra bianchi e neri . I neri avrebbero avuto la meglio, sterminando ogni bianco sul pianeta, tranne lui e la Family, che si sarebbero nascosti da tutti fino alla fine delle ostilità. I neri poi, ritrovandosi nell’incapacità di governare, avrebbero destinato a Charles Manson il potere. Helter Skelter era dunque non solo il titolo della canzone, ma il nome di questo conflitto “apocalittico”. Era ora di prepararsi e agire.

Helter Skelter e le altre

Cercare di dare un senso logico o razionale ai pensieri che affollano la mente di Manson non è cosa semplice, anche quando argomenta e inventa, la confusione regna sovrana, poiché dei suoi deliri non vi è traccia alcuna nelle canzoni. Ma proviamo a capire in che modo i Beatles avrebbero mandato messaggi. Manson più volte si barrica dietro questa affermazione “Non è una mia congiura. Non è una mia canzone. Io ho ascoltato quello che dice. Dice ‘Sollevatevi!’ Dice ‘Uccidete!’ Perché date la colpa a me? Non sono io che l’ho scritta!”

Helter Skelter è una giostra, uno scivolo di quelli che come le montagne russe centrifuga persone per poi sputarle al suolo, un ottovolante in tutta sicurezza. Il brano è di Paul, che alza i volumi. L’idea era di creare il pezzo più rumoroso mai scritto prima, sottraendo il primato agli Who, che per bocca del chitarrista Pete Towhsend, se lo erano auto attribuito, con il brano “I Can See for Miles”. Paul pensa che si possa fare di meglio e tira fuori il primo nitido granello di hard rock mai ascoltato. Il clima durante la registrazione di satanico non aveva nulla. Ringo, inciso il pezzo, salta via dalla batteria lanciando in aria le bacchette sbraitando “Ho le vesciche alle dita!” per quanto duro aveva picchiato, George correva per lo studio con in testa un posacenere che sputava fuoco mentre Paul registrava la parte vocale. A proposito dell’interpretazione del testo, tempo dopo, John dirà, “Non ho mai ascoltato bene le parole della canzone, era solo un rumore”.

Non per Manson però, che anche nella frase “Look out, ‘cause here she comes /Attento, perché eccola che arriva”, che ha come soggetto Helter Skelter, ci vede l’imminente guerra razziale. E così sarà per tante atre canzoni, per cui Piggies di George, diventa un chiaro invito a uccidere i maiali, i ricchi e benestanti, o dal punto di vista dei neri, sterminare i bianchi, “Clutching forks and knives/Infilzando con forchette e coltelli”. Rocky Raccoon è una canzoncina ai ritmi del vecchio west davvero innocua, in cui però, la parola Bibbia e il dispregiativo riservato ai neri “coon”, da Manson arbitrariamente distaccato da Rac-coon, sono altri chiari indizi. La pistola fumante di Happiness is a Warm Gun, non ha neanche bisogno di troppe interpretazioni. Nella decriptazione di questo presunto codice segreto, le falle della mente di Manson, diventano abisso. In Yer Blues, legge il disperato bisogno dei Beatles di avere un segno da Gesù, quindi da lui. Convinto di questo, proverà a contattarli in Inghilterra. La mancata risposta alle sue telefonate, riesce a rintracciarla in Glass Onion, e dando al “Fool on the hill/ il pazzo sulla collina” della canzone, le sembianze del Maharishi, ai suoi occhi un impostore, che lo ostacola. Revolution è chiaramente un’altra indicazione esplicita. Revolution 9 è la suggestione più grande, nonostante fosse un pezzo sperimentale, senza testo, in cui John e Yoko, in un cervellotico collage, montano sequenze di rumori, suoni, loop, pause e silenzi. Manson ci sente i colpi delle mitragliatrici, il grugnire dei maiali e finanche i Beatles che gli chiedono di inviare loro un telegramma. Infine quel “number nine” ripetuto da una voce in loop, diventa Revelation nine, rimandando alla Bibbia, all’Apocalisse, 9. “Il quinto Angelo suonò la tromba…”, diventando egli stesso il quinto angelo dell’Apocalisse, ovviamente accompagnato dagli altri quattro arrivavati da Liverpool. Questa tesi della “rivelazione” è molto cara al Pubblico Ministero Vincent Bugliosi che condurrà l’accusa nel processo a carico della Family e del suo capo e metterà poi tutto nero su bianco in un libro che non faticherà a diventare un best seller. Ma la tracklist continua a scorrere nella mente di Manson. Blackbird è una canzone che fa esplicito riferimento all’imminente sollevazione dei neri “You were only waiting for this moment to arise/Hai aspettato solo questo momento per poterti levare (in aria).”. Sexy Sadie, scritta da John per punzecchiare il Maharishi, da cui era ormai disilluso, su presunte molestie sessuali, pare verso Mia Farrow, ha nel titolo il nome Sadie che Manson aveva dato a una delle ragazze della setta, cosa che gli sembrò illuminante e per niente una coincidenza.

Per Charles Manson Helter Skelter non era solo il titolo di una canzone dei Beatles, ma il nome di un conflitto “apocalittico”. 

La copertina bianca si tinge di rosso

Quella notte tra l’8 e il 9 agosto, il commando omicida, munito di pistola, coltelli e filo di nylon, che muove verso Cielo Drive, è composto da Tex Watson, Susan Atkins, Linda Kasabian e Patricia Krenwinkel. Gli ordini di Manson, che non partecipa alla spedizione, sono chiari, entrare nella casa di Melcher e uccidere tutti i presenti, nel modo più macabro possibile.

Il primo a essere ucciso quella notte, ancora all’esterno della casa, è il diciottenne Steven Parent, che ancora più di altri, si trova nel posto sbagliato al momemto sbagliato, infatti sta andando via dalla villa, dopo aver fatto visita nella dependance al custode, William Garretson, unico superstite della strage. Per Parent una coltellata e quattro colpi di pistola. La distanza tra il cancello della villa e la casa nasconde il rumore degli spari. Dopo l’irruzione è una mattanza, in questo racconto non ci soffermiamo sul numero esatto di coltellate ricevuto da ogni vittima, ma parliamo davvero di cose mai viste prima. Tutti i presenti nella casa vengono portati nel soggiorno, qualcuno anche legato col filo di nylon, chi prova a protestare o a fuggire, viene violentemente accoltellato, o sparato a sangue freddo. A rimanere a terra, oltre alla ventiseienne Sharon Tate, uccisa per ultima col suo bambino in grembo, perdono la vita anche il suo amico ed ex fidanzato Jay Sebring, il parrucchiere e aspirante sceneggiatore amico di Polański, Wojciech Frykowski e la sua fidanzata Abigail Folger. Nessuno di loro supera i 35 anni di età. Manson aveva raccomandato anche di lasciare un segno, una firma di quella strage. Specchi, porte e pareti vengono imbrattate, usando asciugamani imbevute del sangue delle vittime, con parole tipo, Pig o Helter Skelter. Non è stata per niente rapida la mattanza, si parla di alcune ore, presumibilmente è avvenuta, dalla mezzanotte fino alle quattro del mattino. La scena che si trova di fronte la Polizia è inedita e raccapricciante. L’America intera si sente violata fin dentro le mura di casa, fin nella propria intimità domestica, anche in un quartiere fortezza, e in quel momento perde molte delle proprie certezze. A essere sospettato del pluriomicidio e arrestato, è il custode del residence, probabilmente solo perché unico superstite. Ma a scagionarlo sarà proprio la Family di Manson, perché la strage non è finita. A ventiquattro ore di distanza, il 10 di agosto, ancora un’irruzione, questa volta nella casa dei coniugi Leno e Rosemary LaBianca, massacrati anche loro, l’uomo d’affari infilzato anche con una forchetta sull’ addome (ricordate il testo di Piggies?). Anche questa volta il sangue serve a scrivere, anche se in modo sgrammaticato, “Healter Skelter” sulla porta del frigo. Stesse modalità ma con un gruppo più numeroso, per la presenza di Leslie Van Houten e Steve Grogan, e pare anche dello stesso Manson. Tutto avviene con estrema calma, al punto che la banda, prima di andare via, banchetta col cibo del frigo e utilizza la doccia per ripulirsi.

Nel giro di qualche mese sono tutti dietro le sbarre, arrestati per la maggior parte allo Spahn Ranch. Manson è incastrato come mandante, grazie soprattutto alla testimonianza della sua ex seguace Linda Kasabian. Viene condannato alla pena di morte, che però qualche anno dopo in California, sarà abolita, consegnandolo al carcere a vita, che sconta fino alla sua morte, a 83 anni nel 2017.

Perché fa paura

È molto più facile ricostruire tutti i risvolti della vicenda che comprenderne a pieno le motivazioni. Chi ha provato a farlo in tutti questi anni rintraccia questioni decisive nella frustrazione di Manson per la mancata vita da rockstar, così come nell’odio maturato nei confronti di quanti hanno avuto una vita più ricca e soddisfacente della sua. Il contesto di quegli anni l’ha aiutato a elevarsi al rango di pseudo-guru, a esercitare il suo carisma su sbandati di ogni risma, monipolandone le menti, addirittura a distanza, quale mandante, per i suoi scopi deliranti. Le droghe hanno certamente aiutato a tenere in piedi questo micro circuito criminale.

Ma quello che ha fatto paura all’America è stato piombare in una nuova dimensione della violenza. Trovarsi faccia a faccia con crimini efferati che non hanno una ragione precisa, per di più che non si fermano all’uscio delle case, ma le occupano come se niente fosse. Questo è stato Manson per l’America, l’incubo della vulnerabilità perenne, la fine delle certezze, il male per il male, senza motivo. Dopo le sue gesta nessuno più si è sentito davvero al sicuro.

“Non capisco cosa c’entra Helter Skelter con l’accoltellare qualcuno.” John Lennon

Cuorisità

Manson continua a vivere nell’immaginario collettivo, tanto che cinema, musica e televisione ciclicamente tornano a occuparsi di lui. Il musicista statunitense Brian Hugh Warner, che tra l’altro in quel 1969 ci è nato, è alla ricerca di un nome d’arte che possa stupire. Pensa di mettere insieme due simboli noti a tutti, per quanto contrapposti, una stella del cinema e un omicida multiplo, vale a dire Marilyn Monroe e Charles Manson. Più che Charles Monroe, la combinazione scelta, perché di maggior impatto, è Marilyn Manson, e anche questo porre l’accento sul cognome di Manson potrebbe far riflettere.

Il produttore di Marilyn Manson è Trent Reznor, anima e corpo dei Nine Inch Nails. La sua residenza, in cui costruisce uno studio di registrazione, pare chiamato “Pig”, e da cui nascono i suoi dischi, si trova al 10050 di Cielo Drive. Esattamente la scena del crimine. A un certo punto decide di lasciare la casa, portandosi via però la porta, che utilizzerà al suo nuovo studio. Si, pare proprio quella porta, quella imbrattata di sangue quella notte. D’altra parte il numero 10050 di Cielo Drive aveva avuto ospiti importanti anche prima della strage, da Cary Grant a Henry Fonda.

C’è anche un’altra band, inglese stavolta, che per la scelta del nome attinge a quell’immaginario, intestandosi il cognome di Linda Kasabian. Ma riapriamo per un attimo il White Album, che non è solo uno dei dischi più importanti della storia della musica, o il delirante manifesto di Manson. Ciclicamente, il doppio bianco, insieme ad altri aspetti dell’immaginario beatlesiano, torna al centro dell’attenzione anche come uno dei contenitori dei segreti sulla presunta morte di Paul McCartney. Secondo alcuni, anche in questo vinile sarebbero disseminate prove “evidenti”.

Tra Cry Baby Cry e Revolution 9 ci sarebbe una breve incisione in cui si percepisce la frase “Can you take me back?/Puoi riportarmi indietro?”. In I’m so Tired, invece, Lennon direbbe addirittura “Paul is dead, man, miss him, miss him, miss him!/Paul è morto, amico, mi manca, mi manca, mi manca!”

In conclusione ritorniamo a “Mindhunter”, la serie che ci ricorda che il rapporto tra Beatles ed FBI, non si esaurisce solo in modo indiretto col caso Manson, ma dalle attenzioni riservate a John Lennon, nei primi anni Settanta, nel suo soggiorno americano, quando si batteva al fianco della sinistra radicale, contro la guerra in Vietnam, e il Federal Bureau era ancora sotto il quasi quarantennale controllo di J. Edgar Hoover e dei suoi discutibili metodi. Un veloce scambio di battute, nel primo episodio, tra il protagonista, un agente federale e la sua fidanzata, fotografa il peso che anche quella vicenda ha avuto nell’immaginario di quegli anni.

“Non credi che l’ostilità tra controcultura e forze dell’ordine ormai sia un pò fuori moda?”
“Non vi perdoneranno mai per avere spiato John e Yoko.”


Alert: godetevi l’ascolto del White Album senza fare stragi

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