Marlene Kuntz – Ricoveri virtuali e sexy solitudini

C’è qualcosa di concettuale nell’ultimo Godano, di meno keatsiano, non è più pura ricerca di bellezza (in effetti cercare la bellezza ossessivamente dopo un po’ viene anche a noia, si matura un perverso amore per la bruttezza – è come quella negoziante fiorentina che mi confidò di essere fuggita dalla bellezza di Firenze per trasferirsi nella lordura caotica di Soho a New York), ma ci sono germi di critica o contestazione sociale che s’intravedono. Del resto siamo nell’era buia del Social Network, l’uomo è uscito dalle caverne primitive dell’incontro al caffè per entrare nella società nerdizzante del tag mentre si sorseggia caffè. Nessuno può rimanere indifferente al fatto che oggi il mondo è dominato dalle peggiori idee di qualche disadattato del Wisconsis, e Godano sembra abbastanza incazzato col ragazzetto che scarica la musica invece di comprare il disco. C’è da capire cos’è più mainstream oggi, scaricare o pagare pedaggio a scatola chiusa, e poi chissenefrega; ci sarebbe anche da fare una lunga riflessione su cos’è la cultura oggi, un insieme di frammenti di frasi di libri, di canzoni tratte da dischi, di link, di articoli di giornale, di ritagli di poesie, etcetera.

Così il disco si apre con Ricovero virtuale, che è un mantra contro il pirata della rete, definito “perdente”, “senza fica”, “sfigato”, insomma il peggio che si può dire a uno che non contribuisce alla casse dei Marlene Kuntz per persuaderlo a comprare l’album. E tuttavia siamo in una crisi mondiale, il posto di lavoro è un optional per fortunati, esistono minuscole storie che andrebbero raccontate, la libertà della cultura è una delle poche vittorie del secolo, e per riprendere la chiusa di un piacevole pezzo dell’album che si chiama L’artista, “ed è così che l’estasi dell’arte ancora ti aiuta a dimenticare allegramente che sei senza una lira“. Il problema non è nel pirataggio di un disco o di un film, il problema è quanta poesia credete ancora contenga un oggetto, e quanto ne vale la pena per voi d’averlo. Potete leggere un libro su internet, ma non avrete l’odore della carta e non potrete sottolineare le parole; potete scaricare Volume 8 da internet, ma non potete tenerlo seduto sulla scrivania ad evocarvi un universo intero di simboli. E poi tutto dipende da come cantano le vostre casse (Bolano era un grande pirata di libri).

Probabilmente una contestazione più incisiva è quella di Pornorima, una scarica d’adrenalina contro l’indie-rocker, il fighetto e l’alternativo come categoria che si invasa di miti falsi a scapito della poesia. Si vede che Cristiano Godano ci tiene alle parole, ci sono immagini che si raccontano nei versi, come la chiusa di Scatti, “io non ti ho mai più pensata, ma so che i tuoi bambini crescono“, quanta amarezza in poche parole. Oasi e Vivo riprendono questa poetica sospesa tipica dei Marlene, l’art pour l’art. E poi ci sono i punti deboli, a tratti l’album si fa vacuo anche quando tenta la strada della critica, c’è Paolo che dovrebbe essere il ragazzo smarrito del mondo virtuale, l’anima salva di De Andrè. Ma De Andrè nel raccontare le anime salve inventava un universo intero ch’era quello delle minoranze oppresse, e Paolo ci sa più della solitudine indifferente e smarrita che a tratti colpisce il/laqualunque che di una vera e propria minoranza oppressa dal peso di qualcosa che lo esclude. Forse le anime salve sono cambiate, sono meno sopraffini e più sfigate, più viziate, si sono ammalate del Duemila. Ma chissà perché, confidiamo ancora nella libertà delle anime salve del Novecento, quelle animate da belle speranze di cambiamento, quelle ancora oppresse agli angoli più remoti del mondo, quelle che ancora non si sono liberate dai loro drammi interiori e umani.

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