Maria Antonietta: conversazioni autorizzate

Foto: Claudia Ascione

che poi tutte le mie canzoni parlano di un solo cazzo di argomento, della mia incapacità di accettare la realtà“, ecco questa frase mi ha convinto a farti un’intervista, mi sembra una buona chiave di lettura del tuo primo album in italiano. Mi è sembrato un album molto intimo e personale, eppure in qualche modo racconta la storia di molti ragazzi della tua età. Qual è la realtà che non riesci ad accettare?

Il disco è stato scritto interamente in 5 mesi di vita. In quel periodo avevo un paio di ossessioni perenni ed avevo completamente perso lucidità perchè di fatto non volevo accettare la realtà: ovvero che erano finiti dei percorsi e delle situazioni, e delle persone se n’erano andate ma io non potevo capacitarmi di come tutto, anche quello che io ritenevo inamovibile ed eterno, potesse finire. Sono andata nel panico con questa ossessione della fine. Continuavo a farmi del male pur di non vedere niente. Ma non potevo che stare peggio. Poi l’amore mi ha salvata.

L’album appare come una perfetta istantanea di un periodo di transizione, sicuramente non troppo felice, della tua vita. Quanto è stato importante metterti a nudo in queste canzoni? Ha avuto l’effetto catartico che ti ha portato alla guarigione?

La scrittura è qualcosa di catartico per me. Avevo la necessità di scrivere questo disco, queste canzoni. Non mi sarei mai potuta liberare di tutto il dolore, la delusione e lo squallore che avevo vissuto. Adesso sono molto felice e serena sì, molto innamorata. Non è stato facile uscire da quel periodo, ma se ce l’ho fatta è stato anche grazie alle canzoni, grazie al fatto che sono riuscita a condividere anche le sensazioni peggiori che avevo provato, a metterle lì davanti ai vostri occhi. È una bella sfida, anche perché la maggior parte delle persone giudica soltanto, senza comprendere che la verità non si giudica, si ascolta. Magari fa un po’ male, disturba. Ma questo disco è stato scritto senza pretese di nessun tipo, né intellettuali ne universalistiche. Racconto delle cose. Punto. Delle cose vere. Punto. Delle cose della mia vita. Magari avrei dovuto essere meno onesta, non lo so. Ma in una serie di facce, di situazioni, di sensazioni di una vita non ci vedo niente di male, soprattutto niente di così potenzialmente traumatizzante.

Hai 24 anni e non vieni da un talent show, ad occhio non mi vengono in mente altre ragazze così giovani nella musica indipendente italiana, è così difficile farsi strada per una ragazza, anche se ha talento e sa anche suonare la chitarra? cosa ne pensi degli altri artisti della scena? C’è qualcuno che apprezzi particolarmente?

Non è facile farsi strada in assoluto, neanche per un ragazzo, in questo mondo difficilissimo. Poi è triste da dire ma per una ragazza è più difficile nel senso che appena sei un po’ fuori delle righe, appena osi un pò di più, sei subito aggredita (aggressioni ovviamente sessuali, perché è molto semplice). Se un uomo avesse scritto i miei testi non si sarebbe alzato nessun polverone. Mi sento tutto fuorché trasgressiva nel 2012 ma evidentemente (ancora nel 2012) una femmina che usa nei suoi testi la parola “scopare” è pietra dello scandalo.

I tuoi testi hanno molti riferimenti post-adolescenziali, sembrano quasi un lungo diario delle tue esperienze. Qualcuno, maliziosamente, ti ha addirittura definita una “Vasco Brondi al femminile”…non mi sembra abbiate troppi punti in comune. Che effetto ti fa essere definita così?

Penso che io e Vasco siamo molto diversi. In ogni caso il paragone con lui non mi dispiace ci mancherebbe. lo stimo. È che penso che abbiamo un approccio anche di scrittura davvero distante. Poi certo raccontiamo cose molto personali e molto crude, cose da post-adolescenti? Mah, penso che siano cose che appartengono a tutti. Sensazioni più universali.

Una curiosità: Maria Antonietta, il parco delle Buttes-Chaumont… qual è il tuo legame con la Francia e la sua capitale?

Quel parco è un posto bellissimo. E Maria Antonietta è la prova di come il mondo ti metta al rogo in ogni caso.

Facciamo un gioco musicale. Ti dico tre nomi che mi vengono in mente dall’ascolto del tuo album: Carmen Consoli (soprattutto in episodi come Maria Maddalena e Stanca), Courtney Love (per l’attitudine decisamente punk), Nada (per l’innocenza nel tuo modo di cantare). Dimmi se e come queste tre artiste ti hanno influenzata.

Sì, mi hanno influenzato tutte e tre e perché sono profondamente femminili, ognuna a suo modo. Perché capisci fanno musica come delle femmine, non han bisogno di difendersi o ripararsi dietro atteggiamenti o modalità maschili.

Il tuo idolo musicale in assoluto?

Pj Harvey e Courtney Love parimerito.

Il suono del disco è secco e diretto, pochi fronzoli e tanta essenzialità, schitarrate grunge e cavalcate acustiche. La produzione mi sembra ottima e poco invasiva, com’è Dario Brunori come produttore? Che rapporto si è instaurato tra di voi?

Si è instaurato un rapporto bellissimo. Dario è una persona di una classe superiore ed essendo molto intelligente è riuscito a valorizzare quello che avevo in testa senza snaturarlo. Lo stimo molto e sono molto felice di averlo incontrato sulla mia strada.

Nei tuoi testi nomini spesso i santi, ne sembri ossessionata, perché li citi sempre? Qual è il tuo rapporto con la religione? C’entra qualcosa con la fine dei momenti bui di cui parli nell’album?

Per me il cattolicesimo all’inizio è stato fascinazione, perché parlava di un mucchio di cose eterne, perfette, pure: tutto quello che io non mi sento. Racconta dell’assoluto, dei per sempre, dei mai, della possibilità di redimersi, della forza del credere e della volontà. Al momento non è più una fascinazione ma un credo, posso definirmi credente. Ho fatto un mio percorso, e sai a volte ho paura che le persone pensino che sia una posa questa cosa di citare Cristo o i santi, o di parlarne semplicemente. Ma per me non è moda è vita, è la mia vita reale. Diciamo che la fine del buio è coincisa più meno anche con l’approdo a una visione più definita della mia spiritualità.

E di Giovanna D’Arco che tieni tatuata sul braccio cosa mi dici?

Giovanna è il mio esempio indiscusso. Forza, volontà, determinazione, intelligenza, amore, costanza. Lei sta lì sul mio braccio per ricordarmelo.

Negli anni ‘90 Catania era definita la “Seattle del Sud” per via dei fermenti musicali che c’erano in atto, oggi la tua Pesaro si difende bene e sta assumendo un po’ il ruolo di “città rumorosa”, penso a band come i Be Forest e i Soviet Soviet che hanno anche varcato i confini nazionali. Cosa ne pensi musicalmente della tua città?

È bello abitare in una città di musicisti.

Parlaci un po’ del tour. Non so perché ma t’immagino una ragazza con la Jaguar…sarà un concerto molto rock? Dobbiamo aspettarci anche episodi tratti dalle tue esperienze musicali precedenti, tipo gli Young Wrists?

Ho appena dilapidato tutte le mie finanze in una Jaguar nuova fiammante. Il concerto sarà molto rock, sì. Molto punk, sì. Insomma un disastro. Nessun episodio altro rispetto al disco, mi concentrerò su quello.

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