Mark Lanegan – Imitations

Nel film di Gianni Amelio uscito di recente, L’Intrepido, il protagonista Antonio Pane, rivolgendosi al figlio, studente di conservatorio in crisi, fa notare come sia un privilegio guadagnarsi da vivere con la musica e la frase si carica di significato considerando le mille difficoltà che lo stesso protagonista ha per sbancare il lunario.

A considerare l’attività quasi frenetica di Mark Lanegan nella produzione di nuovi lavori, viene da pensare che il luciferino crooner di Ellensburg, Washington, questo concetto lo tenga ben ficcato in testa, in maniera che sia lì saldo e stabile.

Dopo l’uscita di Black Pudding, che lo ha visto collaborare con l’inglese Duke Garwood, infatti il songwriter, per niente affaticato dal lavoro precedente, si è rimesso subito al lavoro, riuscendo così a far uscire questo Imitations circa quattro mesi dopo.

L’album in questione è una raccolta di sue interpretazioni o “imitazioni” appunto (per carità non chiedetemi di usare il termine cover) di canzoni sulla cui scelta lo stesso Lanegan dice: “when I was a kid in the late sixties and early seventies, my parents and their friends would play the records of Andy Williams, Dean Martin, Frank Sinatra and Perry Como, music with string arrangements and men singing songs that sounded sad whether they were or not. At home my folks were also listening to country music, Willie Nelson, Johnny Cash, George Jones and Vern Gosdin were some of our favorites. For a long time I’ve wanted to make a record that gave me the same feeling those old records did, using some of the same tunes I loved as a kid and some that I’ve loved as I have gotten older. This record is it.

Più chiaro di così si muore e quindi via tra gli arrangiamenti a base di chitarra folk e pochi altri strumenti rigorosamente acustici, tutti a fungere da semplice corollario al vero e proprio marchio di fabbrica di Lanegan, la sua immensa voce.

Che si tratti di canzoni vecchie, meno vecchie o decisamente più recenti, non importa, lui ha il potere di spedire tutto quello che canta in una dimensione atemporale. Perfettamente a suo agio nell’interpretare canzoni tanto dei crooner Andy Williams (Solitaire, Lonely street e Autumn Leaves) e Frank Sinatra (Pretty colors), tanto delle voci femminili Chelsea Wolf (la bellissima Flatlands di apertura) e Nancy Sinatra (You only live twice), l’ex Screaming Trees (e tante altre cose a dir il vero) riesce a dare una coerenza stilistica ad una scaletta di canzoni molto variegata che, oltre ai già citati, conta anche pezzi di Nick Cave (Brompton oratory), Greg Dulli (Deepest shade) e John Cale (I’m not the loving kind) assieme ad una totalmente stravolta She’s gone di Hall&Oates. Vere chicche dell’album sono poi Mack the Knife, traduzione in inglese del brano Die Moritat von Mackie Messer scritto da Bertold Brecht e musicato da Kurt Weill per “L’opera da tre soldi” dello stesso Brecht, ed Elégie funèbre di Gerard Manset che vede la voce dal sottosuolo esibirsi in francese.

Lanegan insomma in questo disco di reinterpretazioni (ho detto che la parola cover non la voglio usare) riesce nell’impresa, riuscita a pochissimi (vd. Johnny Cash alla voce American IV:The Man comes around), di fare proprie alcune canzoni che a primo acchito poco c’entrano con quello che ha fatto finora; ma dopotutto oramai sembra chiaro che Mark Lanegan quando vuole è in grado di fare quello che gli pare.

Vagrant Records, 2013

Tracklist:

  1. Flatlands
  2. She’s gone
  3. Deepest shade
  4. You only live twice
  5. Pretty colors
  6. Brompton oratory
  7. Solitaire
  8. Mack the Knife
  9. I’m not the loving kind
  10. Lonely street
  11. Elégie funèbre
  12. Autumn Leaves
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