L’assoluto Mark Lanegan

“You have to be vigilant if you’re gonna
survive
You gotta sleep with
one eye open”

Mark Lanegan era così luminoso e rauco e dannato, la sua voce era ancora un’assoluta speranza di gioventù per l’avvenire del rock, del blues, della musica dell’anima, il morbido e amaro bel canto blue che caccia via i diavoli dalle interiora. Bastava mettere un qualsiasi disco di Lanegan quando la mente era irrequieta e volevamo cercare pace, servirsi una dose generosa di Whiskey for the Holy Ghost, o un Methamphetamine Blues; la voce scura di Lanegan cantava e cullava, ed era una dolce terraferma a cui aggrapparsi. Tutto nella sua musica pareva parlarci, dalla sua prima apparizione di forza e carisma da giovane capellone irrequieto che diventò visione per epopee chiamate grunge, dagli Screaming Trees ai Mad Season, ai primi dischi da solista, gli anni passavano ma niente in Mark appassiva, semmai fioriva, e più lui cacciava fuori dischi e fuochi d’artificio canori, più potevamo riconoscerlo come uno dei grandi cantori d’epoca, un ramblin’ man rifugiato nelle lande irlandesi, un sussurratore di canzoni a voce assoluta, un controcanto rock per tempi malandati, un sopravvissuto che non ha mai avuto paura delle sue cicatrici. Il mondo di Mark Lanegan era un mondo eccezionalmente vero, di cui forse resta una memoria vaga, un sapore d’amarezza dentro la bocca; nessuno inventava il mondo di Mark Lanegan.

Perdere uno come lui, un musicista e un cantore come lui, e all’improvviso, ci arrugginisce un poco. Lanegan ci metteva l’anima nei suoi dischi e nelle sue canzoni, ci metteva cupezza e gioia, era un dio oscuro capace di pura luce. Nella sua gemellanza con Greg Dulli, nei suoi duetti con Isobell Campbell, nei dischi con Duke Garwood, nelle sue vite moltiplicate e le sue molteplici collaborazioni, Lanegan sapeva urlare e sapeva cantare, tetro, cavernoso, ammaliante, l’idolo bruciato che ha raccontato la sua vita come l’Omero sconquassato della generazione grunge in Sing backwards and weep. Innamorato della musica, così innamorato che gli piaceva pure riproporla a modo suo con le cover, vecchi pezzi come quella Where Did You Sleep Last Night / In The Pines che conquistò e cantò pure Kurt Cobain, o classici come Mack The Knife che ne mettevano in luce la vocazione più crooner. Sapeva modulare la musica, era sempre diretto e sincero, mai costruito, mai messo sopra un palco a fare scena, sempre a fare musica solo perché sapeva farla e voleva farla. È così che è diventato il musicista epocale che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare, e ci dispiace per gli album persi in futuro ma torneremo ancora su quelli che ci sono rimasti. Il suo lascito è eccezionale, forse per questo la sua scomparsa ha colpito come un cazzotto: nella sua carriera Lanegan ha connesso mondi diversissimi, vecchi canti popolari e attitudine rock, sbando e sentimento, sussurri e grida, disagio e carezze. Non sono molte le voci capaci di creare un incantesimo e una scintilla divina, lui era tra quelle là.

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