Meridies, o 30 lavoratori della terra in acido

È uscito lo scorso 12 novembre Meridies, ultimo lavoro a livello cronologico del producer italiano Go Dugong, pubblicato da Hyperjazz Records in collaborazione con La Tempesta Dischi. L’album si presenta come un’eplorazione sonora il cui ritmo è dettato dai tamburelli della pizzica, in cui trovano spazio le allusioni esotiche e lisergiche di organi e vecchi synth e chitarre distorte, accompagnate dal contrasto fra le sinuosità dei flauti e le asperità di formule magiche recitate ritualmente.

Segue l’intervista al producer di base a Milano.

Com’è nato il disco?

Il disco è nato dalle ceneri di un altro album che non ha visto la luce, né mai la vedrà (ride). Prima del primo lockdown avevo quasi finito un album ed ho approfittato del ritiro forzato per chiuderlo definitivamente o scartarlo: ho deciso di accantonarlo perché mi sono reso conto che non era la strada giusta quindi ho pensato di ricominciare da capo cambiando totalmente approccio. Il disco di cui parlo era un tripudio di arpeggiatori e cassa in quattro quarti, mentre Meridies è cominciato col radunare davanti a me tutti gli strumenti analogici che avevo: percussioni, flauti, scacciapensieri, campanacci, ma anche strumentidi fortuna” come pentolame scatole, insomma qualsiasi cosa potesse essere percossa. Ho iniziato a suonare in modo molto libero improvvisando ed immaginando una sorta di jam session di 30 lavoratori della terra completamente in acido. Così ha preso forma il percorso di ricerca da cui arriva Meridies e che è iniziato in casa a partire con un paio di pezzi e che poi ho voluto trasformare in un disco più lungo.

Come mai la scelta del sud magico ed esoterico? Che rapporto hai con Taranto e il Salento?

Da un lato perché sono nato a Taranto e ho passato i primi 10 anni di vita lì con la mia famiglia che è di lì e vive ancora lì. Dall’altro perché sono sempre stato attratto da ciò che la scienza non riesce a spiegare, dalla magia dall’esoterismo, e in generale da un certo modo di vivere la spiritualità. Ho iniziato ad approfondire il tarantismo con i saggi di De Martino, in particolare Sud e Magia mi ha molto colpito e ha sicuramente avuto una grande influenza sul disco, ma anche sulla mia musica in generale (vedasi TRNT). Riguardo al rapporto con Taranto ed il territorio parlerei di “odio e amore”, che non dipende affatto dalla città o dai suoi abitanti, ma dal fatto che purtroppo lo ricollego a vicende personali che ho fatto molta fatica a superare: ogni volta che torno provo qualcosa di emotivamente forte che sta appunto fra odio e amore, una sensazione che non saprei spiegare altrimenti. Diciamo che negli anni il rapporto con la mia terra natia è stato molto importante dal punto di vista umano, più che artistico, anche se comunque quell’universo è stato per me un bacino di immagini e suoni.

 

 

Negli ultimi anni si è assistito ad una rinascita dell’interesse verso l’esoterismo, la magia, la psichedelia, il rituale, l’irrazionale. Mi riferisco al fiorire di pubblicazioni, di podcast e di riviste a questo proposito, ma anche di album o EP. Per esempio, recentemente Jon Hopkins ha pubblicato il suo “Music for Psychedelic Therapy” e tu hai esplorato gli stessi ambienti col nome di Gianpace, e ne esplori altri proprio con Meridies, basti pensare ai titoli più che allusivi delle tracce del disco. Da cosa pensi possa nascere l’interesse verso questi elementi a livello generale? 

Se ci pensi è assurdo che io e Jon Hopkins che non abbiamo nessun punto in comune ci siamo messi a lavorare sulla stessa materia nello stesso periodo. Direi che sono tendenze nel mondo, energie che non si capisce come arrivino a tutti e affiorino in ambienti e contesti lontani fra loro. Viviamo in tempi abbastanza duri, e se prima le religioni fornivano agli uomini delle risposte ora, invece, la Chiesa e il Cristianesimo non sono più un luogo sicuro in cui rifugiarci. Questo vale quantomeno da noi in occidente, perché in certe parti del mondo il rituale (anche quello cristiano), la psichedelia e l’esoterismo sono pratiche ancora attuali e, anzi, fondanti delle società. Le persone di quelle società vengono abituate a queste pratiche fin dall’infanzia. Infatti, quella che tu chiami “rinascita” è un po’ una nostra percezione occidentale, in realtà in una visione più globale queste pratiche non sono mai sparite: ci sono sempre state e sempre ci saranno.

Dal punto di vista occidentale questo nuovo interesse lo vedo come una risposta naturale al nostro stile di vita materiale e sempre meno spirituale, come dicevo prima la Chiesa e in generale la religione davano delle risposte, ora le nuove generazioni non sono più disposte ad ascoltarle e cercano altri canali, altre forme di spiritualità come l’astrologia, e la psichedelia, a proposito della magia non saprei: non ho mai conosciuto maghi.

Pensi che ci possa essere qualche punto di contatto fra la musica elettronica dance, la techno, i club, e la musica popolare rituale, come la Taranta? Pensi che l’elettronica possa aver accolto l’eredità di quel mondo magico ed irrazionale che è stato distrutto dalla ragione, dalla scienza e dalle necessità dello sviluppo industriale? Mi riferisco soprattutto al fatto del ballo rituale ed esorcizzante. 

Assolutamente c’è una connessione. Dicevo che prima di Meridies ho abbandonato un disco alla cui base c’era proprio questo: trasferire il concetto di tarantismo, e quindi di esorcizzazione di quel tipo di isteria, dalle campagne del sud Italia al club dei giorni nostri. Quindi, sì, la techno, come la musica trance, ha oggi la medesima funzione del tamburello sui tarantolati del sud post-bellico. Perché la vita che conduciamo adesso è diversa rispetto a quelle di chi viveva nelle campagne del sud nel dopo guerra, eppure molto spesso le nostre vite sono comunque deliranti, frenetiche, dominate dal lavoro e dai suoi impegni, così ci ritroviamo a vivere in una dimensione estremamente materialista in cui il lato spirituale non sempre il proprio spazio. Inoltre, a tutto ciò si unisce una visione sempre più incerta del futuro, individuale e collettivo, che ci porta ad avere forme varie di isterie, ovviamente di entità differenti rispetto al passato, per cui sentiamo il bisogno chiuderci a ballare in un club per ore per svuotare la testa e sentirci più leggeri. In casi come questi è evidente la funzione terapeutica e rituale della musica e del ballo.

 

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