Marlene Kuntz – Nella Tua Luce

Il mercato discografico italiano nell’era digitale è solo all’apparenza cambiato dal decennio scorso, il pubblico ha trovato nuovi modi per nutrirsi di musica, ma non ha mai smesso di cibarsene. Quei gruppi nati negli anni ’90 e resistiti alla bufera del progresso tecnologico, sapranno quanti inconvenienti, ma anche quanti nuovi mezzi e possibilità abbiano aiutato le aspiranti rockstar a rinnovarsi. Un campo, quello musicale, che per i suoi pro e i suoi contro, ha lo stesso andamento delle montagne russe. Per i Marlene Kuntz, esordienti nella provincia Granda in quel lontano 1989, quando ancora il Muro di Berlino era in piedi e la globalizzazione era una parola poco usata nei nostri vocabolari, gli anni sono scivolati sulla loro pelle lasciando i segni perenni di quel susseguirsi di eventi che ha determinato la storia mondiale.

Con la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2012, hanno fatto molto discutere di sé, perdendo anche molti tra i fan delle prime fila, ma acquisendo l’esperienza necessaria per non ripetere più gli stessi errori. Arrivati a quello che Cristiano Godano ha definito “il culmine di una negatività artistica” con Ricoveri Virtuali e Sexy Solitudini, non si poteva che risalire. Due anni di duro lavoro che sono valsi questa sontuosa autoproduzione, nonché nono album di una longeva carriera: Nella Tua Luce è più maturo e meno catartico, liberato dai sibili e dagli spettri di un passato che a tratti appariva confuso. La prima traccia che dà titolo alla raccolta appare come il manifesto di un inedito sistema di idee, è una Beatrice contemporanea a condurre la formazione cuneese in mezzo alla selva oscura, una civiltà caotica illuminata solamente dal suono degli archi in sottofondo e da un respiro caldo e umano.

I dieci brani che seguono fanno parte di un tessuto narrativo che dà vita a personaggi e ad atmosfere senza tempo, c’è il clochard di Catastrofe che esisteva duecent’anni fa e rivive oggi nelle stazioni ad alta velocità di tutta Europa e c’è in Osja, Amore Mio il dolce sforzo della moglie del poeta Osip Mandelstam che imparò a memoria i suoi versi per mantenere il ricordo del marito mandato in Siberia e lì morto sotto la dittatura staliniana. Godano si è incamminato su un sentiero lastricato, dove non ci sono più buche, ma solo asfalto liscio. Chiarito che la direzione presa sia quella giusta, bisogna capire quali altri motivi abbiano mosso i Marlene Kuntz ad abbandonare i precedenti registri di scrittura, più oscuri e complessi, per quelli odierni, non meno profondi, ma decisamente più lineari. Non mancano riferimenti letterari come in Il Genio (l’importanza di essere Oscar Wilde) a partire dal titolo o in Seduzione e Su Quelle Sponde, dove la scrittura e la poesia si rivelano come la migliore medicina per conoscere se stessi e gli altri.

Nella Tua Luce è un disco che si apre sui grandi chiaroscuri dell’attualità, ad esempio in Adele, la protagonista di una di quei tanti casi di femminicidio che riempiono la cronaca nera, è una voce melliflua a riempire le orecchie, ad incantare, dando la forza per riscattarsi. Giacomo Eremita è invece, quell’amico hipster e modaiolo, il fashion blogger che sfortunatamente abbiamo tra i contatti e che ci riempie la homepage delle sue serate tra fantomatici amici ricchi, alla page e dai sorrisi sfavillanti: l’invettiva parte tra urla e chitarre, ma di Giacomo non potrebbe fregarcene di meno. L’adrenalina passa da Senza rete nella sua fluttuante presenza all’interno dell’album per arrivare a La tua giornata magnifica, che come la lira di Narciso è un sollievo per la mente affannata dai pensieri, mentre in Solstizio riecheggia uno dei temi più importanti, quello che emerge in fin dei conti da ogni traccia ed è il contrasto vivo tra la vita e la morte, la memoria e la dimenticanza, la luce e il buio. I toni si sono qui fatti più altisonanti, ma alla portata di un pubblico che ha interesse ad abbandonarsi ad un viaggio su ampie corsie autostradali, non più strade a zig zag: i Marlene Kuntz sono arrivati alla maturità artistica, senza la cupezza dei poeti maledetti.

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