Il marketing della morte

Prima di parlare di marketing della morte varrebbe la pena capire cos’è il marketing, e non è scontato. Esistono davvero strategie di vendita così macabre da pompare la morte di un personaggio per alzare le vendite di un qualche prodotto? Nel 2010 è morto lo scrittore portoghese José Saramago (autore di Le intermittenze della morte): fu un periodo d’oro per le vendite dei suoi libri, le persone erano letteralmente incantate dai romanzi di Saramago, non si faceva che parlare di Saramago nei bar, nelle sagre di paese, nelle cene, nei cinema d’essai e nelle stradine isolate dove si spaccia droga cominciava un parallelo traffico di libri di Saramago. Nelle librerie i suoi romanzi si mischiavano a quelli con le fascette ridondanti di premi che stavano nelle vetrine. La vetrina è un’altra strategia del marketing, ti suggerisce virtuosamente cosa è il caso di comprare, i cosiddetti must. Nel 2010 Saramago andava comprato, per rimediare il latente senso di colpa di non aver letto qualcuno che aveva lasciato questo mondo per confluire – probabilmente – in un altro o nel vuoto.

Sì, persino ad Ischia le vendite dei libri di Umberto Eco si sono alzate dopo la sua morte.

Il 2016 si sta facendo riconoscere come l’anno delle morti importanti. In realtà le statistiche sulle morti non sono cambiate, tutti gli anni si muore, semplicemente quest’anno la nostra avvenente compagna morte si è fatta notare di più, anche grazie all’apertura scenica con la dipartita di David Bowie. Su quella scia è rimasta in bocca una certa amarezza, la sensazione che stesse andando via una parte del nostro passato. Non è molto dissimile a quello che succede da sempre, ogni anno, ma i personaggi noti del Ventunesimo secolo sono diventati di più rispetto a quelli con cui l’umanità aveva a che fare – anche indirettamente – nell’Ottocento. Probabilmente la morte di Anna Karenina avrà avuto lo stesso impatto sui lettori di fine Ottocento e sul loro immaginario.

La realtà è che avere a che fare con la morte, anche a un livello subconscio e immaginario, ci confonde. Amore e morte sono due moti ispiratori dell’umanità da sempre: i poeti cantano l’amore e cantano la morte, Dante ha ambientato nei misteriosi mondi del trapasso un interno poema d’amore. Se si può fare marketing con l’amore – sfruttando i sentimenti delle persone – perché sarebbe poco leale farlo con la morte? Le Murder Ballads di Nick Cave non sono insieme canti d’amore e morte? Del resto la morte ci fa fare i conti con una verità piuttosto profonda, prima o poi si muore.

Lo scorso anno il giorno dell’attentato a Charlie Hebdo coincideva con quello d’uscita del nuovo libro di Houellebecq, Sottomissione. Per un romanzo che narrava la vittoria di un partito islamico alle elezioni francesi non si poteva pensare a una strategia di marketing migliore. Michel – con la morte nel cuore, s’intenda – deve averci per forza pensato. Del resto ogni volta che c’è un attentato terroristico (o una morte eccellente) l’onda lunga del clickbait su internet si confonde con il dovere di fare informazione in un meccanismo macabro, per giornali e lettori.

Ma allora qual è il giusto senso delle cose? – soprattutto, esiste? Prima di parlare di cos’è giusto o ingiusto bisognerebbe avere un’idea netta delle definizioni di giusto e sbagliato. In generale chi si occupa di marketing è nel giusto se vende. Quanto più vende quanto più va nella direzione giusta. Per farlo userà tutti i mezzi possibili, che si tratti della morte o di una bella faccia, della copertina di un disco o un libro o di uno spietato e sapiente utilizzo delle note biografiche. Concediamo al marketing di essere machiavellico, ma concediamo a noi stessi di resistere o cedere al richiamo del marketing. Di avere un’alternativa sempre viva.

La lista dei morti del 2016 sicuramente crescerà ancora, e con lei le prospettive di un venditore di libri, di dischi, di biografie, di film, di illustrazioni e vecchie magliette di calcio. Al bar si parlerà ancora di Saramago, brindando ai tempi andati. Una forza oscura ci guiderà a comprare un disco degli Stone Temple Pilots. Leggeremo Houellebecq per capire il terrorismo di matrice islamica, ma non ci riuscirà di decifrare nient’altro che storie. E poi proveremo a elencare tutte le cose che vogliamo fare prima di morire.

  1. Fare quel viaggio proprio lì dove volevate andare
  2. Scrivere una storia sulla peste nera
  3. Imparare a memoria tutte le canzoni di Bob Dylan
  4. Leggere tutta La Recherche
  5. Comprare Saramago. Sempre. Dal 2010
  6. Andare a schiantarsi contro un paio d’occhi
  7. Salire sopra l’onda più alta della terra
  8. Smetterla con la dipendenza dalla noia
  9. Ops, non c’è tempo per la nona
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